Tolkien

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L’arma impropria del biopic non concede vie di scampo, ed ecco che perfino l’età giovanile di J.R.R. Tolkien deve diventare un film. Ma ha davvero senso raccontare gli anni formativi del grande letterato e studioso britannico? La domanda resta inevasa, vista la scarsa brillantezza del film di Dome Karukoski, un regista che agli esordi sembrava promettere ben altre qualità.

Gli anni dei Valar sono un’illusione

Orfano scampato alla Prima Guerra Mondiale, John Ronald Reuel Tolkien ripercorre in trincea la sua vita, ritorna sulla sua giovinezza, sugli anni degli studi, del primo amore e dei fedeli compagni di scuola. Risale il tempo fino alla stagione più bella, vissuta con immaginazione e interrotta bruscamente dalla guerra. La Grande Guerra che distruggerà la ‘comunità’ in cui si è forgiato come l’unico anello l’immaginario dei romanzi a venire. Professore a Oxford segnato dall’inferno della Somme nel 1916, J. R. R. Tolkien sposa Edith Bratt e la fascinazione per il folklore germanico (e scandinavo), scrivendo (tra gli altri) “Il Signore degli Anelli” e diventando lo scrittore più letto al mondo con 150 milioni di libri venduti. [sinossi]

John Ronald Reuel Tolkien, ben prima che la trilogia diretta da Peter Jackson facesse incetta di milioni di dollari e di Oscar, è sempre stato “ridotto”, nel pensiero comune, al ruolo di autore de Il signore degli anelli, il più rivoluzionario romanzo fantasy apparso nella storia della letteratura moderna. Non che si voglia in alcun modo sminuire il valore di un’opera così stratificata, ricca, in grado di resuscitare una scrittura e una forma mentis desueta, ancestrale, e allo stesso tempo di inventare lingue, fonemi, strutture grammaticali, culture intere. Ma appare comunque limitante non cogliere l’importanza complessiva dell’erudito Tolkien, a partire dalla saggistica fino ad arrivare agli scambi epistolari con colleghi, amici, parenti. Ben al di là del mondo fantasy, Tolkien è stato un pensatore, ha analizzato dal suo punto di vista fenomeni sociali complessi, muovendosi sempre in una direzione non prona al pensiero comune, alle mode del momento, ai desideri della massa. Monarchico ma favorevole a un’economia che si basasse sulla redistribuzione, anti-stalinista convinto ma feroce oppositore del nazismo e dell’utilizzo fatto dagli hitleriani della cultura nordica e germanica, inglese favorevole non solo alla perdita delle colonie imperiali ma anche a uno smembramento del Regno Unito, perché nessuno Stato dovrebbe essere troppo grande. Un intellettuale rigoroso, ma pronto ad aprirsi all’immaginario, al fantastico, all’immensamente piccolo. Un intellettuale cattolico, ma disgustato da chi approfittava del contesto sovrannaturale del fantasy per inscenare allegorie cristiane e cattoliche: celebre il dissidio, sotto questo punto di vista, con C.S. Lewis (autore de Le cronache di Narnia), che pure era stato proprio Tolkien a condurre nel cammino della fede allontanandolo dall’ateismo.

Proprio partendo da tutte queste contraddizioni – o, per essere più precisi, da questa stratificazione del pensiero – è deprimente dover assistere sullo schermo al film biografico diretto da Dome Karukoski e scritto a quattro mani da David Gleeson e Stephen Beresford. L’aspetto più interessante, per quanto con ogni probabilità involontario, sta nel linguaggio cinematografico utilizzato: Tolkien è un biopic che sembra provenire da epoche lontane, possiede un ritmo del tutto fuori fase rispetto al cinema contemporaneo, e allo stesso tempo una fascinazione per il languore fotografico – si pensi in particolar modo alle sequenze belliche – e per la parola molto distanti dall’oggi. In qualche misura si potrebbe arrivare, con uno sforzo va detto un po’ ardito, a mettere in relazione questa astrazione del film dal suo tempo con l’operazione letteraria dello stesso romanziere, così platealmente disinteressato alle evoluzioni (o involuzioni, dipende dal punto di vista) del linguaggio.
Ma ci si sta spingendo oltre il lecito, probabilmente. Tolkien è un film vecchio e stanco, due aggettivi che neanche il più arcigno dei detrattori potrebbe utilizzare nei confronti de Il signore degli anelli, Lo Hobbit, Il Silmarillion, e via discorrendo. Lo è perché si ostina, come quasi sempre fanno le riduzioni biografiche di vite di artisti, a semplificare supponendo che ogni singolo elemento di creazione di un’opera sia collegato in modo ostinato a eventi realmente accaduti nella vita quotidiana. Così le suggestioni dei nazgul e le immagini dell’assedio di Gondor sarebbero frutto del deliquio febbrile durante la battaglia della Somme nella Prima Guerra Mondiale, tanto per portare un esempio pratico. Uno stratagemma narrativo che da un lato cerca di solleticare lo spirito citazionista dei fedeli cultori di Tolkien (che possono ricostruire a loro piacimento le opere che hanno amato attraverso rimandi “non ufficiali”) e dall’altro consente di limitare i rischi di infedeltà. Quell’infedeltà che invece il cinema dovrebbe rivendicare a ogni pie’ sospinto, in particolar modo quando si trova a tu per tu con l’opera di un uomo che ha fatto della creazione ex novo la base del proprio agire.

Si può argomentare che la regia sia al servizio della storia, ma dal cipriota Dome Karukoski era lecito attendersi molto di più, ripensando a opere oramai andate nel tempo come The Home of Dark Butterflies o Heart of a Lion; qui si limita a imbellettare la storia con qualche raffinatezza non richiesta, imbellettando un corpus di per sé già smarrito tra le crinoline. Si può argomentare ancora di più, e forse meglio, rivendicando la qualità attoriale del giovane Nicholas Hoult, e non c’è dubbio che la sua verve nel vestire i panni di Tolkien sia l’aspetto più gratificante della visione. Ma può bastare? A qualcuno può davvero interessare pensare che per un giovane futuro letterato la guerra fosse “male” e l’amore per una giovane e leggiadra pulzella fosse “bene”? Una riduzione tranchant e che non è rispettosa né della statura intellettuale di Tolkien né (forse) dell’intelligenza degli spettatori. E se lo scopo – sempre che un film debba avere uno scopo ulteriore al fatto di esistere – doveva essere quello di invogliare il pubblico a recuperare la vasta bibliografia tolkeniana è probabile che sia fallito miseramente.

Info
Il trailer di Tolkien.

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