Berlinale 2017
Febbraio, inverno, freddo. A volte con neve. È tempo di tornare a Berlino, di immergersi nella marea di film proposti dalla Berlinale 2017, di percorrere in lungo e in largo Potsdamer Platz. Da oggi a domenica 19, un appuntamento immancabile, a volte un po’ (troppo) prevedibile.
Ripartiamo da prevedibile. Spulciando il vastissimo, eccessivo e magmatico programma della Berlinale 2017, suddiviso nelle solite sezioni (concorso, forum, panorama, generation e tutto quel che segue), l’impressione è che questa edizione potrebbe non restare impressa nella memoria. Certo, si attendono con entusiasmo le prove degli infallibili Aki Kaurismäki (The Other Side of Hope) e James Gray (The Lost City of Z); ci si sente già coccolati dal cinema immutabile di Hong Sangsoo (On the Beach at Night Alone); si è pronti a rifugiarsi nella dolente spettacolarità di Logan di James Mangold. E poi Sabu (Mr. Long), Álex de la Iglesia (El bar), la crescente curiosità per Have a Nice Day di Liu Jian e l’incrollabile certezza perfettamente rappresentata da Eight Hours Don’t Make a Day di Rainer Werner Fassbinder. Non solo questi titoli, ovviamente. Si attendono sorprese, conferme, crescite magari esponenziali. Però questa prevedibilità riaffiora subito, già dal film di apertura, Django di Etienne Comar, compitino tzigano sull’Olocausto: non una cartina tornasole, ma forse un indizio, l’ennesima testimonianza di una linea editoriale, di una idea di cinema che resta avvinghiata al sociale, al politico, al civile. All’impegno. Al contenuto. Alla lunga, dopo tanti anni ed edizioni, dopo tanti concorsi fatti con lo stampino, il meccanismo rischia di diventare – appunto – prevedibile.
Prendiamolo come un fuorviante campanello d’allarme. La Berlinale 2017 è appena iniziata ed è inutile tracciare futuribili bilanci. Però – perché un però continua a ronzarci in testa – nel fittissimo calendario festivaliero, tra kermesse che si accavallano e si cannibalizzano… [continua a leggere]