The Warrior – The Iron Claw

The Warrior – The Iron Claw

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Melodramma con poco pathos e sport movie con poco sport, The Warrior – The Iron Claw di Sean Durkin, racconta con pochi guizzi creativi la storia, tragica fino all’inverosimile, ma vera, dei campioni texani del wrestling noti come i fratelli Von Erich. 

Padre nostro

La vera storia degli inseparabili fratelli Von Erich, che nei primi anni ottanta hanno fatto la storia nel competivo e violento mondo del wrestling professionistico. Tra tragedie e trionfi, all’ombra di un padre/allenatore predominante, i fratelli cercano l’immortalità sul più grande palcoscenico dello sport. [sinossi]

Ispirato alla vera storia dei campioni texani del wrestling anni ’80 noti come i fratelli Von Erich, The Warrior – The Iron Claw di Sean Durkin non ha quasi nulla dello sport movie (niente riscatto, né brama di vincere) è piuttosto un melodramma familiare agricolo dai toni caldi e dorati, ben catturati dalla fotografia in 35mm dell’ungherese Mátyás Erdély (Il figlio di Saul, Tramonto). Un melodramma che sembra però voler negare allo spettatore la catarsi delle lacrime, con il suo limitarsi ad una asciutta cronistoria dei fatti. Seppur incentrato sui suoi protagonisti, di cui esalta le prove e mutazioni muscolari, il film evita poi ogni approfondimento psicologico, per cui i quattro fratelli hanno sì fisicità, capelli e doti acrobatiche differenti, ma in fin dei conti nessuna distinguibile personalità. Loro semplicemente onorano il padre, la madre e ciò che questi hanno loro trasmesso: la fede nel wrestling e quella in Dio. In fondo, sembrano bambini cresciuti in maniera ipertrofica e senza mai affrontare il freudiano complesso edipico.

Terzo lungometraggio a firma dell’autore di La fuga di Martha (miglior regia al Sundance nel 2011) e The Nest – L’inganno (2020), The Warrior – The Iron Claw si apre con un protervo omaggio allo scorsesiano Toro Scatenato, utile solo a narrarci, in un suggestivo bianco e nero, il sogno (poi infranto) del pater familias Fritz (Hat McCallany) di conquistare il titolo di campione. Tale incipit suggerisce inoltre, e in maniera forse poco elegante, che quella che stiamo per vedere è una trasformazione fisica alquanto strabiliante, come fu quella di De Niro per incarnare Jake La Motta e, magari, al pari di quella, altrettanto da Oscar. 

Protagonista e sporadica voce narrante del film è infatti l’ex idolo delle ragazzine Zac Efron, qui pompatissimo e gonfio fino alla mutazione dei connotati facciali, per poter incarnare Kevin Von Erich. Divenuto figlio maggiore in seguito alla morte infantile del fratello Jack, Kevin forma con il fratello David (Harris Dickinson) un vincente duo del wrestling, allenato duramente nel ranch di famiglia da un padre-padrone che non consente opposizioni e al quale si suole rispondere con un assertivo “Sissignore”. Quando poi il presidente Carter comunica che gli Usa boicotteranno le Olimpiadi di Mosca del 1980, ecco far ritorno alla fattoria anche il lanciatore del peso Kerry (Jeremy White, la star della serie-tv The Bear). Il suo destino, manco a dirlo, sarà quello di unirsi ai fratelli sul ring. E la stessa sorte toccherà infine al più giovane e timido Mike (Stanley Simons), che invece sognava di fare il frontman di una rock band. Un altro fratello Von Erich, Chris, è stato invece eliminato da questo adattamento, forse perché aggiungere anche il suo tragico vissuto sarebbe stato davvero troppo per un solo film.

Ben presto si innesta infatti un crescente incalzare di morti, menomazioni assortite e suicidi, tutte vicende realmente accadute, a cui è negato programmaticamente ogni afflato tragico e dove c’è anche poco spazio per quelle tematiche che erano centrali ad esempio in The Wrestler di Darren Aronofsky come il sottile confine, tipico in questo sport, tra il gesto atletico e quello performativo (argomento che viene solo accennato in un dialogo) e, sopratutto, la questione della vulnerabilità di questi performers. Assenti, d’altronde, sono per i protagonisti anche l’autoderminazione e il libero arbitrio, dato che tutto è nelle mani di due divinità: il padre terreno e quello celeste. Dal momento poi che nei fratelli non si manifesta mai alcuna ribellione a queste due entità – c’è solo una scappatella notturna, che resta senza conseguenze, e poi un vago riferimento a “farsi aiutare”, ma di psicologi non vi è nemmeno l’ombra – ne deriva che a governare ogni loro azione è la lotta contro il destino, ed essa sarà pure “teoricamente” epica, ma cinematograficamente è nulla, non avendo di suo alcun appeal né drammatico né audiovisivo. Per cui anche se non ci si annoia durante la visione, di certo sfugge quale sia il punto di vista su queste vicende di Sean Durkin, lui che proprio nel suo esordio, La fuga di Martha, aveva affrontato in maniera interessante il tema della fede, raccontando la difficile fuoriuscita di una ragazza da una setta religiosa.

Travolto dagli eventi, ma non dalle emozioni, lo spettatore di The Warrior – The Iron Claw non può non provare una certa frustrazione, amplificata tra l’altro dal fatto che un incontro di wrestling decisivo viene inspiegabilmente posizionato in ellissi (anzi, ne ascoltiamo solo la telecronaca) e dunque non mostrato. Insomma, non ci resta altro che lo stupore per questa storia così triste e per una condizione etnoatropologica così distante da noi e razionalmente incomprensibile. In The Warrior – The Iron Claw tutto appare infatti immerso in un milieu ancestrale, nel profondo Texas della competizione virile, dei bicipiti, quadricipiti e delle chiome al vento, della devozione alla famiglia e a Dio, della rassegnazione a un destino infausto e a una presunta maledizione che non si può combattere con nessuna arma, muscolare o meno che sia.

Info
Il trailer di The Warrior – The Iron Claw.
La scheda di The Warrior – The Iron Claw sul sito del distributore Eagle Pictures.

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