Crepuscolo di Tokyo

Crepuscolo di Tokyo

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Ultimo film in bianco e nero di Yasujirō Ozu, Crepuscolo di Tokyo del 1957 rappresenta una delle opere più cupe e amare del grande autore giapponese. In un’atmosfera invernale si arriva al grado più estremo della dissoluzione della famiglia tradizionale che Ozu ha raccontato in tutta la sua carriera, tra lutti, separazioni, aborti e suicidi.

Tardo inverno

La storia tragica della famiglia Sugiyama. Il padre Shūkichi, un uomo di mezza età, è stato abbandonato anni prima dalla moglie. La figlia maggiore Takako ha appena lasciato il marito; la sorella più giovane Akiko è incinta del suo fidanzato Kenji che rifugge dalle sue responsabilità. Akiko incontra una donna che potrebbe essere, ed è, sua madre. [sinossi]

Spesso le stagioni danno i titoli ai film di Yasujirō Ozu, all’inizio o inoltrate. Sono le stagioni della vita che si succedono ciclicamente secondo la filosofia orientale. Solo l’inverno manca in questa sequela di titoli, che può rappresentare l’ultimo stadio dell’esistenza. Ambientato nella stagione fredda, anche se non segnalata nel titolo, è Crepuscolo di Tokyo, film del 1957, il cui titolo originale è 東京暮色, Tōkyō boshoku, mentre quello internazionale in inglese è Tokyo Twilight. Un’atmosfera invernale segnalata dalla penultima inquadratura di un albero dai rami spogli, da una nevicata a metà film e dai cappotti pesanti che indossano i personaggi. Con questo sfondo Ozu racconta una storia amara e triste, il grado estremo di quel processo di dissoluzione della famiglia tradizionale nipponica che il regista ha registrato in tutta la sua carriera. La famiglia Sugiyama è, come spesso nei suoi film, una famiglia tronca dove alcuni componenti mancano. Manca il figlio che è morto nel ’51 in un incidente in montagna; mancava la madre, che aveva lasciato il padre per un altro uomo, la quale però riappare. Manca il marito della figlia maggiore che lei ha lasciato in quando ubriacone e manesco, ma anche questa separazione si ricomporrà a fatica. E mancherà anche la sorella minore che si suiciderà alla fine del film, dopo aver abortito. Una morte che resta in un’ellissi, che si viene a sapere solo quando la sorella maggiore compare con un kimono nero da lutto e comunica la notizia del decesso, rinfacciandoglielo, alla madre ritrovata. Un bambino o una bambina ha bisogno dell’amore di entrambi i genitori: è la lezione che ne trae Takako, che decide così di provare a riconciliarsi con il marito, pur di garantire una vita felice alla figlioletta, lasciando così solo il padre. Nel cinema di Ozu le separazioni dai genitori, spesso per un matrimonio combinato e imposto, sono sempre motivo di tristezza. Tutto ciò segue al suicidio di Akiko, devastata dall’incontro con quella madre che credeva morta. Lei, ragazza moderna che è rimasta incinta del suo fidanzato Kenji, che però non si vuole prendere responsabilità, e ha abortito, e rifugge da tentativi di matrimonio combinato da parte di una zia. In lei il sistema famigliare appare distrutto: arriva persino a dubitare che Shūkichi sia il suo vero padre così come Kenji dubitava di esserlo del bambino che lei portava in grembo

Crepuscolo di Tokyo non porta la parola inverno nel titolo, è uno dei cinque film della filmografia del cineasta nipponico a includere nel titolo invece il nome della capitale nipponica. Filmografia dove solo cinque opere, su 54, non sono ambientate nella grande metropoli, anche se spesso questa non rappresenta l’unica location. Tokyo può essere una deriva, o un approdo, o un luogo da cui rifuggire. L’urbanizzazione, la vita di città, la modernizzazione e occidentalizzazione della società giapponese sono altri elementi che dominano in tutta l’opera del regista. Dalla prima inquadratura, Crepuscolo di Tokyo è pervaso di quella poesia modernista dell’acciaio, dei dedali di fili della luce, dai grovigli di strade, semafori, passaggi a livello, indicazioni luminose. E dagli onnipresenti treni, dai fumi e vapori che si sprigionano, simbolo dell’impermanenza e dell’imprevedibilità della vita. Anche in questo film Tokyo diventa il centro di forze centrifughe e centripete. La prima scena, nel piccolo ristorante, il dialogo tra la locandiera, Shūkichi, e un altro cliente comprende un profluvio di località nipponiche, Nagoya, Anori, Nakiri, Kashikojima, citate come mete di vacanze o per la provenienza di alcuni cibi. Sarà Kikuko, la madre ritrovata e riperduta, ad abbandonare Tokyo alla fine, con destinazione Hokkaido, l’isola all’estremo nord del paese, il punto più lontano. La metropoli è vista nel quartiere residenziale dove vivono i Sugiyama e nei bassifondi, nella Tokyo notturna che si anima al crepuscolo, nei quartieri dei locali e dei ristorantini, nelle sale da pachinko e nei club di mah jong. Uno di questi, il Kotobuki, continuamente segnalato da frecce in cartelli stradali, rappresenta il vero snodo narrativo del film, il punto in cui le tessere della storia si combinano e ricombinano come le pedine del gioco.

Il disordine urbano, la matassa di cavi, asfalto e acciaio, contrasta, come sempre nell’estetica ozuiana, con gli interni della casa tradizionale giapponese della famiglia Sugiyama, fatti di linee ortogonali e reticoli, di quadri interni come quello del volto di chi si annuncia all’ingresso, ritagliato nella cornice di una finestra quadrata della porta scorrevole all’entrata. Le geometrie visive sono quelle sempre rigorose della composizione dell’immagine del regista. Qui abbiamo un tipico effetto sojikei, due personaggi accostati e visivamente equiparati anche nei loro movimenti. Qui è quello di Shūkichi e Takako al capezzale di Akiko, uniti dalla sofferenza. Simmetrie possono essere anche con altri film. La postura sul muretto sul mare di Akiko e Kenji richiama altri momenti del cinema del Maestro, tra cui la scena dell’anziana coppia in vacanza di Viaggio a Tokyo. Qui però è un mare molto annebbiato e torbido, per il fumo delle ciminiere delle tante navi sullo sfondo. La ragazza ha appena confidato al fidanzato di essere incinta, come si deduce dal discorso successivo visto che anche il momento preciso della rivelazione è omesso in un’altra ellissi. L’aborto, legale in Giappone dal 1948, e la legge antiprostituzione appena varata, come apprende Shūkichi leggendo il giornale: il mondo sta cambiando. È il crepuscolo di una famiglia, di un sistema famigliare, di una società quello raccontato da Ozu nel suo ultimo film in bianco e nero.

Info
La scheda di Crepuscolo di Tokyo sul sito della Tucker.

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