A Traveler’s Needs

A Traveler’s Needs

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Orso d’Argento – Gran Premio della Giuria alla Berlinale 74, A Traveler’s Needs, il consueto film di inizio anno di Hong Sangsoo, esce dagli schemi abituali del regista per farsi ammantare dalla presenza di Isabelle Huppert, la figura di una straniera misteriosa e fantasmatica per un film che ragiona comunque su arte, cinema, cinema di Hong Sangsoo.

La maestrina dalla penna verde

Una donna venuta da chissà dove, dice di provenire dalla Francia. Era seduta su una panchina in un parco del quartiere, intenta a suonare un flauto dolce. Senza soldi o mezzi per mantenersi, le è stato consigliato di insegnare il francese. Così è diventata insegnante di due donne coreane. Le piace camminare a piedi nudi sul terreno e sdraiarsi sulle rocce. E si affida al makgeolli per un po’ di conforto. [sinossi]

«Ripeti molte volte»: lo dice Iris, la misteriosa signora che insegna francese, interpretata da Isabelle Huppert, a una ragazza cui ha assegnato di imparare le sue frasi trascritte su un blocchetto di schede. Così è la cifra stilistica di Hong Sangsoo: non esiste un cinema come quello del cineasta sudcoreano che si fondi in maniera così ossessiva sulla reiterazione insistita ed estenuante, di situazioni, ruoli, personaggi, schemi narrativi, di film in film e all’interno di ogni film. Elementi presi dalla vita proprio come fa l’insegnante interrogando le sue allieve e annotando le risposte su quei blocchetti. Hong Sangsoo fa dire questa frase all’attrice francese nel suo ultimo film, A Traveler’s Needs (Yeohaengjaui pilyo), il primo dell’anno che, come consuetudine, passa alla Berlinale, stavolta aggiudicandosi l’Orso d’Argento – Gran Premio della Giuria. La fa dire proprio a Isabelle Huppert, con la quale torna a lavorare dopo In Another Country e Claire’s Camera, che arriva però a sparigliare molti di quei cliché che ci aspettiamo dal regista. Prima di tutto in A Traveler’s Needs mancano quelle figure di registi, attori che normalmente popolano i suoi film. Come residuo c’è solo il marito di una delle allieve della protagonista, peraltro interpretato da Kwon Hae-hyo che solitamente è l’alter ego di Hong Sangsoo nei suoi film, che appartiene al mondo del cinema ma tangenzialmente. È arrivato a capo di una società di produzione dopo aver svolto la professione di legale. Nel film manca inoltre la musa onnipresente nei film del regista sudcoreano, Kim Min-hee.

Isabelle Huppert/Iris è praticamente presente in tutto il film, manca in una parte alla fine quando lascia soli a parlare il suo giovane convivente con la madre, che si interrogano proprio su chi sia questa donna e da dove venga, cosa che nemmeno il ragazzo ha mai capito. Si tratta di una donna misteriosa, una presenza fantasmatica tant’è che a un certo punto scompare, non la vedono più mentre si era avviata per un sentiero nel bosco. Rivela a un certo punto alla sua allieva, con marito, di non essere abilitata all’insegnamento del francese e di non aver mai fatto corsi o preso diplomi in tal senso. E qui Hong Sangsoo torna a ciò che aveva teorizzato in The Novelist’s Film, ovvero la verginità dell’artista contro la professionalizzazione: un film di una scrittrice che non ha mai fatto cinema, che sgorghi istintivamente dalla sua creatività, può essere meglio di un film fatto da operatori del settore che lavorano in una routine. Per questo ora fa tabula rasa di tutti i personaggi cinematografari. Si può anche studiare francese per tre anni, come ha fatto la figlia dell’allieva di cui sopra, senza saper parlare o comprendere quella lingua. Studiare i mestieri del cinema non serve a nulla, sembra dirci Hong Sangsoo, se non si è motivati da un’autentica esigenza artistica.

Il cinema è in realtà molto presente, tra le righe, come tensione, come aspirazione. Nella prima scena, tra scaffali di libri (proprio come l’inizio in libreria di The Novelist’s Film) Iris dice all’allieva di “fare” solo la prima parte di un libro indefinito. Potrebbe essere il presupposto per una recita o un adattamento. Tra i vari elementi che si ripetono nel film, come sempre in Hong Sangsoo, uno riguarda la musica, i personaggi che a un certo punto si cimentano al pianoforte, alla chitarra, alla tastiera musicale, al flauto; un altro la poesia, le epigrafi incise su un muro o una roccia, magari da un poeta morto giovane finito nelle carceri giapponesi durante l’occupazione. L’arte è centrale nel film come lo è il linguaggio. Si parla quasi sempre in inglese, che non è la lingua madre per nessuno dei personaggi. Non lo è per Iris, che è francese, né per i suoi allievi coreani che il francese lo devono ancora imparare. E alla fine di A Traveler’s Needs si arriva alla traduzione per sublimazione, saltando un passaggio di stato, dal coreano al francese, quando Iris legge una poesia in francese a una ragazza che l’aveva tradotta dai caratteri coreani all’inglese sul suo cellulare. Il modo stesso di insegnamento della donna francese, che è all’antica, usa le audiocassette e i registratorini di una volta, e i taccuini cartacei (mentre altri usano strumenti moderni come il cellulare della ragazza per la traduzione della poesia di cui sopra) prevede l’atto di recitare, mettere in scena la propria vita. Tra i vari elementi che si susseguono c’è anche, come sempre in Hong Sangsoo, il bere. E il tipo di bevanda ha ancora una volta un significato ben preciso. Qui si tratta del tradizionale makgeolli, ricavato dalla fermentazione del riso, che Iris preferisce all’occidentale vino, il che ci riporta, ancora una volta, a The Novelist’s Film.

C’è un ulteriore aspetto della figura interpretata da Isabelle Huppert che è il suo essere parte della natura. Forse è per questo che scompare tra gli alberi. Indossa sempre un gilet verde, e il colore verde c’è pressoché in tutte le scene del film. Molto spesso è predominante, rappresentato dalla vegetazione o dalla tinteggiatura di un terrazzo, e quando non predomina può essere solo una macchia, una lampada o una pianta, in un interno. Sotto quel gilet Iris porta un vestito a fiori. Solo in un breve momento non indossa quel completo, quando è in una sorta di intimità a casa con il ragazzo, ma lo rimette prontamente uscendo di casa all’improvviso arrivo della madre. Arriverà anche a decorare di verde la sua penna, il suo strumento di lavoro, creando una striscia con un nastro adesivo colorato. Il suo stesso nome, Iris, è il nome di un fiore, nome che viene erroneamente pronunciato all’inglese (“airis”) all’inizio, dalla coppia cui si reca in visita. Il che ci riporta al discorso linguistico di cui sopra. E la poesia che traduce in francese, dall’inglese tradotto dal coreano, è un’elegia della natura e contiene termini come “dandelion” o “magpie” che sono nomi di fiori o uccelli. Già da Grass Hong Sangsoo ragionava sul mondo vegetale, mentre lo zoom verso il cane bianco, in A Traveler’s Needs, allude a quello verso il gatto di The Woman Who Ran. Nel suo percorso di rarefazione e ibernazione lo sguardo di Hong Sanngsoo si sta spostando dagli esseri umani al mondo vegetale e animale. La pianta è il futuro dell’uomo.

Info
A Traveler’s Needs sul sito della Berlinale.

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