Spider-Man: Homecoming

Spider-Man: Homecoming

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Divertente, leggiadro, impreziosito da un cast selezionato con chirurgica precisione, Spider-Man: Homecoming non riesce a replicare i fasti dei primi anni Duemila, mostrando tutti i limiti della medietas marveliana, di una politica/poetica che sacrifica la narrazione sull’altare di una spettacolarità confezionata troppo spesso col pilota automatico e senza slanci estetici, personalità, autorialità.

Spider-Man, Spider-Man, does whatever a spider can…

Entusiasta dell’esperienza con gli Avengers, Peter torna a casa, dove vive con la zia May, sotto l’occhio vigile del suo nuovo mentore Tony Stark. Peter cerca di tornare alla sua routine quotidiana – distratto dal pensiero di dover dimostrare di valere di più dell’amichevole Spider-Man di quartiere – ma quando appare l’Avvoltoio, tutto ciò a cui Peter tiene maggiormente viene minacciato… [sinossi]
In the chill of night
At the scene of a crime
Like a streak of light
He arrives just in time.
Spider-Man, Spider-Man
Friendly neighborhood Spider-Man
Wealth and fame
He’s ignored
Action is his reward…
Spider-Man (theme song) – Paul Francis Webster, Bob Harris

Sono passati dieci anni. Tre film. Due reboot. Tanta acqua sotto i ponti, contando tutto l’armamentario del Marvel Cinematic Universe; la parentesi non indimenticabile di Andrew Garfield & Marc Webb; il debutto in forma di divertente cameo in Captain America: Civil War; la fertile ricerca, conclusasi con la scelta di Tom Holland, di un volto e di un corpo da infilare nella tutina del giovane ragno. Dieci anni da Spider-Man 3, ultima fatica un po’ sbilenca di Sam Raimi. Dieci anni per restare sempre lì: divertente, leggiadro, impreziosito da un cast selezionato con chirurgica precisione, Spider-Man: Homecoming non riesce a replicare i fasti dei primi anni Duemila, mostrando tutti i limiti della medietas marveliana, di una politica/poetica che sacrifica la narrazione sull’altare di una spettacolarità confezionata troppo spesso col pilota automatico e senza slanci estetici, personalità, autorialità.
Già, autorialità. Torniamo a Spider-Man 3, ingolfato da uno script infarcito di troppi temi e personaggi. Era il periodo dello sciopero degli sceneggiatori della Writers Guild of America. Si vede. Ma si vedevano anche sequenze visivamente mirabolanti, con una profondità di campo che era pura gioia per gli occhi. Pur tra evidenti problemi di equilibrio narrativo, emergeva con forza l’autorialità di Raimi, la sua potenza immaginifica, visionaria. Alla meticolosa confezione di Spider-Man: Homecoming, grondante dollari e pixel, mancano le sterzate visive, immaginifiche, quella creatività/libertà che il verse marveliano tende programmaticamente a normalizzare. Anche dal punto di vista visivo e registico, tutto deve rientrare nei canoni, in questa fagocitante continuity che assomiglia sempre di più alla serialità della scatola magica.

Al luna park di Spider-Man: Homecoming, tra scontri ad alta quota e traghetti da salvare, sembra mancare un’idea forte. Non ci sono il pop sotto acido di Gunn, gli irrisolti mondi che crollano snyderiani o la gelida monumentalità nolaniana; niente rimane realmente impresso, manca l’amazing, mancano anche quelle soluzioni estetiche a buon mercato della serie storica della Grantray-Lawrence Animation.
Il canone marveliano si impone anche su uno script sostanzialmente indeciso, perennemente sospeso tra piani narrativi tenuti insieme un po’ a fatica. L’invasiva presenza degli Avengers, anche del concetto stesso di Avengers, appare forzata, figlia di un’operazione meramente commerciale: i siparietti di Tony Stark/Iron Man, il suo ruolo da distratto deus ex machina, affievoliscono la portata drammatica e politica del confronto/sconto con l’Avvoltoio, nucleo centrale già indebolito dalla parallela divagazione da teen movie pseudo-hughesiano. E così torniamo allo sciopero degli sceneggiatori, al 2007, a Spider-Man 3, all’idea malsana che la narrazione possa essere un aspetto secondario e non primario di un blockbuster.

Non una catastrofe, sia chiaro. Un’occasione in buona parte mancata, perché partire dalla base della piramide, dalla gente normale che sbarca il lunario rimestando tra quel che resta dei danni collaterali causati dalle imprese degli Avengers e della grandeur starkiana, è un’idea suggestiva che trova nel roccioso e ambiguo Avvoltoio/Keaton un volto perfetto, magnetico, segnato da una grigia quotidianità. Spider-Man: Homecoming cerca di mediare tra la natura quasi divina degli Avengers e l’humus di Peter Parker, l’amichevole Uomo Ragno di quartiere. Ma il tentativo di mediazione porta con sé la rinuncia a un vero e proprio scandaglio dei danni collaterali, delle zone buie degli Avengers. Le impopolari domande à la Watchmen non appartengono al verse marveliano.
L’afflato realistico dei bassifondi, dell’Avvoltoio e dell’apprezzabile microcosmo multietnico e multiculturale deve cedere troppo terreno alle ampie parentesi hughesiane, con tanto di citazione a uso e consumo di un pubblico nostalgico – ma di Hughes resta solo la patina superficiale, un vorrei ma non posso, con la rappresentazione di un manipolo di quindicenni fuori dal tempo, decisamente fuori dall’adolescenza.
Il giovane Peter Parker di Tom Holland, agile come una farfalla e pungente come un’ape, deve scappare a gambe levate dalla normalizzazione estetica e narrativa del verse marveliano, dai gingilli tecnologici di Stark, da una dimensione per lui smisurata. Servirebbe un novello Raimi o un clone di Gunn. Sempre che il fantasma del reboot non sia una sorta di moderno supplizio di Sisifo…

Info
La pagina di Spider-Man: Homecoming sul sito della Warner.
Il trailer di Spider-Man: Homecoming.
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