CODA – I segni del cuore

CODA – I segni del cuore

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Arriva in sala subito dopo la vittoria del Premio Oscar al miglior film, CODA – I segni del cuore, ed è impossibile non interrogarsi sul senso di un simile trionfo, del tutto spropositato rispetto alle qualità del film di Sian Heder: un teen movie medio, grazioso, con alcune lungaggini. Nulla che giustifichi una particolare attenzione. In che direzione si sta muovendo l’immaginario dominante statunitense?

Still I’m gonna miss you”

A Gloucester, Massachusetts, la diciassettenne Ruby è l’unico membro udente della sua famiglia, composta dai genitori e dal fratello maggiore: l’adolescente si prodiga moltissimo per loro, aiutandoli quotidianamente nella loro attività di pescatori, mentre lei sta terminando il liceo. La ragazza è l’elemento essenziale del nucleo famigliare, molto unito al suo interno ma non sempre ben accettato all’esterno, e pare un tassello insostituibile sia per il lavoro che per i rapporti tra i genitori con il resto del mondo. Ma Ruby ha un sogno: studiare canto. Un sogno che, se si avverasse, potrebbe turbare enormemente gli equilibri famigliari… [sinossi]

CODA – I segni del cuore è un teen movie di buoni sentimenti cui è difficile voler male. Remake americano de La famiglia Bélier (2014) di Éric Lartigau, il film trasporta l’identica vicenda dallo sfondo rurale della Francia a una cittadina costiera del Massachusetts, dove vediamo nella prima scena Ruby (Emilia Jones) intenta a pescare cantando assieme al padre (Troy Kotsur, che per il film ha vinto l’Oscar come attore non protagonista) e al fratello (Daniel Durant), entrambi appartenenti alla comunità sorda, per poi precipitarsi a scuola, allieva all’ultimo anno della high school locale. La quotidianità della protagonista che si sveglia all’alba per aiutare i suoi e poi andare a scuola come i figli delle famiglie “normali”, così come l’ambientazione periferica e marittima sono subito ben tratteggiate e sono ben messi sul piatto, immediatamente dopo, i potenziali conflitti che emergeranno durante il film. C’è una freschezza, senza dubbio, nei personaggi e nelle loro caratterizzazioni, il che rende scorrevole e piacevole la prima parte dove vengono impostate le difficoltà nei rapporti tra Ruby e i suoi e tra Ruby e se stessa e che dovranno trovare una risoluzione nella seconda metà del film. Una volta chiariti i problemi da dipanare, il film inizia però a perdere mordente, andando tutto placidamente per il meglio senza alcuna reale asperità ma con molta tenerezza, configurandosi come un classicissimo teen e non certo dei più memorabili. CODA – I segni del cuore ha però vinto il Premio Oscar come miglior film americano del 2021 (di fatto, il film è una produzione francese con l’aggiunta del produttore americano Patrick Wachsberger, il che significa che la prestigiosa statuetta è finita quasi più in Europa che negli Usa) ed è impossibile, se non ingiusto, non tenerne conto.

Laddove, forse, il successo francese di cui CODA è quasi un calco, innestava un tipico genere a stelle e strisce, ossia i film sugli adolescenti, in un’ambientazione europea e nel racconto di una famiglia sorda, la versione americana si nutre, ricalcando l’originale, di tantissime ricorrenze del genere autoctono, tipiche di innumerevoli teen movie a partire dall’immancabile conflitto tra protagonista adolescente e famiglia, per arrivare alla paura della protagonista rispetto al mondo esterno che contraddistingue un’enormità di titoli e dà vita a infinite trame, fino all’importanza di un insegnante – in questo caso l’insegnante di canto – capace di instillare la fiducia in se stessi che per le più svariate ragioni non si era avuta prima e di indicare nuovi orizzonti esistenziali (accade così in Noi siamo infinito di Stephen Chbosky per non parlare de L’attimo fuggente di Peter Weir). Raramente l’Academy ha premiato dei teen movie con la più importante delle statuette tanto che si possono trovare due soli precedenti: Gente comune (1980) di Robert Redford, dramma famigliare borghese sul senso di colpa in cui il protagonista è un ragazzo; American Beauty (1999) di Sam Mendes, film millenaristico con uno sfondo teen implicato dalla centralità delle liceali Thora Birch e Mena Suvari. Due titoli spuri, in cui l’adolescenza è legata inesorabilmente alle tragedie della vita adulta e della società contemporanea, ma comunque annoverabili nel genere. CODA (acronimo per Child of Deaf Adults, ossia “figlio di genitori sordi”) è in qualche modo il teen più puro mai preso in considerazione dagli Oscar, che non premiarono neppure il già citato L’attimo fuggente che sicuramente ha un posto cruciale per l’immaginario in questione (e forse per un’intera generazione). Non è dunque certamente un male che un film sugli adolescenti – scintilla che ha partorito centinaia, migliaia di titoli negli Stati Uniti – abbia raggiunto il massimo premio americano per il cinema, dopo che Hollywood ha snobbato lavori come Stand by Me di Rob Reiner o La vita è un sogno di Richard Linklater, solo per citare due grandi film. Il “problema” di CODA, se di problema vogliamo parlare, è che un film assolutamente derivativo (non solo per il suo essere un remake, ma per la scarsa originalità rispetto proprio ai modelli americani), carino, innocuo e privo di sussulti, venga così sovrastimato non solo da battere ma addirittura da concorrere con titoli ben più “pesanti” come quelli che lo affiancavano tra i nominati per gli Oscar 2022. CODA, presentato al Sundance 2021, è stato comprato subito da Apple per una distribuzione mirata prevalentemente allo streaming, tanto che in Italia il film esce in sala solo sulla scia del premio, essendo già visibile sui canali a pagamento. Non stupisce affatto, perché se si può sicuramente affermare che il film Premio Oscar è un prodotto medio guardabile e dimenticabile in fretta nella miriade di visioni possibili offerte dai cataloghi, altrettanto sicuramente il film è perfetto per una visione televisiva mancando totalmente, tragicamente, di forza e pregnanza cinematografica. A colpire in negativo è in particolare la fotografia di Paula Huidobro, che non a caso ha lavorato quasi esclusivamente per tv movie e serie tv, e che qui restituisce il sentore del prodotto televisivo nella sua più pura essenza monocorde. Ugualmente la regia di Sian Heder (anche lei proveniente dal mondo delle serie tv) è utile ad accompagnare la storia, sicuramente non sgradevole (e per cui ha vinto l’Oscar alla miglior sceneggiatura non originale), mentre l’unica idea interessante – quella di farci percepire, in una scena chiave, cosa significa l’assenza di sonoro che prova una persona sorda – era già presente nell’originale francese. Con queste caratteristiche, CODA viene dunque non solo accostato a West Side Story, Licorice Pizza, Dune o Belfast (film assai diversi tra loro, come il resto dei candidati di quest’anno, ma di certo non tacciabili, nessuno, di non possedere un forte e preciso senso di cosa significa mettere in scena, fare cinema, e in cosa questo si distingua da una pura ripresa del testo), ma addirittura indicato come il migliore e il più importante dall’industria del cinema americano, portando con questa indicazione una sovrastima per un film piccolo di certo non fondamentale come CODA e soprattutto a una (s)valutazione del cinema come prodotto in cui contano solo i temi a dispetto di qualsiasi altra stratificazione. Un cinema televisivo, perfetto per un pomeriggio di Canale 5, così piccolo che potrebbe andar bene anche visto su un cellulare (magari un Iphone). La responsabilità, ovviamente, non va a chi – furbamente e legittimamente – ha ripreso il proprio film francese e lo ha ri-prodotto per il mercato americano, ma all’industria hollywoodiana, che da una parte non ha mai prestato grande attenzione a uno dei propri prodotti di punta, il teen movie, dall’altra destina oggi il suo maggior riconoscimento a un film perfetto per l’home video dove infatti era stato collocato.

Certamente le parole d’ordine dello scenario americano, con il suo codazzo di autorappresentazione pubblica, hanno dato una mano a questo bizzarro exploit: il film parla di sordi e, a differenza de La famiglia Bélier, è interpretato da attori realmente sordi. Se, appunto, nei teen è immancabile il conflitto tra protagonista adolescente e famiglia, qui la famiglia è particolare, ossia è una famiglia della comunità sorda: basta questo, probabilmente, per far compiere a CODA quello scarto che non è riuscito ad alcuni capolavori sull’adolescenza. L’inclusività, i buoni sentimenti, la comprensione dell’alterità, il promuovere messaggi positivi per il pubblico, sono probabilmente stati i fattori fondamentali per incoronare il film di Sian Heder come “migliore”. Eppure CODA è un lavoro dignitoso ma davvero molto lineare nel suo scontato sviluppo e a cui soprattutto manca il respiro del cinema nella messa in scena e in qualunque idea registica. Un film innocente, in cui i personaggi sono al fine tutti carini, dove non esistono reali ostacoli (né per la questione lavorativa dei genitori di Ruby, né per Ruby stessa che intesse con facilità la sua love story col compagno di coro), in cui la musica – quell’elemento imponderabile e sentimentale che i genitori di Ruby non possono udire ma che, diversamente, conoscono nel profondo del cuore – è sicuramente ben selezionata e ben sfruttata, un racconto famigliare grazioso e aggraziato con personaggi credibili, mai stucchevoli, che diventa quasi superfluo in tutta la seconda parte visto che in realtà non c’è un conflitto che non sia già risolto a priori, ma solo un soave attraversamento che porta dalla high school all’università. La cosa vagamente strana, o forse un po’ imbarazzante, è che sì, certo, il film valorizza le comunità sorda anche grazie al lavoro di bravi attori (tra cui Marlee Matlin, già premio Oscar per Figli di un dio minore, nel ruolo della madre di Ruby), ma alla fine ci dice che chi è “normodotato” può aspirare a coronare i propri sogni, mentre la famiglia dei sordi resterà alla sua pesca da sussistenza in una cittadina a 60 km da Boston. A ben vedere, forse, il “messaggio” è meno inclusivo di quanto pensa di essere: la protagonista infatti non è sorda ed è la sua vita, solo la sua, che sta prendendo il volo. Quel che resta è un teen come tanti altri e qualitativamente ben al di sotto di decine (probabilmente centinaia) di tanti altri.

Info
Il trailer di CODA – I segni del cuore.

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