Fuori di testa

Fuori di testa

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Fuori di testa è il film che, a poco meno di dieci anni di distanza da American Graffiti, innervò l’estetica del teen movie segnando in modo evidente un punto di svolta nel genere, e preconizzando l’arrivo sul proscenio da lì a un paio d’anni di John Hughes. Scritto da Cameron Crowe, Fuori di testa fu il trampolino di lancio per un nugolo di attori destinati a marcare a fuoco gli anni Ottanta (e non solo): Sean Penn, Jennifer Jason Leigh, Nicolas Cage, Phoebe Cates, Forest Whitaker, Eric Stoltz, Anthony Edwards.

Tempi veloci

Un anno di scuola e di vita alla Ridgemont High School, immaginario liceo della San Fernando Valley: è lì che si incrociano i destini, gli amori, e le disavventure di Stacy, Brad, Mike, Rat, Linda, e del fumatissimo Jeffrey “Jeff” Spicoli, che manda fuori di testa l’integerrimo Hand, professore di storia. [sinossi]

Nel 1985, in Meno di zero, Bret Easton Ellis scrive: «Stetti molto tempo seduto in camera mia, la settimana prima di partire, guardando uno spettacolo tv che andava in onda al pomeriggio e mostrava video mentre un dj di una stazione rock locale presentava i vari clips. Ci saranno stati circa cento teenagers a ballare davanti a un enorme schermo su cui erano proiettati i video; le immagini rimpicciolivano i ragazzi e avrei potuto riconoscere gente che avevo conosciuto nei locali, e che ora ballava nello spettacolo, sorridendo per le telecamere, e poi girandosi per guardare su verso lo schermo illuminato, monolitico, che gli rimandava le immagini. Alcuni di loro cantavano le canzoni mentre venivano suonate. Ma io mi concentravo su quei teenagers che non aprivano la bocca, quelli che avevano dimenticato le parole, quei teenagers che forse non le avevano mai conosciute.». Sono solo tre gli anni che intercorrono tra l’uscita nelle sale di Fast Times at Ridgemont High (davvero demente il titolo italiano Fuori di testa, a quanto pare rifugio delle distribuzioni italiane del decennio, visto che pochi anni più tardi verrà utilizzato anche per Bad Taste, l’esordio alla regia di Peter Jackson) e la pubblicazione del primo romanzo di Ellis. Il romanziere statunitense lo scrive a ventuno anni, ed è quindi coetaneo o giù di lì dei personaggi raccontati da Amy Heckerling partendo dalla sceneggiatura di Cameron Crowe: visto che l’epicentro della narrazione è in entrambi i casi Los Angeles (San Fernando Valley per quel che concerne il film), viene quasi da pensare che Clay, il disilluso protagonista delle pagine di Ellis, sia stato un compagno di scuola di Jeff Spicoli, Brad e Stacy Hamilton, Mike Damone, Linda Barrett, Mark Ratner, Charles Jefferson. Quindi la gioventù frenetica che si muove tra il liceo e il centro commerciale sarà destinata a essere distrutta nel corso degli anni Ottanta, spazzata via dalla “dottrina Reagan”: non è casuale che nel 1993, in Dazed and Confused La vita è un sogno, a proposito di titoli fuorvianti, per il mercato italiano –, Richard Linklater ambientando il film nel 1976 faccia pronunciare al personaggio interpretato da Marissa Ribisi la sibillina e sarcastica frase “It’s like the every-other-decade theory: The ’50s were boring, the ’60s rocked, and the ’70s, oh God, they obviously suck, right? Maybe the ’80s will be radical. I figure we’ll be in our twenties… Hey, it can’t get any worse”. Certo che è potuta andare peggio, per quanto forse potesse sembrare impossibile. Ma nell’immaginario liceo raccontato da Heckerling non c’è ancora spazio per la presa di coscienza, e si può trascorrere un intero anno a cercare di comprendere chi si è, o chi si ha intorno, a inseguire l’amore e il lavoro, a darsi un tono con la speranza che a nessuno venga il ghiribizzo di infangare l’altrui reputazione.

Quando Fuori di testa viene distribuito nelle sale statunitensi nell’agosto del 1982 (si avvicinerà ai 30 milioni di dollari di incasso, un risultato oltre sei volte superiore al costo sostenuto dalla produzione) sono trascorsi esattamente nove anni dall’irruzione sulle scene di American Graffiti, e non pochi sono i critici a mettere in relazione i due film. Dopotutto in quel lasso di tempo poche sono state le opere uscite al cinema aventi come polo d’attrazione il liceo: tra i pochi titoli che è possibile portare come esempio senza dubbio, in ordine meramente cronologico, Cooley High di Michael Schultz, Massacro al Central College di Rene Daalder, Peccati, jeans e… di Joseph Ruben, Slumber Party ’57 di William A. Levey, Carrie – Lo sguardo di Satana di Brian De Palma, Tutto accadde un venerdì di Gary Nelson, Goodbye, Franklin High di Mike MacFarland, Grease di Randal Kleiser, Rock ‘n’ Roll High School di Allan Arkush (con i Ramones!), Graduation Day di Herb Freed, Student Bodies di Mickey Rose – con Michael Ritchie non accreditato. Lavori per lo più dimenticati perché dimenticabili, con rare e celebri eccezioni. L’industria hollywoodiana non ha ancora eletto il teen-movie a vero e proprio genere di riferimento, e usa i “corpi studenteschi”, per rubare il termine al thriller di Mickey Rose, come carne da macello, utile più per sollazzare il desiderio voyeuristico dello sguardo che per analizzare desideri, paure ed esigenze degli adolescenti. Spinto proprio da quest’altro tipo di interesse è invece Cameron Crowe quando nel 1979, a ventidue anni, si iscrive sotto falsa identità al Clairemont High School di San Diego per passare un anno con falangi di liceali, lui che non aveva mai finito la scuola per iniziare appena quindicenne una carriera da critico musicale sulle pagine di “Rolling Stone”. Nasce da questa esperienza Fast Times at Ridgemont High: A True Story, che viene dato alle stampe nel 1981 divenendo un piccolo caso editoriale. Il libro, che non segue una narrazione unica, si articola per lo più attorno a sei tra ragazzi e ragazze utilizzabili come paradigmi di diverse categorie adolescenti, quali il “duro”, il “secchione”, la “ragazza sofisticata”, il “surfer”, e un fratello e una sorella della classe media. Quando il libro è ancora in fase di scrittura i suoi diritti vengono acquistati per una trasposizione cinematografica, con Crowe – all’epoca senza nessuna esperienza di scrittura per il cinema – confermato alla sceneggiatura e la regia affidata a Heckerling, a sua volta esordiente dietro la macchina da presa. Senza nessun nome di richiamo in locandina, con una regista e uno sceneggiatore esordienti, e con una trama priva di particolari sviluppi, Fuori di testa si segnala da subito come una delle prime grandi rivoluzioni all’interno dei codici del teen-movie, e se Gioventù bruciata aveva dettato legge nella rappresentazione di determinate dinamiche scolastiche fin dagli anni Cinquanta, l’unico paragone possibile restava George Lucas e il suo American Graffiti, tanto più che anche Heckerling e Crowe si tolgono lo sfizio di terminare il film congelando il fotogramma con ognuno dei protagonisti e indicando ciò che gli è accaduto nell’immediato futuro (stratagemma che, sempre guardando a Lucas, aveva utilizzato nel 1978 a sua volta John Landis nel finale di Animal House, in quel caso a mo’ di bonaria beffa).

Se però è oggettivamente difficile immaginare Fuori di testa senza l’esempio di American Graffiti non è né per la struttura narrativa né per i codici espressivi che lo caratterizzano. Nel sovrapporre i due film si è spesso compiuto un errore di interpretazione tanto dello spazio quanto del tempo. American Graffiti è un film che si muove per l’intera città di Modesto, altro agglomerato urbano californiano, mentre i luoghi che va a toccare Fuori di testa sono quelli in qualche misura topici: casa, scuola, campo di football, centro commerciale. Ma è sul tempo, leggibile in un senso doppio, che cambia completamente la prospettiva tra i due film. Il primo tempo, quello durante il quale si svolge la storia narrata, mostra già una divergenza assoluta: Lucas ambienta il suo film in un unico giorno, l’ultimo giorno in città per quattro compagni di liceo prima che due di loro partano per un college sulla costa orientale degli Stati Uniti (anzi, si tratta solo delle ore serali e notturne); al contrario Heckerling svolge il film per un intero anno scolastico, dai lavori estivi dei liceali ai successivi, inevitabilmente uguali. Se Lucas filma un commiato, il primo vero punto di svolta nelle esistenze di un gruppo di ragazzi, Heckerling e Crowe sono interessati alla quotidianità della vita, al suo svolgersi naturale, con un approccio in sé meno drammaturgico e quasi più “documentario” (e dopotutto la sceneggiatura nasce da quello che a tutti gli effetti può essere definito come un reportage in incognito). Ma è la seconda accezione di tempo a determinare con ancora maggior forza una netta distanza tra le due opere. Il film del 1973 è infatti ambientato undici anni prima, nel 1962: non è un resoconto, ma un ricordo, forse persino una nostalgica flâneurie. Lo stesso processo – storia ambientata in un’unica giornata, quella della chiusura delle scuole per le vacanze estive, e ritorno indietro nel tempo – verrà sviluppato da Linklater con La vita è un sogno. Fast Times at Ridgemont High, al contrario, è proprio ambientato nei primi anni Ottanta: le ragazze si vestono alla moda di Pat Benatar, c’è chi vuole andare ai concerti di Earth, Wind & Fire, Blue Öyster Cult, e Van Halen, nelle camere da letto troneggiano i poster di Devo ed Elvis Costello. Non c’è bisogno di volgere lo sguardo al passato per raccontare l’adolescenza, si può ricorrere all’hic et nunc: dopotutto lo ricorda anche il titolo come quelli siano “tempi veloci”, da raccontare nel pieno della loro frenesia. Nessuno, prima del film di Heckerling – e verrebbe da pensare prima del libro di Crowe – aveva tentato il fermo immagine non su una generazione del passato, ma su quella ancora in fieri: per questo le scritte finali non possono che essere transitorie, quasi superflue (“Brad Hamilton è diventato manager del MI-T-MART il 12 giugno”, “Il professor Vargas ha ricominciato a bere caffè”, “Il signor Hand è convinto che tutti siano strafatti”). Il futuro è tutto da scrivere. Questo approccio rivoluzionario segnerà in profondità l’immaginario cinematografico adolescente degli anni Ottanta, e quindi dei decenni a venire, al punto che è lecito considerare Fuori di testa come il testo originale cui tutti i registi dediti al teen movie nel corso degli anni successivi attingeranno, a partire anche dall’altro nume tutelare del genere, John Hughes. I tipi umani che saranno l’elemento cardine di molte delle commedie con protagonisti teenager – così come dei drammi – sono già tutti presenti nel film di Heckerling: c’è il ragazzo timido e bravissimo a scuola, lo sbruffone che millanta conoscenze e relazioni, lo smidollato che passa le giornate a fumare erba, la graziosa vergine e la sua migliore amica dispensatrice di consigli, il campione di football, il ragazzo più celebre del liceo, e via discorrendo. Con una naturalezza garantita dallo smarcamento da qualsivoglia “dittatura della scrittura” Fuori di testa riesce a cogliere il centro del bersaglio, rappresentando la gioventù americana al principiar del decennio di plastica, e raccontando paure e desideri, voglie represse e distonie, abitudini e riti. Tutto questo si trasformerà in un vero e proprio modello da seguire quasi alla lettera, sia nel racconto emotivo che nella costruzione delle dinamiche (la perdita della verginità, l’esame di fine anno, il ballo), per quanto l’originale nella sua libertà espressiva saprà spingersi anche in direzioni che la maggior parte dei teen-movie preferirà evitare – la spassosa sequenza in cui Linda insegna a Stacy come praticare la fellatio esercitandosi con una carota, la stessa Stacy che va in clinica ad abortire.

A proposito di “prime volte”, Fuori di testa la rappresentò per molti: oltre ai già citati esordi di Crowe alla scrittura e Heckerling alla regia, segnò anche il primo ruolo davvero rilevanti per un nutrito gruppo di attori. Tra questi anche alcuni nomi destinati a segnare in profondità l’immaginario cinematografico a stelle e strisce, da Sean Penn a Jennifer Jason Leigh, passando per Phoebe Cates, Forest Whitaker, Eric Stoltz, Nicolas Cage. In qualche modo è come se i “fast times at Ridgemont High” facessero davvero entrare Hollywood negli anni Ottanta, segnando una cesura netta con un decennio, quello appena precedente, che aveva trovato nel racconto della Storia il nodo cruciale del senso della narrazione, e aprendosi all’istante, al film che vive di pari passo con il proprio tempo, e tenta di rappresentarlo. Il teen-movie da lì in avanti non abbandonerà più questo schema, se non in occasioni sporadiche, cercando semmai di perpetrarne il fasti. L’inizio di una nuova era.

ps. Cameron Crowe mette a disposizione della produzione la sua sterminata conoscenza musicale, e così la colonna sonora vibra delle note tra gli altri di Jacksone Browne, Oingo Boingo, Stevie Nicks, Donna Summer, e Graham Nash.

Info
Il trailer di Fuori di testa.

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