Nessuno mi può giudicare

Nessuno mi può giudicare

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Sapida commedia sull’Italia in crisi, sulle periferie, sulla Roma bene, Nessuno mi può giudicare è cinema popolare di qualità, specie in via d’estinzione in Italia, e basterebbe anche solo questo per difenderlo a spada tratta: ma poi arrivano a supporto anche i titoli dei porno fake citati in un dialogo del film che riportano alla mente una sequenza di culto di Clerks di Kevin Smith. E allora davvero non si può più opporre alcuna resistenza.

Ognuno ha il diritto di vivere come può

La trentacinquenne Alice vive in una bella villetta ai Parioli: ha un marito, un figlio di nove anni e tre domestici extracomunitari. La sua vita sembra un sogno dorato, ma si rivelerà ben presto un incubo. Suo marito muore in un incidente e il suo avvocato le spiega che è rimasta sul lastrico. Alice e suo figlio lasciano i Parioli e vanno a vivere nella periferia romana, pesci fuor d’acqua nell’oceano multietnico dell’estrema periferia. Trovandosi sommersa dai debiti, Alice deve inventarsi qualcosa per salvare la sua vita e quella del figlio e l’unico modo che trova per guadagnare denaro in poco tempo è fare la escort… [sinossi]

Nella numericamente ricca stagione della commedia made in Italy, con i titoli nostrani lanciati alla conquista delle prime posizione al botteghino, è stato finora inevitabile riscontrare una sclerotizzazione di forme e contenuti: a partire dall’ammazza-classifiche Che bella giornata di Gennaro Nunziante fino ad arrivare agli ultimi scarti di fabbrica (il pessimo Una cella in due, costruito sulla strana coppia Enzo Salvi/Maurizio Battista), gli spettatori, tralasciando le dovute differenze qualitative tra le varie pellicole, sono stati letteralmente bombardati da ritratti di un’Italia ingentilita, schizzi abbozzati e incapaci di graffiare, quasi sempre macchiati di misoginia, carichi di una putrida vena assolutoria. Paradossalmente, ma neanche troppo, uno dei pochi a muoversi contro la marea montante è stato Antonio Albanese con Qualunquemente, film che in maniera programmatica mette in mostra tutti quei difetti (il maschilismo, la glorificazione della truffa e dell’imbroglio) cui si faceva cenno poc’anzi. A giudicare da ciò che ha trovato ospitalità sugli schermi italiani in questi primi mesi dell’anno, nessuno è più in grado di orchestrare una vera e propria commedia all’italiana, ragionando da vicino sulla realtà circostante, pur ammantata dal sorriso sulle labbra: perfino Tutti al mare, affidato in fase di sceneggiatura alle cure di un esperto in materia come Vincenzo Cerami, si trova ad affondare nel bitume della retorica qualunquista.

Partendo da questi presupposti l’incontro con Nessuno mi può giudicare, opera prima di Massimiliano Bruno, non può che apparire come una vera e propria ventata di novità: Bruno, già al lavoro come sceneggiatore a fianco di Fausto Brizzi (che gli fornisce in questo caso l’idea originale), riesce a evitare con grazia e cura le secche in cui ha finito per impantanarsi il cinema del regista di Notte prima degli esami, portando in scena un’opera sapiente nello sfruttamento dei tempi comici, e tutt’altro che prona nei confronti della realtà. Se l’escamotage narrativo che permette di parlare di escort è quasi esclusivamente funzionale allo svolgimento dell’azione – pur includendo l’interessante sequenza a bordo dello yacht – l’occhio di Bruno cattura con sincera partecipazione la vita del Quarticciolo, il quartiere popolare in cui la viziata Alice si trasferisce con il figlioletto dopo la morte del marito. Lontano dalle miserande chimere borghesi inseguite nei film di Moccia e dello stesso Brizzi, Bruno propone un’idea di metropoli sanamente multietnica, in cui le culture si fondono invece di scontrarsi: pur nella limitatezza del suo sguardo, una prospettiva progressista che manca clamorosamente alla maggior parte dei nostri prodotti leggeri, sempre più legati al contrario a una soffocante idea identitaria della commedia. Discorsi di questo tipo a parte, Nessuno mi può giudicare procede a ritmo sostenuto, inanellando situazioni comiche quasi sempre risolte con intelligenza e divertimento, e che arrivano a sfiorare il sublime almeno in due momenti: la sapida citazione di Ecce Bombo, affidata alle cure di un ottimo Rocco Papaleo, e la gloriosa apparizione di Fausto Leali nei panni di sé stesso. Ma nel complesso è l’intera operazione a essere promossa a pieni voti: Bruno – che molti ricorderanno per la parte di Martellone nella serie tv di culto Boris – dimostra che nel fare commedia in Italia si può anche mostrare il volto amaro, perfino crudele, della nazione, senza falsi moralismi, appetiti borghesi o deprecabili rigurgiti bacchettoni. Coadiuvato da un cast finalmente davvero in parte, a partire dalla protagonista Paola Cortellesi fino ad arrivare ai gustosi cameo di buona parte del cast del succitato Boris (Caterina Guzzanti, Paolo Calabresi, Carlo De Ruggieri), Bruno mette la firma in calce a un esordio forse non particolarmente memorabile, ma che permette di riconciliarsi una volta tanto con la commedia nostrana, troppo spesso lasciata in ostaggio a briganti di ogni risma.

Nessuno mi può giudicare è cinema popolare di qualità, specie in via d’estinzione in Italia, e basterebbe anche solo questo per difenderlo a spada tratta: ma poi arrivano a supporto anche i titoli dei porno fake citati in un dialogo del film (Il silenzio degli impotenti, Fotte prima degli esami, Chiavatar, Tutti su mia madre) che riportano alla mente una sequenza di culto di Clerks di Kevin Smith. E allora davvero non si può più opporre alcuna resistenza.

Info
Il trailer di Nessuno mi può giudicare.

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