Antonio Pietrangeli: i film non realizzati

Antonio Pietrangeli: i film non realizzati

Come per tutti gli autori di cinema, la vicenda creativa di Antonio Pietrangeli è anche una storia di soggetti, sceneggiature e film non realizzati. Talvolta migrati in film di altri, altrove rimasti come reminiscenze nei film compiuti dello stesso autore.

In qualche modo possiamo identificare la vita creativa di un autore di qualsiasi forma d’arte in un tracciato di idee e progetti, che solo per qualche sporadica congiunzione astrale si tramuta in un’opera d’arte fatta, finita e conclusa. Nel caso del cinema tale faticoso percorso dall’astratto al concreto è reso ancora più arduo dalle mille variabili dello scontro con la contingenza della realizzazione e soprattutto dal rapporto con l’industria; perché un film possa realizzarsi ci vuole l’accordo di una committenza e i suoi finanziamenti, e poi il deciso intervento della distribuzione. Talvolta è il produttore a cercare il regista per un soggetto e/o sceneggiatura già acquisita, talvolta è il contrario: una fitta rete di relazioni che decide il destino di un progetto e che può decretarne la scomparsa fino all’ultimo secondo della post-produzione o della distribuzione (quante opere strappate all’autore per il montaggio finale, quanti film non distribuiti perché non ritenuti adatti al mercato del momento, e via così, in un’infinità di evenienze casuali che decidono del film oltre all’autore).
Benché nella sua globalità la produzione di cinema appaia un flusso torrenziale e inarrestabile, in realtà la singola opera filmica in qualità di prodotto finito e fruibile si configura di volta in volta come una sorta di miracolo, soggetto ai mille colpi di vento della contingenza. Il processo creativo ha luogo parallelamente al realizzare film, e ogni autore lascia dietro di sé un “convoy” di idee e progetti che restano tali, o che troviamo magari in forma di lievi emersioni nelle opere concluse.
Vengono in soccorso le pregnanti parole di Ettore Scola riguardo all’ultimo e incompiuto film di Antonio Pietrangeli, Come, quando, perché (1969): “L’ultimo era un film che lui faceva in previsione di realizzarne un altro, La picaresca […], un film che avevamo scritto insieme, a cui lui teneva molto. Come, quando, perché è uno di quei film che capitano spesso nella carriera di un regista. Si dice: Vabbè, intanto faccio questo, poi… E invece ‘intanto faccio questo’ è stato il suo ultimo film” (1).

Mentre quindi Pietrangeli realizzava film, si svolgeva parallelamente il faticoso emergere di altre opere con il loro relativo intrecciarsi alla persuasione di produttori, reperimento fondi, modifiche ai soggetti e sceneggiature e quant’altro. Tutto il Pietrangeli non realizzato assume anzi un valore piuttosto significativo per le pratiche di cinema italiano del suo tempo e successive. La picaresca è ad esempio un progetto pietrangeliano che compare a più riprese nel suo percorso artistico, sul quale l’autore ritorna nel lungo intervallo tra Io la conoscevo bene (1965) e Come, quando, perché (1969), approntando una sceneggiatura e un romanzo-trattamento che tuttavia resteranno di nuovo irrealizzati. Si tratta della vicenda di due truffatori nella Spagna del XVI secolo, che ovviamente rimanda alle nobili fonti del romanzo picaresco. Tale progetto troverà poi una sua via ne I picari (1987) di Mario Monicelli. Ovviamente per tracciare una maggiore o minore filiazione dal progetto pietrangeliano a quello di Monicelli occorrerebbe un accurato lavoro filologico, ma resta comunque l’idea generale di un’arte realizzata in ambito di koinè creativa. Ognuno per sé ma anche per tutti.
Ben più certe e stringenti sono tuttavia le relazioni tra Le ragazze chiacchierate, un progetto amatissimo da Pietrangeli che cercò di realizzarlo fin dal 1954, e I delfini (1960) di Francesco Maselli. Pietrangeli ne aveva completato la sceneggiatura e nel 1958 si trovava a un passo dal primo ciak. Franco Cristaldi aveva accettato di girare ad Ascoli Piceno e su alcuni articoli di giornale circolava già l’annuncio delle prime riprese, con protagonisti Rosanna Schiaffino, Gabriele Ferzetti, Virna Lisi, Carla Gravina, Valentina Cortese e Antonio Cifariello. Il film fu però rinviato all’ultimo per l’ennesima volta, e stavolta Pietrangeli, scoraggiato, decise di cedere la sceneggiatura a Cristaldi. Pur se riscritto da Maselli con Ennio De Concini, Aggeo Savioli e Alberto Moravia, nel 1960 il film vide la luce con I delfini, che ereditò dalle intenzioni di Pietrangeli anche la singolare location di Ascoli Piceno.

“Rimasi molto addolorato dalla strana reazione che Pietrangeli ebbe a proposito del film, quando uscì” racconta Maselli, “Cristaldi aveva offerto a me la sceneggiatura dopo aver chiuso il rapporto con lui, il discorso era molto chiaro, ma curiosamente quando finii il film incontrai Antonio che era molto amareggiato perché avevo fatto un film suo. Missavamo insieme alla Fonofilm, io I delfini e lui Adua e le compagne e ci incontravamo spesso. Lui aveva il solito sarcasmo affettuoso, e anche non affettuoso, e io non ero da meno, e fu quindi un continuo beccarsi. Devo dire però che Pietrangeli ebbe una soddisfazione clamorosa quando al festival di Venezia andarono sia Adua che I delfini e il mio film fu stroncato totalmente, mentre Adua ottenne un grosso successo, visto che al missaggio diceva che il film della sua vita l’avevo fatto io e che Adua a lui non piaceva” (2) . Visto sotto questa luce I delfini mostra in effetti più di un debito nei confronti dell’universo pietrangeliano, soprattutto nel ritratto della Fedora di Claudia Cardinale, figura femminile in linea con la natura ingenua e sfuggente dell’Adriana Astarelli di Io la conoscevo bene (ma gli esempi nella filmografia di Pietrangeli potrebbero essere numerosi).
Il ricordo di Maselli è significativo anche sotto un altro profilo. A tutt’oggi Adua e le compagne è considerato uno dei film più riusciti della filmografia di Pietrangeli, eppure il suo autore non lo amava particolarmente. A ben vedere siamo di fronte a una genesi cinematografica ricorrente nelle opere di Pietrangeli, comune anzi a buona parte della sua generazione di colleghi. Più volte Pietrangeli si è trovato a realizzare film con la logica dell’ “intanto faccio questo” realizzando comunque capolavori e firmando per essi con i produttori come moneta di scambio per ottenere il loro assenso a suoi progetti a lungo vagheggiati, salvo poi posticipare questi ultimi talvolta fino alla loro non-realizzazione.
Basti pensare a La visita (1963), al quale Pietrangeli giunge tramite un contratto per tre film con Moris Ergas, “pacchetto” che già prevedeva la realizzazione di Io la conoscevo bene con Sandra Milo protagonista, all’epoca compagna di Ergas, o a La parmigiana (1963), che Gianni Hecht Lucari della Documento Film offre a Pietrangeli in cambio della mancata realizzazione di Una storia italiana scritto con Tullio Pinelli, tragica vicenda di trasformismo in epoca fascista e post-fascista. E nell’ampio convoy creativo lasciato da Pietrangeli si può rintracciare una sorta di “preistoria” di Adua e le compagne in un altro soggetto che risale addirittura agli esordi registici dell’autore: Le carmelitane, soggetto del 1953 che narra la vicenda di una storia di monache di clausura in fuga dal loro convento per fondarne un altro. Pietrangeli ne trasse varie sceneggiature nel corso degli anni, e probabilmente portò con sé qualche traccia nella vicenda di faticosa sorellanza femminile tra le quattro prostitute in fuga da un prigione verso un’altra spacciata per libertà.

Specie nella fertile stagione delle collaborazioni alla sceneggiatura o come aiuto-regista e della frenetica redazione di soggetti per esordire alla regia, troviamo un’ampia porzione di progetti incompiuti che accompagneranno Pietrangeli per tutta la sua carriera, talvolta opzionando la propria realizzazione sotto forma di reminiscenza in altre opere, altrove rimanendo puri e semplici dentro a un cassetto. In tal senso il caso più emblematico pare Morte a Venezia (Il processo di Maria Tarnowska), risalente addirittura al 1943, nato come progetto di Luchino Visconti al quale Pietrangeli doveva solo collaborare: niente a che vedere con Thomas Mann, bensì storia ispirata a un fatto di cronaca d’inizio secolo tra nobili russi trasferitisi a Venezia. In seguito Pietrangeli cerca di realizzare il film per anni, e Maria Tarnowska è ancora rintracciabile in una delle ultime scalette di progetti lasciate dall’autore poco prima di morire (sarebbe interessante recuperare lo sceneggiato-tv di Giuseppe Fina Il processo di Maria Tarnowska del 1977).
Ancora più curioso è il caso del film realizzato, ma di fatto non realizzato. Dov’è la libertà? (1952-54) con Totò, una delle opere dalla gestazione più tormentata del nostro cinema, nasce come progetto pietrangeliano del 1948 sotto svariati altri titoli, per poi vedere la luce con la regia di Roberto Rossellini che tuttavia mollò il film senza concludere le riprese. Solo grazie all’intervento di Monicelli e Fellini il film sarà terminato e distribuito nel 1954, ma i produttori Ponti e De Laurentiis avevano di nuovo chiamato Pietrangeli per un’ulteriore revisione del copione nel 1953. Possiamo definire film realizzato un’opera che attraversa sì tante difficoltà? Quanto sarà rimasto dell’idea originaria di Pietrangeli nel prodotto finito che possiamo vedere adesso? Un film come Dov’è la libertà? solleva non solo questioni fondamentali sotto il profilo filologico, ma anche dubbi più radicali sulla finitezza dell’opera d’arte, sulla sua conclusione e consegna ai fruitori.

Un capitolo a parte meritano i progetti jugoslavi di Pietrangeli, da Sarajevo, dedicato all’attentato contro Ferdinando d’Asburgo da cui prenderà il via la Prima Guerra Mondiale (Pietrangeli ci lavora dal 1957 al 1960, scrivendo soggetto e trattamento con Tullio Pinelli, Dario Fo e Pier Paolo Pasolini e contattando Ingrid Bergman per il ruolo di protagonista) a Una donna al giorno, tratto dal libro omonimo di Giovanni Comisso, che l’autore cerca di realizzare per cinque anni, annunciato con Charles Aznavour come attore principale.
Per ricavare un’idea di quale potrebbe essere stato il prosieguo di una carriera così bruscamente interrotta, è interessante invece dare un’occhiata alle ultime calendarizzazioni lasciate da Pietrangeli. Il lungo intervallo tra Io la conoscevo bene e Come, quando, perché (ben quattro anni interrotti solo dall’episodio “Fata Marta” del film collettivo Le fate, 1966) racconta anche il disagio di un autore che, giunto a un indiscutibile capolavoro, alterna intenzioni diverse aprendosi anche al faticoso obbligo dell’alzata di tiro produttiva. Da un lato Pietrangeli appronta il soggetto di Il regno del Sud con Alberto Sordi e Sandra Milo, che nel 1973 si trasformerà in Polvere di stelle per la regia dello stesso Sordi, protagonista al fianco di Monica Vitti; dall’altro si alternano progetti di respiro internazionale, col coinvolgimento di star come Kirk Douglas, Burt Lancaster, Julie Christie, Candice Bergen, Omar Sharif, Anthony Quinn, Tony Curtis, Peter Ustinov. Alcuni di essi vorticano intorno al lungo progetto de La picaresca, al quale peraltro Jean-Paul Belmondo aveva dato il suo assenso già nel 1960. Altri sono ipotizzati per il progetto di L’attrazione, storia di una coppia di fantasisti, Marcello e Vanda, con vent’anni di differenza d’età. Per entrambi i film e anche per altri si cercano parallelamente due vie; quella italiana, ipotizzando nei ruoli centrali alcuni dei volti più noti del nostro cinema, e quella internazionale prendendo contatti con divi dello star system hollywoodiano. Ma “intanto faccio questo”, e Pietrangeli si congeda tragicamente lasciando a metà le riprese di Come, quando, perché. E lasciando anche dietro di sé una filmografia di immenso valore, che spesso ha preso forma dalla carta allo schermo in mezzo a un avvincente slalom tra i dettati della contingenza.

Note
1 – MARALDI Antonio, Antonio Pietrangeli, La Nuova Italia, Firenze, 1992, p. 95. Il saggio di Antonio Maraldi riporta citazioni da altri testi come Il cinema di Antonio Pietrangeli a cura di Piera Detassis, Tullio Masoni e Paolo Vecchi, e L’avventurosa storia del cinema italiano 1960-69 a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, dai quali derivano gli estratti attribuiti a Ettore Scola e Francesco Maselli. Il testo di Maraldi è stato in generale un contributo fondamentale per la redazione di questo pezzo.
2 – MARALDI Antonio, Antonio Pietrangeli, pp. 54-55, op.cit.
Info
La pagina Wikipedia dedicata ad Antonio Pietrangeli.

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