Napoli velata

Napoli velata

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Ferzan Özpetek si lancia con Napoli velata nel sabba misterico partenopeo, affidando a Giovanna Mezzogiorno le chiavi di un thriller psicologico che sconfina nel soprannaturale e ha luogo alle pendici del Vesuvio. Un’occasione sprecata, per i difetti insiti nel cinema del regista italo-turco.

Desiderando Andrea

Una sera a una festa Adriana incrocia gli sguardi seducenti e provocatori di Andrea, un giovane attraente e sicuro di sé. Lei non riesce a sottrarsi a quella schermaglia sensuale e i due trascorrono così la notte insieme. Ma non sembra chiudersi tutto lì: si danno, infatti, appuntamento per il giorno dopo. In lei cresce rapidamente un sentimento più forte, forse l’inizio di un grande amore che potrebbe cambiarle la vita. La svolta arriva, ma diversamente da come si aspettava. La situazione precipita quando rimane coinvolta in un delitto che la trascina al centro di un’indagine dai contorni inquietanti. Uno scossone capace di minare ogni sua certezza. Involontariamente, senza possibilità di scampo, s’infila in un percorso dentro la più segreta zona d’ombra della propria personalità. [sinossi]

La Napoli velata cantata da Ferzan Özpetek in questa ballata mesta e misterica che arriverà in sala nel cuore delle feste, sfidando i residui delle uscite natalizie e un altro film a suo modo mortuario, quel Coco che riporta ad alti livelli la produzione Pixar, è la città del “gabinetto segreto” del Museo Archeologico, la città dei doccioni che appaiono all’improvviso a ridosso di un portone, la città del culto di Priapo, delle sculture celate sul fondo del mare, la città che mantiene il culto delle anime pezzentelle. Il regista turco ma da oltre quarant’anni adottato dall’Italia cerca di muoversi tra i venti del lungomare Caracciolo trasportando la sua naturale propensione al melodramma intimo (e per lo più femminile) nella sguaiata eloquenza partenopea, che non ha timore di urlare la propria visceralità: l’esatto opposto di Adriana, che da bambina ha assistito a qualcosa di inenarrabile e che è donna mite, appagata nel lavoro – è medico legale all’ospedale – ma non nella vita intima, che trascorre sola soletta, eccezion fatta per la frequentazione della ricchissima magione della zia materna, e del salotto letterario che prende vita lì, tra teatranti che metteno in scena un parto maschile, e ricercatrici di opere d’arte dell’antichità. Proprio durante uno spettacolo Adriana conosce e si invaghisce al volo di Andrea, sub campione di immersione in apnea che ricambia l’attrazione e con fare sicuro prende in mano la situazione. Da quella notte d’amore rovente – che Özpetek mette in scena con sguardo carnale ma sfiorando in più di un’occasione lo sconfinamento nel ridicolo involontario – Adriana non si riprenderà più.
Napoli velata è in fin dei conti tutto qui, per quanto la storia si dilunghi in un intrico infinito di sottotrame, personaggi secondari, misteri che spuntano fuori da ogni dove: anzi, è proprio l’urgenza del regista di accumulare materiale degno più di Un posto al sole che di un film d’autore a recludere il significato intimo del film solo in quell’incipit d’amor fou e focoso. È lo stesso Pasquale, l’amico di sempre interpretato da Peppe Barra, a far notare come le ossessioni di Adriana sembrino quelle della protagonista di una telenovela. E non si discosta molto da quel riferimento culturale, Özpetek, per quanto cerchi di farsi prendere la mano da movimenti di macchina sinuosi, come quello iniziale che ruota sulla tromba delle scale di un palazzo d’epoca, rincorrendo Hitchcock e perdendosi dentro se stesso, vuoto come lo stesso scenario che sta riprendendo (e ben diverso da un movimento di macchina non troppo dissimile che rappresentava il punto focale de L’amore molesto di Mario Martone, un regista che invece ha sempre avuto molto chiaro cosa si muove nel cuore di Napoli e dei suoi abitanti).

Vorrebbe essere il ritratto di una mente in frantumi da ricostruire, Napoli velata, così come la città matrigna e solo all’apparenza solare nella quale il film è ambientato: ma il gioco mostra fin troppo facilmente i propri punti deboli, la mancata raffinatezza nella scrittura dei personaggi, il rincorrersi di situazioni sempre più paradossali che però Özpetek non sa tratteggiare con il gusto del paradosso dell’Almodóvar dei tempi andati (quello rimane in ogni caso il riferimento artistico principale), la voglia di mostrare ciò che dovrebbe essere celato e che invece viene sbattuto in faccia al pubblico: il gioco di raffronti tra le sculture dell’epoca classica e le memorie di Adriana del corpo dormiente e nudo di Andrea raffigurano con una certa precisione le defaillance di un’opera come sempre esagerata, ma senza una reale motivazione.
Tra prospettive mèlo portate alle estreme conseguenze e una napoletanità fittizia, costruita per l’occasione, Napoli velata sembra essere suggestionato con forza più che altro da Personal Shopper di Olivier Assayas, senza però averne chiaro il senso; l’utilizzo della scarnificata struttura della città guarda nella stessa direzione, ma non approda a molto, se non alla recitazione sofferta e comunque encomiabile di Giovanna Mezzogiorno, che riesce a donare una credibilità pur minima a un personaggio scritto davvero con superficialità. Regista che non ama lavorare sul dettaglio, Ferzan Özpetek mette in scena una città misterica svelando tutti i segreti dei suoi personaggi e della sua trama solo attraverso una continua e stancante verbalizzazione: è così per ciò che si agita nella mente di Adriana, ma non solo. Napoli velata si dimostra dunque come un’opera vetusta, che al contrario delle sculture antiche non sa parlare all’oggi. Un’opera di misteri che non sa coprirsi col velo, e che crede ancora come un pubescente che il nudo sia erotico, e l’evidenza sia più scioccante di ciò che si cela nell’ombra. Si arriverà forse a materializzare i tarli che si agitano nella mente di Adriana, ma a rimanere impalpabile sarà un’intera città, con il suo mistero.

Info
Il trailer di Napoli velata.
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