Jimmy’s Hall

Jimmy’s Hall

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Una storia sulla carta esemplare che scivola via senza lasciare traccia, raccontata con una cadenza meccanica, smaccatamente didascalica. Tra le pellicole presentate in concorso al Festival di Cannes 2014, Jimmy’s Hall è senza dubbio la più prevedibile, probabilmente la più esile.

La ballata triste

1932. Dopo dieci anni di esilio negli Stati Uniti, Jimmy Gralton rientra nel suo paese per aiutare la madre nella gestione della fattoria di famiglia. L’Irlanda che ritrova, una decina d’anni dopo guerra di indipendenza, ha un nuovo governo. Si respira aria di cambiamento. Sospinto dall’entusiasmo dei giovani della contea di Leitrim e malgrado la reticenza a provocare vecchi nemici come la Chiesa e i proprietari terrieri, Jimmy decide di rimettere in piedi la Pearse-Connolly Hall, uno spazio aperto a tutti, un ritrovo per danzare, suonare, studiare, confrontarsi, imparare la boxe. Il successo è immediato, ma l’influenza delle idee progressiste di Jimmy sulla popolazione scardinano i delicati equilibri della Contea… [sinossi]

Tra le pellicole presentate in concorso al Festival di Cannes 2014, Jimmy’s Hall è senza dubbio la più prevedibile, probabilmente la più esile. Una storia sulla carta esemplare che scivola via senza lasciare traccia, raccontata con una cadenza meccanica, smaccatamente didascalica.
Ancor più delle precedenti opere della sua corposa filmografia, Ken Loach sembra voler “parlare” al grande pubblico, smussando qualsiasi possibile asperità, banalizzando, tratteggiando personaggi monodimensionali. Jimmy’s Hall non è un film “sbagliato”, è esattamente quello che vorrebbe essere. Purtroppo è davvero troppo poco.

Non si può che volere bene a Ken Loach, cineasta da sempre politicamente impegnato, coerente, disponibile. Un uomo del popolo, il portavoce cinematografico della working class, in tutte le sue possibili declinazioni, a qualsiasi latitudine. Ma l’affetto, come il senso di gratitudine, comporta qualche responsabilità. In primis, almeno dal nostro punto di vista, il dovere di rilevare la progressiva e preoccupante deriva del suo cinema, di una poetica che sembra essersi impelagata da anni nelle sabbie mobili della retorica politica, della comunicazione didascalica, nella mappatura frettolosa delle ingiustizie sociali e storiche, nella beatificazione degli eroi di una lotta senza fine. In Jimmy’s Hall le vallate sono verdi, la colonna sonora è coinvolgente e onnipresente, gli eroi sono giovani e belli e i proprietari terrieri frustano le figlie ribelli, i fascisti digrignano i denti, i preti bacchettano e comandano, la polizia esegue gli ordini. Non c’è una crepa, una sfumatura. E alla fine c’è anche poca storia, poca narrazione, soffocata da una sceneggiatura che vorrebbe alternare lacrime e risate, buoni e cattivi, come nella macrosequenza della messa e della serata danzante al Pearse-Connolly Hall – da una parte l’irritante e scorretta predica politica dell’anziano prete conservatore, mentre dall’altra si vive di musica e grandi ideali. Tutto vero, ma non basta, non bastano buoni sentimenti e buoni propositi per fare un film. Soprattutto per un lungometraggio che concorre alla Palma d’oro – e qui torniamo a bomba, all’affetto per Loach, alla sgradevole sensazione che i premi regalati (l’incomprensibile Premio della Giuria a Cannes 2012 per La parte degli angeli) siano più dannosi che altro. Non sono le critiche dei nemici a far suonare il campanello d’allarme…

Rintracciamo una speranza nell’incipit di Jimmy’s Hall, nel bianco e nero sgranato e imperfetto delle immagini d’archivio. L’imperfezione è la nostra speranza. L’imperfezione degli eroi, dei lavoratori, del pensiero politico. Perché i compitini, come i buoni propositi, servono a poco o niente.

INFO
Jimmy’s Hall sul sito del Festival di Cannes.
Il trailer originale di Jimmy’s Hall.
Jimmy’s Hall su Twitter.
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