Nippon Nankyoku Tanken

Nippon Nankyoku Tanken

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Complessa e affascinante sfida tecnica realizzata dagli operatori dell’agenzia pubblicitaria nipponica nei primissimi anni Dieci filmando l’esplorazione in Antartide a metà strada fra il documento cinegiornalistico, il documentario naturalistico e il film di propaganda sull’espandersi dell’Impero, Nippon Nankyoku Tanken (La spedizione Giapponese in Antartide) fu più volte rimontato, rimaneggiato e ripresentato in diverse e sempre più brevi versioni per commemorare i vari anniversari dell’impresa. Fra i più antichi documentari del Sol Levante, torna ora, grazie a un attento e straordinariamente filologico lavoro di certosina ricostruzione, agli originari 50 minuti della più lunga versione possibile, comprensivi delle didascalie esplicative aggiunte nel 1930. A Pordenone per le 38esime Giornate del Cinema Muto.

Verso il grande freddo

Dall’allenamento degli husky alla partenza del vascello, dall’esplorazione del Circolo Polare al ritorno fra la folla festante, Nippon Nankyoku Tanken (La spedizione Giapponese in Antartide) è il diario di un viaggio di venti mesi, fatto di ghiaccio, foche, pinguini, paesaggi mozzafiato e condizioni al limite. La spedizione del tenente Shirase salpò per l’Antartide il 28 novembre 1910. Il conte Shigenobu Ohkuma decise di documentare cinematograficamente l’avvenimento. Nel mese di novembre dell’anno successivo il cameraman Yasunao Taizumi si unì alla spedizione arrivando in Antartide, dove girò insieme ai suoi collaboratori circa 1200 metri di pellicola. [sinossi]

Era il 1912, appena pochi mesi dopo la spedizione nipponica in Antartide, quando i rulli di Nippon Nankyoku Tanken trovarono la loro prima proiezione pubblica accompagnata dalla viva voce del tenente Shirase, comandante dell’operazione, a commentare per il pubblico le immagini. Solo nel 1930, in occasione del primo rimontaggio realizzato per commemorare il ventennale dell’impresa, vennero aggiunte le didascalie che rendono uno dei primi documentari della storia cinematografica del Giappone, realizzato in larga parte da Taizumi Yasunao operatore della Pathé aggregato all’equipaggio, una vera e propria narrazione. Nel frattempo, però, alcune parti erano erano temporaneamente andate perdute, e riappariranno solo nella terza versione, realizzata e ridistribuita nel ’40 da quattro copie positive incomplete e di differente marca e pasta per trasformare il trentennale dell’operazione in una chiamata politica alle armi, e poi in quella del 1950, in cui il film venne tagliato a soli 19 minuti per non stancare troppo i pochi e ormai anziani superstiti presenti alla commemorazione. Una versione, quella ridotta, già proiettata nel 2011 alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, che oggi coerentemente ritornano a quelle abbacinanti immagini presentando il nuovo e, una volta tanto anche parlando di digitale, straordinario restauro commissionato ai laboratori Imagica dal National Film Archive of Japan di Tokyo.

Un lavoro che, con un magnifico spirito filologico di graffi, tremoli, grana, strisce sull’emulsione, sbalzi di luminosità, leggeri fuori quadro e fisicissime imperfezioni volutamente non corrette, restituisce il più possibile vicina alle condizioni visive originarie della prima proiezione una versione ancor più completa di quella del 1930. Merito di una copia in nitrato imbibita e virata in oro, blu e arancio della versione del ’12, gelosamente conservata per quattro generazioni dalla famiglia di quello Shunzo Murakami editore specializzato, a cavallo fra l’Otto e il Novecento, in riviste di avventura ed esplorazione, nella quale sono state innestate (e visivamente ricostruite con il giusto font e segni del tempo coerenti tutto il resto) le didascalie originali direttamente riprese dai documenti censori, aggiungendo le brevi parti assenti nella copia di riferimento ma reperibili nel montaggio ridotto del ’50.

C’è l’allenamento degli husky che dovranno trainare le slitte, ci sono gli strumenti necessari per avventurarsi oltre il Circolo Polare, ci sono le benedizioni religiose e politiche prima della partenza della Kainan Maru. C’è il 28 novembre 1910 con la nave che salpa verso sud fra la folla festante, ci sono i membri dell’equipaggio passati in rassegna e presentati uno a uno, manca il loro primo arrivo in Antartide ma c’è la loro sosta forzata per svernare a Sydney causa maltempo, per poi ripartire, questa volta con l’operatore a bordo, nel loro nuovo progressivo inoltrarsi verso le lande di ghiaccio, il freddo e gli iceberg. La carne di foca diventa cibo e il grasso diventa carburante, fino al nuovo arrivo della spedizione in Antartide nel gennaio del 1912, con le slitte trainate dai cani prima di montare la tenda e il campo base. Ci sono nuove vie da aprire nel ghiaccio, c’è l’incontro nella Baia delle Balene con la Fram dell’esploratore norvegese Roald Amundsen, e c’è qualcuno che si perde facendo partite le squadre di ricerca, mentre gli uomini inquadrati nell’immensità del bianco sono come puntini neri sotto le colossali pareti di ghiaccio. Pregano l’imperatore lontano, divinità in terra, sotto i raggi della sua bandiera piantata a fare più grande il Giappone, mentre sulla neve appare l’ombra della mano che, di fronte a una sfida tecnica per i mezzi del tempo straordinaria ai limiti dell’impossibile, gira imperterrita la manovella della macchina da presa seguendo le acrobazie terracquee di una grassa foca e il buffo ed elegante incespicare dei pinguini.

Gli uomini cacciano e pescano, esplorano e studiano, e infine ritornano, accolti come eroi prima a Wellington e poi in Giappone, il 20 giugno 1912 nuovamente a casa dopo oltre 20 mesi di viaggio. «Tutti sparano a salve mancando il bersaglio, a noi è bastata una sola cartuccia carica», fino ai festeggiamenti ufficiali, ai saluti di gruppo guardando in camera, alla gioia e alla celebrazione di un completo successo. Totalmente ignari di quelle che sarebbero state le (dis)avventure di Nippon Nankyoku Tanken nelle sue decennali e rimaneggiate riedizioni, ma probabilmente già consci di far parte della Storia e di una memoria collettiva. Quella dell’Antartide, ma anche quella dell’emulsione, eterna compagna di viaggio, di sogni, d’avventura. Un’emulsione sopravvissuta al gelo del Polo e al caldo umido soffocante del Giappone, riportando ancora fedelmente, fra il documento cinegiornalistico, il documentario naturalistico e il film di propaganda sull’espandersi dell’Impero, quei volti, quelle imprese e quei brandelli di Storia. Fino alla prossima proiezione, ancora a squarciare il buio con il candore – meravigliosamente rigato – dell'(im)perscrutabile crosta di neve.

Info
La scheda di Nippon Nankyoku Tanken sul sito de Le Giornate del Cinema Muto.

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