Io e Spotty

Io e Spotty

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Cosimo Gomez torna alla regia con Io e Spotty, tenero e bizzarro racconto sentimentale dell’incontro tra una universitaria in crisi con gli esami e un ragazzo che la contatta per offrirle un lavoro come dogsitter di… Sé stesso. Una commedia sui generis, che guarda all’universo indie d’oltreoceano e non rinuncia al retrogusto amaro nel tentativo di raccontare il disagio, e la difficoltà ad accettare la propria identità. Bravi i protagonisti Michela De Rossi e Filippo Scotti.

Cani mascherati

A Bologna, la venticinquenne Eva è una studentessa di legge fuorisede e fuoricorso, che non riesce più a dare esami e soffre di attacchi di panico. Per non gravare troppo sulla madre lontana, cerca un nuovo lavoro come dog sitter e le risponde Matteo, giovane animatore di cartoni animati. Il ragazzo la invita a casa sua per prendersi cura del cane Spotty, ma all’arrivo Eva si rende conto che sotto le chiazze bianche e nere del pelo c’è proprio Matteo in un costume. [sinossi]

L’estate 2022, con un botteghino sempre più monopolizzato dai pochi titoli realmente mainstream a disposizione (l’onda lunga di Top Gun: Maverick e Jurassic World – Il dominio, e ora Thor: Love and Thunder), sta facendo emergere dal sottobosco una serie di titoli italiani abbandonati al loro destino ma in realtà in grado di propagare un’autentica volontà a muoversi fuori dagli schemi usurati e in parte abusati della produzione nazionale. Si pensi a Le voci sole di Andrea Brusa e Marco Scotuzzi, racconto da una prospettiva operaia della vacuità dell’era digitale, o al thriller Tenebra di Anto, notturno incubo claustrofobico con più di una velleità; film che avrebbero meritato in tutta franchezza un’attenzione diversa, anche da parte di una critica sempre più svogliata, adagiata sull’ovvio, interessata a rincorrere il prodotto di punta senza preoccuparsi degli arcipelaghi più distanti e selvaggi. Rientra nella schiera delle opere che rischiano di andare incontro a uno sguardo superficiale, e dunque di essere dimenticati in fretta e furia anche Io e Spotty, con cui torna alla regia Cosimo Gomez a un lustro di distanza dall’esordio Brutti e cattivi. A colpire è proprio la distanza che intercorre tra i due film, ben più ampia di quella meramente temporale: Brutti e cattivi era un elogio al cattivo gusto privo di reale riflessione sulla crudeltà dello sguardo e di profondità, Io e Spotty si muove nel territorio della commedia sentimentale, rintracciando schegge tanto dell’indie a stelle e strisce – il Craig Gillespie di Lars e una ragazza tutta sua, tanto per dirne una – quanto della tensione verso la bizzarria di un Michel Gondry. Certo, rispetto al cinema di Gondry Gomez non riesce a reggere il passo delle invenzioni, e si adatta a uno sviluppo assai più canonico, eppure l’intenzione è quella di mettere in scena una rom-com che sappia anche essere racconto delle solitudini, delle paranoie, e delle angosce dei suoi due protagonisti.

L’angoscia è dopotutto il minimo comun denominatore della vita di Eva, fuoricorso a Bologna che non sa ammettere il tracollo negli studi alla madre, non sa gestire la propria vita affettiva, e ha delle sedute settimanali con una psicanalista; non molto meglio di lei si sente l’introverso e solitario Matteo, animatore per prodotti seriali televisivi che ha come unico interesse la cura ossessiva per il suo cane Spotty, al punto da mettere un annuncio per trovargli qualcuno che gli faccia da dogsitter. Alla ricerca di un impiego che le permetta di tirare avanti si reca al colloquio di lavoro proprio Eva, trovandosi di fronte però a una scioccante verità: Spotty non è un cane, ma lo stesso Matteo che si traveste da cane (qualche mese fa fece capolino su non pochi quotidiani online la notizia del cittadino giapponese che si era costruito una perfetta maschera da cane all’interno della quale viveva: il profilo psicologico è su per giù quello). Ovviamente queste due personalità avranno tempo, dopo la ritrosia iniziale, per conoscersi, apprezzarsi, e attrarsi a vicenda. Gomez, che ogni tanto si lascia prendere la mano da digressioni poco rilevanti, anche per una scrittura a tratti semplicistica dei personaggi di contorni, funzioni atte solo a spingere i protagonisti ad agire in una direzione o in un’altra, sa però come descrivere con acutezza i due giovani, le loro insicurezze, la loro voglia di normalità in una quotidianità che rifugge da quella che è la visione generalizzata della normalità. Sa anche come inquadrare Bologna, e valorizzarla – un tratto in comune con ciò che hanno dimostrato i fratelli Manetti, che qui producono con la loro Mompracem, in Diabolik –, e si concede almeno un paio di sequenze molto puntuali nel cogliere il millimetrico scarto tra la consapevolezza della propria “diversità” e la capacità di accettarla pubblicamente: in tal senso basti pensare sia al momento in cui Eva e Matteo/Spotty si confondono alla truppa umana che si è mascherata per raggiungere il Lucca Comics, sia soprattutto al dolcissimo finale.

La tenerezza dello sguardo di Gomez, strettamente legata a una volontà di non nascondere mai il dolore, né le ombreggiature del racconto, permettono a Io e Spotty di smarcarsi dalle logiche produttive e narrative più standardizzate, o almeno di schivarle in gran parte. Un film non privo di debolezze ma amorevole senza essere indulgente, sinceramente innamorato dei suoi due protagonisti, lontano dalle secche del grazioso. E ravvivato dalle interpretazioni di Filippo Scotti e soprattutto Michela De Rossi, che sa rappresentare in scena i turbamenti, la vitalità, le ansie, le gioie e le disperazioni di una venticinquenne che sta ancora provando a comprendere il proprio spazio, e il modo in cui relazionarvisi. In piena estate Io e Spotty verrà snobbato dai più, ma avrebbe potuto indicare una strada percorribile per il nazionalpopolare, quel prodotto medio che è stato oramai accantonato, e che tanto manca al cinema italiano contemporaneo. Peccato.

Info
Il trailer di Io e Spotty.

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