Cycle Chronicles

Cycle Chronicles

di

Nel 2005 al Torino Film Festival la proiezione di Cycle Chronicles servì al popolo di cinefili e addetti ai lavori per ricordare l’esistenza dello sguardo eversivo di Kōji Wakamatsu, che pure qui si lanciava in una racconto minimale, quasi disossato, all’apparenza esile e invece ancora fiammeggiante, riottoso, imbastardito.

Hai voluto la bicicletta?

Un ragazzo in bicicletta pedala forsennatamente lungo la strada deserta che collega Tokyo ad Aomori. Mentre lui procede la città svanisce lentamente alle sue spalle. Quali eventi l’hanno indotto a intraprendere un viaggio così arduo? Una storia di colpa e redenzione che si dipana attraverso i meravigliosi paesaggi del Nord del Giappone. [sinossi]

Oltre undici anni fa Kōji Wakamatsu veniva investito a Tokyo da un taxi, e moriva cinque giorni dopo in un letto d’ospedale: nonostante all’epoca si vociferasse qualcosa sulla possibile non casualità dell’incidente (Wakamatsu stava progettando il suo nuovo film, che si sarebbe concentrato sulla Tepco e sulla lobby del nucleare), non si è proceduto in tal senso nelle indagini. Wakamatsu è morto settantaseienne proprio nel bel mezzo della rinascita della sua carriera, anche come allure internazionale: alla Berlinale 2008 si vide il fluviale e fondamentale Jitsuroku rengo sekigun: Asama sanso e no michi, conosciuto al di fuori del territorio giapponese come United Red Army, e da lì la produzione del grande cineasta prese parte al più luminoso proscenio festivaliero, con partecipazioni a Berlino (Caterpillar), Cannes (11/25 The Day Mishima Chose His Own Fate), e Venezia (The Millennial Rapture). Questa ripresa d’interesse del mondo cinefilo internazionale nei confronti dell’opera di Wakamatsu la si riscontra pochi anni prima dell’avvento di United Red Army, nel 2004, quando il cineasta non ha ancora compiuto settant’anni. Nell’arco di pochi mesi si videro infatti Perfect Education 6 e soprattutto 17歳の風景 少年は何を見たのか, traslitterabile come 17-Sai no fūkei shōnen wa nani o mita no ka e traducibile in Panorama di un diciassettenne – Cosa ha visto il ragazzo?. Quest’ultimo film prese parte fuori concorso al Torino Film Festival nel tardo autunno 2005, penultimo anno sotto l’egida di Giulia D’Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto, presentato con il titolo internazionale inglese Cycle Chronicles (alcuni lo riportano anche come Cycling Chronicles): un anno prima era stato selezionato dal glorioso PIA Film Festival, la kermesse giapponese dedicata in forma esclusiva al cinema autoprodotto, con budget ridotti e fieramente indipendente. Elementi che distinguono con forza la produzione cinematografica di Kōji Wakamatsu.

Nel nord del Giappone un diciassettenne se ne va in giro peregrinando sulla sua bicicletta, apparentemente senza meta alcuna. Queste scarne informazioni accompagnavano nel 2005 la presentazione di Cycle Chronicles all’ombra della Mole Antonelliana, e in un’edizione comunque ricca di sguardi verso il Sol Levante (in concorso Utsukushiki Tennen di Takushi Tsubokawa, che vincerà ex-aequo come Miglior Film; fuori dalla competizione Loft e House of Bugs di Kiyoshi Kurosawa, Operetta Tanukigoten di Seijun Suzuki, Shadow di Naomi Kawase, Secret Journey di Takahisa Zeze, e lo straordinario Haze di Shinya Tsukamoto nella sua versione breve inserita nel tradizionale Digital Short Films by Three Filmmakers 2005 indetto dal Jeonju Film Festival) nulla apparve eversivo e rivoluzionario come lo sguardo di Wakamatsu. Molti cinefili e addetti ai lavori erano colpevolmente ignoranti nei confronti del cinema di Wakamatsu, ma anche chi serbava memoria dei vari pugni nello stomaco inferti decenni prima da Embrione, Su su per la seconda volta vergine ed Estasi degli angeli, tra le stilettate più dolorose che il cinema dell’epoca abbia tramandato, non ipotizzava di confrontarsi con un’opera così asciutta da apparire quasi disossata. Del fedele sodale di Masao Adachi – con cui ha condiviso anche la lotta marxista, che il secondo ha condotto fino alle estreme conseguenze partecipando attivamente al FPLP (il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) – si ricordava lo stile scorbutico, privo di compromessi, un cinismo carico di violenza e una poetica disillusa e pessimista, carica di una rabbia impossibile da esprimersi completamente. Un cineasta oscuro, quasi inafferrabile nella sua totale mancanza di punti di riferimento prestabiliti: tutte specifiche, queste, che permettono di comprendere meglio anche la difficoltà oggettiva a sdoganare Wakamatsu nei confronti del pubblico, oltre alla difficoltà oggettiva cui si andava – e si va – incontro nel reperire i materiali visivi della sua sterminata filmografia, che alla fine conterà quasi centoventi lungometraggi.

Cycle Chronicles sembra all’apparenza allontanarsi dal furore belluino delle riottose opere del passato, e sempre all’apparenza l’impressione che se ne ricava è quella di una messa in scena minimale di un viaggio adolescenziale (per di più in bicicletta, mezzo di locomozione che non fa della velocità il suo carattere dominante) lontano anni luce dalle follie iconoclaste a cui si faceva riferimento dianzi. Kōji Wakamatsu firma una sua personale operetta morale, dal chiaro contenuto metaforico, ma che in realtà dimostra come gli artigli non siano mai stati riposti né smussati: la visione della nazione giapponese che viene propagandata da Cycle Chronicles è sempre quella di un Paese privo di speranza, in cui la violenza giovanile esplode perché i ragazzi e le ragazze non possono trovare uno spazio libero nel contesto sociale, schiacciati come sono dal peso dell’ordine, della disciplina, della Storia, della famiglia. Un sistema castrante sotto cui ribolle nel magma l’odio sociale, la voglia disperata di evasione che non guarda in faccia a nessuno, neanche agli affetti naturali. Wakamatsu dissemina il viaggio del suo giovane protagonista – Tasuku Emoto, il figlio di Akira Emoto e Kazue Tsunogae, diciassettenne all’epoca delle riprese: qualcuno lo ricorderà in seguito in Chameleon di Junji Sakamoto, Air Doll di Hirokazu Koreeda, A Story of Yonosuke di Shūichi Okita, Gonin Saga di Takashi Ishii – di monologhi affidati ai personaggi che il ragazzo incontra sulla propria strada, tra i quali quello di un anziano imperniato sulle memorie belliche, così doloroso, straziante, e potente da risultare quasi insostenibile alla visione. La fuga di questo ragazzo che, si scoprirà solo nel corso della narrazione in modo compiuto, ha compiuto l’atroce atto di matricidio, è un calvario a tappe, un percorso di incroci e incontri, nel tentativo disperato di comprendere la colpa personale e di connetterla alla colpa collettiva, e universale, quella di un sistema di valori che non ha alcuna relazione diretta con le grandi nazioni di inizio millennio. Attraverso un rigore della messa in scena inappuntabile nella sua forma geometrica, che non risulta mai un vezzo o un mero esercizio di stile, Cycle Chronicles testimonia la profonda coerenza etica di Wakamatsu, un cineasta che non ha mai dimenticato la complessità che il ruolo di intellettuale impone, e la ricerca dunque non di soluzioni facili ma di assiomi stratificati, che spingano con forza lo spettatore a porsi interrogativi e cercare risposte concrete. Dopo la proiezione torinese ci fu chi accusò il film di essere portatore di un messaggio confondibile. Quella è però la sua vera forza, e la sua essenza più strettamente politica, che si apre non solo alle nuove generazioni per quel che prende corpo in scena ma anche e ancor più al cinema giapponese meno allineato del periodo, a coloro che potrebbero essere definiti suoi “figli”. Non è casuale in tal senso che in scena irrompa la musica di Tenji Nozoki alias Kazuki Tomokawa, rocker dalla voce imbastardita e inconfondibile che sempre nel 2004 fece bella mostra di sé nello straordinario Izo di Takashi Miike, altro film che parlava di omicidio, di colpa ineludibile, di Stato e di necessità impellente a una rivoluzione.

Info
Cycle Chronicles sul sito del TFF.

  • cycle-chronicles-2004-koji-wakamatsu-01.jpg
  • cycle-chronicles-2004-koji-wakamatsu-02.jpg

Articoli correlati

Array
  • Saggio

    Kōji WakamatsuIl cinema di Kōji Wakamatsu

    Affrontare e tentare una trattazione della produzione cinematografica di Kōji Wakamatsu significa prima di tutto partire e immergersi nel milieu artistico/creativo che fiorisce a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta nell’arcipelago nipponico...
  • News

    È morto Kōji Wakamatsu

    Da Tokyo arriva una notizia tragica: Kōji Wakamatsu, il grande eretico del cinema giapponese con all'attivo oltre cento film, non c'è più, deceduto dopo essere stato investito lo scorso venerdì da un taxi.
  • AltreVisioni

    The Millennial Rapture

    di L'ultimo capolavoro di Kōji Wakamatsu è un testamento visivo di straordinaria potenza cinematografica e politica.
  • AltreVisioni

    11/25 The Day Mishima Chose His Own Fate

    di La vita e la morte di Yukio Mishima, intellettuale di punta del Giappone del secondo dopoguerra, raccontate da Kōji Wakamatsu, al suo penultimo film.
  • AltreVisioni

    Caterpillar RecensioneCaterpillar

    di Presentato alla Berlinale, Caterpillar è una ferita nell'animo. È la ferita che ha portato alla generazione delle contestazioni violente, è il prologo e la contestualizzazione di United Red Army.
  • AltreVIsioni

    United Red Army

    di La prima parte dell'opera è una folgorante docu-fiction, dove attraverso una stratificata miscela di found footage e sequenze girate ex novo veniamo resi edotti del panorama politico giapponese tra il 1960 e il 1972...