Il sapore del successo

Il sapore del successo

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La sfida del cuoco con se stesso (e con gli altri) nel nuovo film di John Wells, Il sapore del successo. Una commedia che arranca stancamente tra un fornello e l’altro.

Nessuno sta uccidendo i più grandi cuochi d’Europa

Adam Jones è un noto chef, con due stelle Michelin, che ha visto fallire il suo ristorante di Parigi. Decide di rimettersi in gioco aprendo un nuovo ristorante a Londra, per questo si avvale della collaborazione del migliore team di chef in circolazione… [sinossi]

Galeotto fu Masterchef e chi lo ideò. In un percorso che idealmente culmina nell’Expo milanese dedicata al cibo, con le notizie delle infinite file umane per accedere allo stand giapponese che rimbalzano dai quotidiani ai telegiornali, la cucina e tutto quel che riguarda fornelli, pentole e posateria sono assurti a nuova moda, destinata a durare per chissà quanto tempo. Tra le varie edizioni di Masterchef (prodotte, senza sensibili differenze estetiche, ai quattro angoli del globo), e le sue varianti più o meno ufficiali, la televisione assolve con il minimo sforo al suo ruolo di intrattenimento culturale sollazzando gli esegeti dello zapping a colpi di soufflé, vellutate, sushi, tagli alla julienne e così via. L’arte culinaria pretende il suo posto nello scacchiere di talk e talent show, scalciando contro cantanti, musicisti, ristrutturatori di appartamenti. E il cinema? Escluso dal grande circo televisivo oramai da anni, si adegua e prova a sedurre il pubblico del piccolo schermo raccontando storie e ambienti che questo dovrebbe considerare “familiari”.
Nasce anche da queste discutibili scelte di mercato un film come Il sapore del successo (Burnt il titolo originale), nuova sortita dietro la macchina da presa per John Wells, alla terza regia cinematografica dopo The Company Men e I segreti di Osage County.

Ambientato in una Londra pressoché invisibile, rinchiuso com’è il set tra cucine e sale allestite per desinare, il film di Wells si dimena in modo fin troppo eccessivo alla ricerca di un proprio senso, quasi non si rendesse conto della propria essenza primaria, una commedia dai tratti sentimentali sulla rivincita di un uomo. Il collasso del genio e dell’eroe e la sua rinascita, topos della narrazione umana fin dagli albori dell’umanità, è qui declinata nella storia di Adam Jones, stella di prima grandezza dell’universo culinario mondiale caduto in disgrazia per la sua ambizione e i suoi vizi; deciso a riprendersi il posto che merita, dopo un’accurata penitenza (passata a sgusciare un milione di ostriche nel peggior ristorante di New Orleans; neanche i maestri di arti marziali a metà tra Confucio e Buddha avrebbero osato tanto), Jones, che perse la sua reputazione a Parigi, decide di riconquistarla a Londra.
Nella capitale inglese, dove tutto sembra ruotare attorno ai ristoranti neanche da questi dipendesse il destino del Regno Unito, l’ex-enfant prodige mette su una squadra di fedelissimi – con qualche new entry, scelta con accuratezza dagli sceneggiatori per spingere sul pedale della rom-com – per partire alla conquista del mondo. Intessuto in tutto e per tutto come un heist-movie, o un noir d’antan, Il sapore del successo si piega fin dalle prime sequenze alle più bieche semplificazioni di sceneggiatura pur di raggiungere il proprio scopo.

Così, tra un colpo di teatro e una scena madre, tra un climax emotivo e un siparietto comico, il film di Wells procede stancamente verso un finale che chiunque ha previsto fin dalla prima battuta, senza averlo trovato un granché interessante. Wells si dimostra regista di medio cabotaggio, privo di guizzi creativi, e il cast internazionale scelto per la bisogna compare in scena senza lasciare traccia del proprio passaggio, visto che è ridotto nella stragrande maggioranza dei casi alla pura macchietta.
Ingabbiato in una struttura sproporzionata all’effettivo peso specifico di una commedia che non dovrebbe avere alcuna pretesa e ne mette sul piatto (è il caso di dirlo) troppe, Il sapore del successo si attarda sfiatato pur non superando l’ora e quaranta.
L’impressione, ai limiti del tragico, è che sia più divertente, e perfino più interessante, una puntata di Masterchef, ben più consapevole dei propri limiti. E del proprio pubblico.

Info
Il trailer de Il sapore del successo.
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