City of Lies – L’ora della verità

City of Lies – L’ora della verità

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City of Lies – L’ora della verità è un blando poliziesco che cerca la chiave di volta del racconto di denuncia, ma trova quasi esclusivamente semplificazioni grossolane e retoriche, con una sfasata alternanza tra passato e presente.

La città degli angeli (e delle menzogne)

Russell Poole è un ex-detective che ha dedicato la sua vita a un caso mai risolto, gli omicidi delle due star del rap Tupac Shakur e The Notorious B.I.G., avvenuti alla fine degli anni ’90. Vent’anni dopo riceve la visita di Jackson, un reporter dell’ABC che a sua volta legò a quel caso il suo unico momento di notorietà e oggi vede smantellate le teorie esposte nel documentario che gli valse un Emmy Award. I due si immergono insieme in una nuova indagine, decisi a smascherare il coinvolgimento della corrotta polizia di Los Angeles. [sinossi]

La storia di Russell Poole è anzitutto una parabola di frustrazione e di dolore. La vicenda di un uomo interno al corpo di polizia e costretto a fare i conti per tutta la vita con lo scoramento di chi ha perso ogni speranza. Ritrovatosi, suo malgrado, a subire l’onta di un’espulsione e costretto a rinunciare alla sua posizione di agente perché investito da una montagna di eventi molto più grande di lui e decisamente insormontabile.
A portarla al cinema ci ha pensato il regista Brad Furman, già abituato, nel corso della sua carriera, a confrontarsi con storie dal taglio civile e muscolare. Fin dal suo esordio con The Take – Falso indiziato, presentato al Toronto Film Festival nel 2007. Un cineasta non ancora esploso ma dai trascorsi professionali già ricchi (tra i suoi lavori collaterali e commerciali anche la regia del videoclip What Do You Mean? di Justin Bieber e altri video musicali), originario di Filadelfia ma alle prese, in questo caso, con un film ambientato nella costa opposta dell’America, a Los Angeles.

In City of Lies – L’ora della verità il vissuto di Poole e i suoi trascorsi problematici sono ricostruiti in maniera minuziosa, forse fin troppo: il film ha infatti la confezione statica e purtroppo blanda di un tv movie non particolarmente ispirato, pieno di meccanicità narrative e di un profluvio di dialoghi, indizi, piste e dettagli seminati in maniera pressoché ininterrotta.
La sceneggiatura, firmata da Christian Contreras, al suo esordio come scrittore per il grande schermo, in tal senso è senz’altro generosa ma anche inevitabilmente caotica (Contreras tra l’altro era stato attore in un precedente film di Furman, The Infiltrator, con protagonista Bryan Cranston nei panni di un talpa nel cartello di Pablo Escobar).
Più che ricostruire, infatti, City of Lies sembra lavorare esclusivamente d’accumulo: emerge in maniera palpabile il bisogno di Poole di rivolgersi a un interlocutore per riportare alla luce il caso dell’omicidio delle due star del rap Tupac Shakur e The Notorious B.I.G., ma tale necessità, dal punto di vista cinematografico, si traduce con un ammasso di verbosità da riversare sullo spettatore per metterlo in pari con i mille anfratti di un caso controverso e molto spinoso. Senza però pervenire, in nessuna occasione, a una misura narrativa, a una compostezza drammaturgica che dia peso al racconto e gli conferisca corpo e spessore.
Gli intenti sono senz’altro nobili, perché si parla di cronaca nera in maniera cruda e vigorosa, con uno sguardo amaro e sarcastico sul corpo di polizia americano visto dall’interno. Nei suoi paradossi e nelle durezze più respingenti, peraltro addentrandosi in un sottobosco sordido e pieno di lati oscuri, dal punto di vista sia umano che istituzionale. Ci si sofferma su temi degni di nota come la giustizia fai da te e la questione razziale americana, tra insabbiamenti e operazioni sotto copertura, con uno sguardo, purtroppo anch’esso fuggevole e semplificato, alla cultura hip hop della West Coast degli anni ’90, con Los Angeles a fare da centro dell’industria musicale e cinematografica, da Rodney King alla caduta di O.J. Simpson.

La carica retorica della denuncia civile, piuttosto ingenua e mal dosata, finisce tuttavia ben presto col cannibalizzare quasi interamente il film, ispirato a un articolo di 16.000 parole pubblicato sul Rolling Stone da cui è stato tratto il libro Labyrinth di Randall Sullivan, edito nel 2001 e punto di riferimento dell’operazione. Il tono, infatti, è dichiaratamente dalla parte del protagonista e tale approccio impedisce ulteriormente di mettere a fuoco la ricostruzione degli eventi, consentendo soltanto di inoltrarsi nelle secche amorali e anaffettive dei componenti del LAPD (Los Angeles Police Department). Il tutto con un piglio ruvido ma in fin dei conti asettico, poco lucido tanto nel restituire l’idealismo ammaccato e sdrucito dei suoi membri, e di quanti gravitano loro intorno, quanto la dimensione fallimentare di una crociata contro i mulini a vento dell’omertà.
Il Jack Jackson interpretato da Forest Whitaker, che da giovane si rese protagonista di una ricostruzione giornalistica su chi avesse ucciso Christopher Wallace e Biggie Smalls (una storia molto simile a quella racconta in City of Lies) è interpretato dall’attore col pilota automatico, come si conviene a un prodotto che non investe pressoché nulla sulle caratterizzazioni dei personaggi e provvede a proporle in maniera estremamente pigra e monocorde, oltretutto attraverso un’alternanza tra presente (il 2015, ai giorni nostri) e il passato (i flashback del 1997) di cui si abusa senza costrutto, producendo un continuo e reiterato sfasamento percettivo.
Non fa meglio Depp nei panni di Poole, personaggio che per vent’anni vide le sue teorie messe al bando e ostracizzate e che tentò fino alla morte, avvenuta proprio nel 2015 per arresto cardiaco, di far emergere la sua verità, riaprire il caso e riabilitarsi attraverso la ricerca sul campo. Un uomo deriso da tutti ma del quale l’attore non riesce a restituire alcuna sfumatura intima e psicologica, limitandosi, come da troppo tempo a questa parte gli accade (Grindelwald della saga di Animali Fantastici compreso), a timbrare il cartellino e a portare a casa il minimo sindacale. Anche se in questo caso l’interprete, di recente estromesso anche dalla saga dei Pirati dei Caraibi, è riuscito a fare anche di peggio, malmenando un location manager sul set del film e compromettendo, a causa di questo brutto episodio, l’uscita di City of Lies negli Stati Uniti.

Info
Il trailer di City of Lies – L’ora della verità.
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