Vallanzasca – Gli angeli del male

Vallanzasca – Gli angeli del male

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Il Vallanzasca di Michele Placido manca di compattezza narrativa, non centra il contesto storico e sembra sviluppato solo su un accumulo di sequenze disorganiche. E tra queste qualcosa di buono c’è, ma meno rispetto a Romanzo criminale.

E guardo il mondo da un oblò

Milano, anni Settanta. Il mondo della mala è dominato dal potere incontrastato di Francis Turatello, detto “Faccia d’angelo”, quando la banda di Vallanzasca irrompe sulla scena. Iniziato fin da giovane alla carriera criminale ora guida un gruppo di amici di infanzia, tossici e piccoli delinquenti, che dalle rapine passa a consumare un omicidio dietro l’altro. Il denaro scorre e la banda si dà alla bella vita. Renato nel frattempo ha incontrato Consuelo, bellissima e disinvolta ragazza meridionale che si trova con lui nel momento del primo arresto e gli resterà accanto fino all’evasione da San Vittore, 4 anni e mezzo dopo. Ma la latitanza di Vallanzasca si conclude con l’uccisione di due poliziotti presso il casello di Dalmine… [sinossi]
…mi annoio un po’,
passo le notti a camminare
dentro un metrò,
sembro uscito da un romanzo giallo,
ma cambierò, sì cambierò
Luna – Gianni Togni

Guardiamo al bicchiere mezzo pieno: Vallanzasca – Gli angeli del male è un prodotto esportabile. Ed ecco spiegata la presenza della bella e un po’ sacrificata Paz Vega (Triage, Lucía y el sexo) e del solitamente bravo, se non bravissimo, Moritz Bleibtreu (Soul Kitchen, La banda Baader Meinhof), qui relegato al ruolo di quasi comparsa. Vallanzasca, a farla breve, prosegue il cammino iniziato con l’apprezzabile Romanzo criminale, che non mancava di difetti ma era sorretto da una scrittura più equilibrata. Ci avviciniamo, seppur a piccoli passi e non solo per merito di Placido e soci, a una possibile, auspicabile, agognata rinascita del cinema di genere italiano. E gli anni Settanta, sia dal punto di vista storico che cinematografico, possono rappresentare (devono rappresentare…) l’ideale punto di (ri)partenza. E buone conferme arrivano dal prestigioso cast, tra nomi di punta e notevoli caratteristi. Facce da Settanta. Non solo Kim Rossi Stuart (Vallanzasca), Filippo Timi (Enzo), forse troppo sopra le righe, privo di sfumature, probabilmente ingabbiato in un personaggio che non trova sviluppi, Francesco Scianna (Francis Turatello) e Valeria Solarino (Consuelo), ma anche Lino Guanciale, Gaetano Bruno, Federica Vincenti, Lorenzo Gleijeses e via discorrendo.

Il bicchiere è già vuoto. Vallanzasca – facciamo nostro un abusato modo di dire – si lascia guardare. Sopravvive, si trascina, coinvolge a tratti e a strappi grazie alle fulminanti battute servite su un piatto d’argento al protagonista, al Bel Renè, da una sceneggiatura che sembra esaurire qualsiasi ispirazione nei dialoghi. Il film di Michele Placido funziona sequenza per sequenza, scena per scena, come dei promo di una serie televisiva montati uno dopo l’altro. Manca l’insieme, non c’è traccia di compattezza narrativa. E manca il contesto storico, la tanto sbandierata Italia degli anni Settanta. Vallanzasca – Gli angeli del male sembra costruito sugli errori di Romanzo criminale, disperdendo quanto c’era di buono – si metta a confronto, ad esempio, l’efficacia, soprattutto sul piano emotivo, della sequenza dell’uccisione di Aldo Buffoni (Er Patata, interpretato da un bravissimo Roberto Brunetti) in Romanzo criminale e l’esecuzione dell’ex-amico Enzo in Vallanzasca, annacquata da una struttura narrativa disorganica che scivola superficialmente sopra tutto e tutti. Placido, dopo il mediocre e autobiografico Il grande sogno, manca nuovamente l’appuntamento con la regia, nonostante le buone intenzioni e le mire elevate: l’attore pugliese, che si è più volte dimostrato uno straordinario interprete, un animale da cinema, è meno a suo agio quando deve dosare, centellinare, approfondire, seduto dietro la macchina da presa. Le buone premesse degli esordi (Un eroe borghese, Del perduto amore) sembrano oramai troppo lontane.

Alla scrittura frammentaria si aggiunge uno sguardo un po’ stereotipato, una (ri)costruzione meccanica delle imprese di Vallanzasca, della Banda della Comasina, di un gruppo di criminali che sembrano cibarsi esclusivamente di droga, alcool e sesso. E di rock, immancabile colonna sonora, prevedibile espediente per enfatizzare i vari episodi, sottolineando spesso una frase a effetto del bandito/mito, dell’irresistibile seduttore, sagace, colto, a suo modo puro e immacolato. Puro e immacolato: il Vallanzasca di Placido e Kim Rossi Stuart, coinvolto nel lavoro di scrittura, risulta idealizzato, ripulito, quasi un Don Chisciotte con violenti cortocircuiti, assassino per caso più che per scelta, nonostante le dichiarazioni del regista. Prevedibile e comprensibile lo sconcerto dei familiari delle vittime. Il cavaliere oscuro che stuzzica “il gusto un po’ perverso delle casalinghe italiane” lascia quantomeno perplessi.
Si poteva fare di più. La strada giusta, probabilmente, ha deviato dal grande al piccolo schermo, dal Romanzo criminale di Placido all’omonima serie televisiva. Il cinema di genere deve però trovare i giusti profeti.

Info
Il trailer di Vallanzasca su Youtube.
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