May December

May December

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Todd Haynes torna in concorso al Festival di Cannes con May December, riflessione sull’impossibilità dell’arte di rappresentare l’intima verità di una storia realmente accaduta, e di cogliere fino in fondo la complessità dell’umano, e il suo mistero. Con una straordinaria Natalie Portman e Julianne Moore.

Identificazione di una donna

Gracie è diventata suo malgrado famosa nel 1992, quando aveva circa 36 anni, per essere finita in carcere a causa di una relazione con un ragazzino di 13 anni. Dopo quasi un quarto di secolo i due stanno ancora assieme, vivono a Savannah e hanno nel frattempo dato alla luce tre figli. Elizabeth invece è famosa perché è una star del cinema e sta per interpretare la parte di Gracie in un film sulla scabrosa vicenda: per capire meglio chi sia la donna che dovrà impersonare, l’attrice passa del tempo con Gracie e suo marito. [sinossi]

Una relazione, una famiglia, la psiche, la rispettabilità borghese, l’immedesimazione attoriale: tutto si regge sulla capacità di raccontare e raccontarsi storie. Prendendo atto (il meno possibile) che nessuna di loro è esaustiva né vera né è in grado di replicare esattamente il mistero dell’atto, la forza sorda della pulsione. Siamo sempre nel linguaggio e nella rappresentazione che sono insufficienti da un lato e portatori di ulteriori significati dall’altro, dunque riproduttori, eterni moltiplicatori. Così facendo, questi mezzi ineludibili ci allontanano sempre più dall’origine di cui perdiamo, infine, ogni traccia che non risulti coerente narrazione. Bergmaniano, cronenberghiano (l’atmosfera algida e l’arrivo di una “straniera” ricordano Maps to the Stars così come il personaggio di Julianne Moore), inevitabilmente sirkiano, il nuovo film di Todd Haynes May December è uno dei suoi lavori più complessi e affascinanti, probablmente il più stratificato da Io non sono qui (2007). Il film si apre “a sipario chiuso” sulle note della meravigliosa colonna sonora di Messaggero d’amore (1971) di Joseph Losey – altro autore che rientra perfettamente nel côté generale – che tornano fiere e assertive a punteggiare l’intreccio: il regista fornisce allo spettatore una cornice teatrale, dichiarando il proprio stesso statuto linguistico, per aprire la scena entrando nella vita e nella casa di Gracie (Julianne Moore) e Joe (Charles Melton) che attendono l’arrivo di una famosa attrice, Elizabeth Barry (una Natalie Portman straordinaria, da premio). È una famiglia normale in procinto ad accogliere un ospite importante preparando torte e un barbecue assieme a qualche vicino di casa. Ma quella di Gracie e Joe non è una famiglia come tante e lo scopriremo quando, nella seconda sequenza, Elizabeth sfoglia vecchi giornali, datati 1992 (il film si svolge nel 2015), in cui vediamo fotografie di Gracie in galera e titoli che ci informano che la donna ha avuto un figlio in carcere. A casa di Gracie, d’altro canto, la tv trasmette la pubblicità di un prodotto per il viso di cui Elizabeth è testimonial: “Fresh, Clean” declama elegante il primissimo piano dell’attrice. Due immagini che, diversamente, definiscono le identità: basta un’immagine per inchiodare i confini di una storia personale.

“May-December”, titolo originale del film, è un’espressione gergale per indicare una coppia con una grande differenza di età: uno dei due sarebbe nella primavera della vita, l’altro nell’inverno. Ma non è tanto la differenza di età a essere il problema principale per Gracie e Joe quanto il fatto che la loro relazione, ora più che ventennale, è iniziata nei primi anni Novanta quando la donna era già un’adulta sposata e con prole e il ragazzo un tredicenne che andava a scuola. Scandalo, carcere e parto da detenuta (Gracie era già incinta dell’adolescente) hanno marcato a fuoco le esistenze dei due che però sono rimaste legate. Gracie e il “suo” ragazzo hanno messo su famiglia costruendo una vita assieme e testimoniando così al mondo che la loro non era follia, lussuria, ma grande amore. La pruriginosa vicenda attira ancora i media infatti un’attrice va a casa loro a Savannah perché dovrà impersonare Gracie in un film indipendente: la famosa star non è solo un volto per gli spot, ma una professionista diplomata alla Julliard di New York. Elizabeth vuole dunque capire tutto della strana coppia e soprattutto conoscere meglio la donna reale per cercare di analizzare, comprendere, magari spiegare. Ma è possibile trovare la causa di una pulsione che 23 anni prima è diventata atto e poi narrazione del tempo? E se un evento fosse, nella sua intima essenza, un darsi alla luce irrappresentabile, indicibile? È attorno a queste domande che ruota in profondità il notevole May December, scritto da Samy Burch, un film che parla anche dell’immedesimazione di una donna (Elizabeth) in un’altra (Gracie), di matrimonio e rimozione, ma che soprattutto punta lo sguardo nell’abisso che separa la rappresentazione dal corpo, l’analisi dall’istinto, il fenomeno visibile dal noumeno, la trama dalla frammentazione e che, al tempo stesso, sottolinea la “condanna” del linguaggio e dell’accumulaizione che crea. Esistiamo solo nelle storie che siamo e ognuno deve cercare la propria. Che sia una famiglia o che sia il cinema, l’origine svanisce e resta solo la gabbia che da esso è scaturita e che inevitabilmente porta a conseguenze che si affastellano. Della scintilla primaria, lentamente, si perde traccia, memoria. O si vuole perdere traccia e memoria. Cosa ha spinto Gracie a una relazione letteralmente illegale? Cosa ha spinto Elizabeth a fare l’attrice, come le chiede qualcuno? C’è molta psicanalisi, evidentemente, in queste domande e in tutto il film che è, probabilmente, una storia di fiera negazione. “Le persone insicure sono pericolose. Io sono sicura” dice Gracie, una donna-monolito che su una singola quanto deviante azione ha edificato la sua narrazione senza dubbi, senza incertezze, fin dal primo istante e perseguendo a rappresentarla come desidera e come vuole sia percepita. Forse Gracie ama davvero, da 23 anni, Joe, l’uomo della sua vita, come afferma in una scena, e non c’è nulla di anomalo? Joe, che nel momento “fondativo” era poco più di un bambino, inizia a essere confuso anche grazie all’intervento di Elizabeth. La quale, tentando di scandagliare tutti i dettagli di una vicenda, che guarda da tante prospettive, da una parte proverà a trasformarsi in Gracie ripercorrendone luoghi e amplessi (e ovviamente specchiandosi assieme a lei, in una di quelle scene/cliché che Haynes spesso ama) e dall’altra porterà Joe a chiedersi se la storia della sua vita sia autentica come lui e Gracie vogliono raccontare a loro stessi e agli altri. “Sei stato tu a sedurmi” chiosa Gracie davanto al suo uomo in preda a inediti tormenti. Si affaccia l’ombra del dubbio, ma di sicuro non per la donna che fin da subito aveva soppesato il valore di quella relazione, come testimonia una lettera che verrà consegnata a Elizabeth e che l’attrice reciterà in una scena melodrammaticamente sognante e dallo statuto sentimentale completamente indecifrabile.

Nella ricerca impossibile di una ragione strutturante, di cui però gli esseri umani hanno tanto bisogno (il figlio di primo letto di Gracie sostiene ad esempio che la madre sia stata abusata dai fratelli da bambina e questo l’abbia traumatizzata), l’intreccio tra percezioni momentanee ma determinanti e riflessioni successive ma labili diventa impossibile da sbrogliare. Anche Elizabeth, attrice, lo sa bene e lei stessa elabora continuamente un equilibrio tra negazione e identità, menzogna e sincerità. In una scena la star viene invitata in una scuola di Savannah per un incontro con gli studenti. Qui uno di loro le chiede come sia girare una scena di sesso e la donna risponde, creando gelo nell’auditorio, che a volte ci si eccita veramente sul set, ma bisogna fingere di non esserlo di fronte alla troupe per cui si crea un cortocircuito bizzarro: per la scena bisogna fingere di essere eccitati dando per scontato che non lo si sia veramente e d’altro canto bisogna fingere di non essere eccitati per la troupe essendolo talvolta veramente. Qual è la rappresentazione, quale la vera storia? Cos’è successo tra Gracie e Joe 23 anni prima? Quanto la loro unione è salda per la mera necessità borghese di nobilitare un proibito desiderio sessuale riordinandolo attraverso la rappresentazione di un grande sentimento? Joe del resto “alleva” farfalle, l’effimero per eccellenza, che prima di schiudere le ali e volare via attraversano varie metamorfosi ed è forse un modo per elaborare, esprimere esteriormente, qualcosa della propria identità. La dose di verità e menzogna è comunque personale, ma il mix può essere letale: ognuno narra di sé e soprattutto a sé quel che serve per poter vivere, eppure a volte il risultato è il morire a occhi aperti. A essere profondamente confusa alla fine sarà di certo Elizabeth che non a caso ha lo stesso nome di Liv Ullman in Persona e che, forse, nel finale dell’orrorifico May December è destinata come l’attrice del film di Bergman a sprofondare nel mutismo. “Le persone insicure sono pericolose”: bisogna mandare a memoria la propria storia e imparare bene a rappresentarla senza tentennamenti, sempre. In gioco in fondo c’è la sopravvivenza.

Info
La scheda di May December sul sito di Cannes.

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