Nezouh – Il buco nel cielo

Nezouh – Il buco nel cielo

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Con Nezouh – Il buco nel cielo torna a ragionare sulla guerra in Siria a quattro anni di distanza da The Day I Lost My Shadow, e lo fa da una prospettiva sognante, che identifica nel cinema e nel potere dell’immagine l’arma per scardinare l’orrore del conflitto. Ne viene fuori un’opera gentile e delicata, che riesca però di scivolare in direzione della maniera, finendo paradossalmente per indorare la pillola. Presentato lo scorso settembre in Orizzonti Extra alla Mostra di Venezia, e ora in sala.

La lenza per afferrare la vita

Quando una bomba provoca uno squarcio nel tetto dell’appartamento in cui vivono a Damasco, la quattordicenne Zeina e i genitori si trovano improvvisamente esposti al mondo esterno. Un giorno, un ragazzo che vive nelle vicinanze cala una corda attraverso l’apertura nel tetto e così Zeina può vivere il primo assaggio di libertà. Mentre il padre è determinato a rimanere nella città assediata per non diventare un rifugiato, questa nuova finestra apre un mondo inimmaginabile di possibilità a lei e alla madre,che ora si trovano di fronte al dilemma se restare o fuggire. [sinossi]

L’uscita in sala con la meritoria Officine UBU di Nezouh (cui in Italia si è voluto aggiungere il sottotitolo Il buco nel cielo, forse a suggerire un côté vagamente trasognante), opera seconda della regista di origine siriana ma nata in Francia e ora di stanza a Londra Soudade Kaadan, contribuisce a evidenziare le evidenti falle di una distribuzione nazionale episodica, un po’ schizofrenica, e in fin dei conti spesso e volentieri priva di una reale struttura. Se la casa di distribuzione milanese creata oltre venti anni fa da Franco Zuliani ha con coraggio puntato lo sguardo sul lavoro di Kaadan, viene da chiedersi perché a nessuno sia venuto in mente di portare in sala all’epoca l’opera prima della cineasta, quel The Day I Lost My Shadow che nel 2018 tornò dall’anteprima mondiale alla Mostra di Venezia con il Leone del Futuro, il riconoscimento assegnato al miglior esordio visto al Lido. Anche Nezouh ha avuto la sua prima proiezione ufficiale alla Mostra, lo scorso settembre in Orizzonti Extra. La domanda, al di là di tutto, sorge spontanea, anche perché The Day I Lost My Shadow appare come un lavoro più stratificato, ordito attorno a una densità tanto del senso della suspense quanto della capacità di descrivere l’assurdo della guerra che in Nezouh lascia spazio a una visione quasi onirica dell’adolescenza, e del suo progressivo contatto col “reale”. La notazione riguardo la mancata attenzione riservata quattro anni e mezzo or sono all’esordio di Kaadan permette di allargare il discorso alla scarsa propensione delle distribuzioni italiane a promuovere il nuovo, quand’esso non sia già inserito in un contesto facilmente decrittabile: d’altro canto degli ultimi dieci “leoni del futuro” solo tre (L’infanzia di un capo di Brady Corbet, L’affido di Xavier Legrande, e il recente Saint Omer di Alice Diop) hanno ottenuto di trovare spazio sugli schermi della penisola.

Così se la storia della madre single alla ricerca di gas per poter cucinare il pasto al figlioletto non ricevette molta attenzione da parte degli addetti ai lavori, quella della giovane Zeina che a Damasco è costretta a fare i conti col mondo esterno a causa di una bomba che ha squarciato il tetto dell’appartamento in cui vive con i genitori riesce invece a trovare una propria collocazione, seppur inevitabilmente residuale – al momento in cui si scrive il film risulta visibile in 14 sale sparse sul territorio della penisola –, anche perché con ogni probabilità è più facile metabolizzare un punto di vista come quello, in ogni caso intriso di speranza, ad altezza adolescente. Appare evidente come dietro la “storia” che la regista ha scelto, e che nel suo sviluppo mostra in più di un’occasione la volontà di muoversi nella direzione più consona, in qualche modo predigerita dallo spettatore avvezzo a un simile approccio, ci sia in qualche misura il desiderio di edificare una metafora sul cinema, e più ancora sulla necessità di uno sguardo, come unico elemento possibile in grado di scardinare la logica belluina dello scontro armato, della distruzione, dell’annientamento dell’altro. Per questo il tentativo borghese del padre di Zeina, che cerca di “fingere” che nulla stia davvero accadendo (come se una tendina potesse davvero avere la forza di coprire un buco provocato da una detonazione) non può che crollare di fronte all’immaginazione della ragazza, alla costruzione di un immaginario che fa sì che un cielo blu si trasformi automaticamente in mare. Un mare che è in eterno movimento, come il falso movimento dell’immagine cinematografica.

Per declinare una simile intuizione, pur apprezzabile, Kaadan sceglie la via del cinema come sogno, dell’onirismo soffuso, della possibilità di trasformare il reale in immaginifico. Lo fa ricorrendo a uno stile di prammatica, in cui si avverte forte l’ingegno produttivo europeo, ma in fin dei conti anche il suo peso. Viene da chiedersi, ed è un interrogativo che necessariamente lascia non pochi dubbi, se la scelta di Damasco, della Siria, non sia secondario rispetto alla decisione di ragionare sul disgregamento della famiglia intesa nei suoi ruoli “tradizionali”, con un pater che tutto decide e delibera e le figure femminili che non trovano spazio a una propria autodeterminazione. Altro discorso interessante, ma che resta in superficie, o per meglio dire si tramuta all’interno della storia in una serie di svolte che appaiono però preordinate, prive di una reale naturalezza. Questo perché le psicologie dei personaggi sono monolitiche, non tese a una stratificazione dell’identità e a una forte e concreta dialettica. Si resta dunque nel campo della maniera, e quel termine scelto per identificare il titolo del film, nezouh, che in arabo sta a significare lo “spostamento di anime, acque e persone”, non riesce mai a trasformarsi in vera corrente, in grado di trascinar via insieme a questi personaggi ancorati alle proprie paure e alle proprie abitudini anche lo sguardo dello spettatore. Non c’è dubbio in ogni caso che Soudade Kaadan abbia ben compreso ciò che l’Europa “chiede” al racconto del Vicino e Medio Oriente (ma anche dell’Africa, in particolar modo quella sahariana), e all’immaginario, edulcorato dalla maggior parte delle asperità.

Info
Nezouh – Il buco nel cielo, trailer.

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