Tokyo Vampire Hotel

Tokyo Vampire Hotel

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Tokyo Vampire Hotel è la versione cinematografica, ridotta a due ore e venti, di un film per la televisione diretto da Sion Sono; apparentemente pasticciato e in alcuni passi prossimo al giocattolone, è in realtà molto più politico di quanto si possa pensare. Non privo di difetti, ma ad averne di opere così libere sul piccolo schermo! Al Torino Film Festival nella sezione After Hours.

L’impero del male

Manami si prepara a celebrare il suo ventiduesimo compleanno con alcuni amici, ma viene quasi uccisa nella furia omicida scatenata da un gruppo di vampiri. I suoi problemi non finiscono qui: due vampiri, K, dal clan Dracula, e Yamada, dal clan Corvin, sono sulle sue tracce. Yamada finisce per rinchiudere Manami in un albergo dove gli esseri umani sono condannati a donare sangue per l’eternità. Prima serie televisiva diretta da Sion Sono e prodotta da Amazon. [sinossi]

Tokyo Vampire Hotel, quarantottesima regia di Sion Sono, considerando anche corti e lavori collettanei, presentata come oramai quasi d’abitudine al Torino Film Festival (fa eccezione The Whispering Star, che venne programmato al Festival/Festa di Roma), che nel 2011 dedicò una retrospettiva integrale al regista nipponico, ha visto venire alla luce per la prima volta in maniera preponderante una schiera di detrattori o di fan “delusi” che fino a questo momento avevano al massimo mormorato, senza però palesarsi in maniera diretta. Non c’è dubbio che la filmografia di Sono nel corso degli ultimi anni abbia sofferto una sovrabbondanza di titoli, con ben quindici film diretti, per il cinema o per la televisione, nell’ultimo lustro: film magari ricchi di spunti creativi, come Tag o Love & Peace, ma non più in grado in maniera compiuta di scardinare le logiche dell’immaginario per riscriverne parzialmente la storia. Non si può certo pretendere da un cineasta di continuare a sfornare senza soluzione di continuità opere del valore di Suicide Club, Love Exposure o Himizu, ma l’impressione è che Sono si sia un po’ seduto sugli allori, sfruttando le sue qualità visionarie per allestire prodotti per lo più anodini, privi di un reale senso che vada al di là della superficie. Nella sfida sul terreno del popolare maggiori soddisfazioni continua a darle Takashi Miike, che pure molto in comune ha con Sono, e con le sue dinamiche produttive.
Il fatto che Tokyo Vampire Hotel, riduzione per il grande schermo di un lavoro televisivo prodotto da Amazon e suddiviso in nove episodi, sia stato accolto così male sotto la Mole, al punto da venire bistrattato anche da amanti appassionati – fino a qualche anno fa – del cinema di Sono, è indicativo di due fattori, che è giusto mettere sul piatto della bilancia nel momento di affrontare un discorso critico. Il primo fattore, già in parte accennato dianzi, è quello della sovraesposizione: troppi film, peraltro presentati sempre nello stesso luogo – il festival –, hanno probabilmente creato una certa assuefazione nel pubblico di cinefili e tra gli addetti ai lavori, categorie che spesso si sovrappongono. Il secondo fattore riguarda invece la difficoltà, a tratti evidente, a entrare in contatto con Tokyo Vampire Hotel, e a fraintenderne (anche per via del brutale tagliuzzamento della versione cinematografica) le intenzioni.

Per semplificare, gran parte del pubblico che era in sala a Torino ha scambiato Tokyo Vampire Hotel come un puro e semplice divertissement neanche particolarmente riuscito: un giocattolone che si mette a sguazzare nel grand guignol per portare a termine una storia ben oltre i limiti del paradossale che racconta delle lotte intestine nel mondo dei vampiri. Una scemenza, insomma, per molti spettatori. Non che si possa negare la pochezza della sinossi in sé per sé: la prima parte del film, con Manami che dopo aver assistito a un massacro nel locale in cui voleva festeggiare il suo ventiduesimo compleanno, si trova a dover scappare da un lato dalla bella K e dall’altro da Yamada, entrambi vampiri ma su diversi lati della barricata, è reiterata fino all’inverosimile, e sembra dominata da una vacuità estrema. Allo stesso modo è indubbio che Tokyo Vampire Hotel viva di folate e di momenti di stanca, con passaggi narrativi che una volta estrapolati da un contesto seriale per adattarli alle tempistiche del cinema perdono significato. Un problema con cui chiunque si trovi a ridurre un lavoro pensato per un contesto mediatico ben preciso dovrà prima o poi venire a patti, basti pensare al Pinocchio di Luigi Comencini.

Fin qui, le debolezze. Ma Sion Sono non è certo uno sprovveduto, e nonostante alcuni film recenti possano indurre a pensare al contrario (soprattutto il dittico Shinjuku Swan, inutile digressione nel mondo degli yakuza, fuori tempo e fuori senso), non si lascia abbindolare dalle luci folgoranti del ludico fine a se stesso. Sotto la coltre fatta di denti aguzzi quanto finti, sangue a profusione e strane strategie ideate dai vampiri per combattere la fine del mondo – far copulare a forza coppie di umani create però sul momento, senza alcun legame affettivo –, Tokyo Vampire Hotel cela, come le segrete del castello transilvano dei Dracula, ben più di un mistero. Per quanto quasi nessuno sembri essersene accorto, perfino tra gli aficionados duri e puri del cinema di Sono, Tokyo Vampire Hotel nasconde dietro il volto imbellettato di una storia di vampiri una riflessione, per niente banale, sul Giappone contemporaneo, le sue storture e sulla situazione internazionale. Per quanto nessuno sappia perché il mondo stia finendo – e anche l’informazione viene data in maniera tardiva e sbrigativa agli spettatori – il mondo urbanizzato viene spazzato via: niente più Tokyo, niente più Parigi, niente più metropoli. Ma la Dieta, il parlamento giapponese, il massimo organo del potere statale (come recita l’articolo della Costituzione del 1948), resta lì in piedi come testimonia l’ultima inquadratura, quella su cui si chiude dopo ettolitri di sangue versato il film. Non cade, la Dieta, non cade il potere legislativo. Nulla cambia, a parte piccole posizioni di potere. Nulla. Tutto resta invariato, e dopo secoli torna il potere dei Dracula. Tokyo Vampire Hotel focalizza lo sguardo sul rischio della restaurazione, sul ritorno di antichi venti nefasti – quelli del nazionalismo che in Giappone porta con sé Shinzo Abe, concetto non a caso ribadito in televisione nel corso del film proprio da un supposto Primo Ministro.
I vampiri fagocitano gli esseri umani, li costringono a vivere/lavorare letteralmente scarnificandosi, donando il proprio sangue al palazzo del potere, che altro non è se le viscere di un vampiro, le sue interiora. Il sangue fuoriesce dai muri, quando li si piccona, perché sono gli uomini/schiavi ad aver costruito con il loro plasma le fortezze di una società millenaria – il Giappone stesso – che non punta mai veramente a un progresso sociale, ma lo auspica solo a parole. Se questi dettagli (che tanto dettagli non sono) non possono “risarcire” il pubblico della slabbrature e delle ridondanze di un’opera senza dubbio imperfetta, e a tratti inceppata nel proprio meccanismo, dimostrano in ogni caso la volontà di Sono di sfruttare il mezzo televisivo per profanarne alcune delle regole, dalla messa in scena dei corpi smembrati e insanguinati fino a una personale lettura politica tutt’altro che di prammatica. Non starà vivendo la fase migliore della sua carriera, Sion Sono, ma è ancora lucido e per niente inglobato dal sistema produttivo. Come Manami anche lui sviscera dall’interno il sistema, pezzo per pezzo.

Info
Il trailer di Tokyo Vampire Hotel.
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