Lo squalo

Lo squalo

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Primo film di grande successo diretto da Steven Spielberg, a distanza di quasi quarant’anni Lo squalo dimostra ancora tutta la propria potenza espressiva e la propria stratificazione, narrativa e di senso.

Quando ad Amity, una piccola località sulla costa atlantica, un enorme squalo bianco fa strage di bagnanti, il capo della polizia, un giovane biologo marino e un cacciatore di squali decidono di affrontare il terribile animale per annientarlo… [sinossi]

Un falò sulla spiaggia. Un gruppo di giovani beve, fuma, suona la chitarra: una ragazza invita un ragazzo a fare un bagno con lei nella baia, un bagno notturno. Lui è ubriaco, inciampa più volte nel tentativo di togliersi i calzoni, le chiede di aspettarlo ma la ragazza si è già tuffata in acqua, e si lascia trascinare dalle onde calme. Improvvisamente la macchina da presa si immerge in una soggettiva subacquea incalzata dalla musica ansiogena di John Williams. Lui sta sopraggiungendo verso la sua ignara preda. Lo squalo.

Prende il via con un incipit maiuscolo, destinato a segnare la storia del cinema dell’orrore – perlomeno quello zoofilo/zoofobo – Jaws, il film che lanciò il nome del giovane Steven Spielberg nell’empireo della “nuova” Hollywood, prima che la sua stella deflagrasse definitivamente due anni dopo con il superbo Incontri ravvicinati del terzo tipo. Aveva meno di trent’anni, Spielberg, e un curriculum registico che metteva insieme una manciata di episodi di telefilm, tre film per la televisione (di cui almeno uno, l’incubo meccanico Duel, destinato a entrare nella storia del cinema) e l’esordio Sugarland Express, road-movie in fuga forse meno originale in fase di scrittura ma denso e coinvolgente.
Lo squalo rappresentava una sfida per il regista, una macchina industriale ben più complessa e stratificata rispetto a quelle che era stato solito maneggiare fino a quel momento. Partendo da un romanzo di Peter Benchley, anche al lavoro in fase di sceneggiatura insieme a Carl Gottlieb (il primo rimarrà invischiato nella scrittura di “cose di mare”, il secondo esordirà anche alla regia con il dimenticabile Il cavernicolo, protagonista uno spaesato Ringo Starr post-Beatles), Spielberg non si accontenta di dirigere un thriller di ambientazione marina, magari anche entusiasmante sotto il profilo della suspense, ma dirige il suo interesse altrove. Nascosto nelle pieghe di una macchina cinematografica a dir poco perfetta, in cui anche il singolo singulto in scena è calibrato fino allo sfinimento, Jaws è in realtà il punto di (ri)partenza del grande romanzo della lotta dell’uomo contro la natura. Brody, Quint e Hooper – il borghese metropolitano, il vecchio lupo di mare proletario, e il biologo miliardario, radical chic ante litteram – sono, uni e trini, degli Achab post-modern alla disperata caccia della loro Moby Dick: per questo l’esemplare di squalo bianco che infesta le acque di Amity Island deve essere così enorme, indistruttibile e inesorabile. Non (solo) per una mera questione narrativa, ma perché la presenza di questo famelico carcarodonte racchiude al proprio interno il timore per l’ignoto, l’insondabile e a suo modo l’immateriale – lo squalo ghermisce le sue prede senza che esse siano in grado di accorgersi in anticipo del suo arrivo: con Lo squalo Spielberg torna a ragionare sulla guerra tra Uomo e Bestia, cardine su cui si reggeva Duel, ma lo fa allargando decisamente il campo d’azione. Le forze in gioco ora sono molteplici, e sarebbe sciocco puntare l’occhio solo sulla fin troppo ovvia dicotomia umano/bestiale: c’è, per la prima volta in maniera compiuta nel cinema del regista nativo di Cincinnati, il rapporto familiare, c’è, ed è ancora più rilevante, l’uomo normale in situazioni straordinarie di truffautiana (e hitchcockiana) memoria.
Suddiviso in maniera lineare in due segmenti precisi e tra loro antitetici, il primo sulla terraferma (con lo squalo a caccia di bagnanti) e il secondo in mare aperto (con i tre uomini alla caccia del predatore), Lo squalo è un esempio di cinema espanso, purissimo, e si contraddistingue anche a distanza di quasi quarant’anni dalla sua uscita nelle sale come una delle messe in scena più riuscite di Spielberg: nella lunga sequenza della lotta in mare con la Bestia – che diventa via via sempre più grande, immensa, mastodontica, fino ad attaccare a morsi la stessa imbarcazione – il cineasta statunitense riesce a costruire un saliscendi emotivo sorprendente e spiazzante, trascinando lo spettatore dal pianto al riso fino all’urlo di terrore, senza alcuna soluzione di continuità. Il cameratismo, altro tratto peculiare dell’approccio di Spielberg alla materia cinematografica (lui, sempre così attento alle psicologie infantili, costruttore di stanze dei giochi visive e immaginifiche) trova la sua sublimazione nei tre protagonisti e nei loro ricordi di gioia e sofferenza in mare: il racconto di Quint dell’affondamento della USS Indianapolis e della carneficina cui andarono incontro i superstiti per l’arrivo a frotte di squali fa ghiacciare il sangue nelle vene, subito prima che la frase “ma che importa? Avevamo consegnato la bomba” ne contraddica in parte il senso con un sardonico ghigno anarcoide.
Anche per tutta la lunga serie di motivi sopra enunciati, appare impossibile lasciarsi sfuggire l’occasione di godere dello splendore de Lo squalo nella compattezza del blu ray. La Universal ha licenziato una versione del film – disponibile anche in Digital Copy – da leccarsi i baffi, permettendo tra l’altro allo spettatore di scegliere, oltre alla colonna audio originale e alle altre lingue, anche i due doppiaggi italiani, quello relativo all’uscita in sala del 1975 (con Quint affidato alle cure del grande Renato Mori) e quello, francamente meno convincente, approntato per l’edizione in dvd del 2004.
Ricchissimi i contenuti speciali di questo blu ray, che mette insieme tra gli altri alcuni documentari – in particolare vale la pena citare il lungo Making of di due ore nel quale viene intervistato gran parte del cast e della troupe – le immancabili scene tagliate, un interessante lavoro sullo storyboard e un esaustivo dietro le quinte, che svela molti dei segreti celati nei meandri meno illuminati di un’operazione commerciale che, pur partendo da basi rischiose, permise a Spielberg di farsi la fama di regista da box office, ruolo che ha ricoperto più volte nel corso della sua lunga e gloriosa carriera.
La macchina delle meraviglie del cinema di Spielberg nasce in qualche modo qui, sulle coste insanguinate di Amity. Ora la Universal le restituisce al pubblico, in un’edizione scintillante, dal video e dall’audio impeccabili. Non fatevi sfuggire l’occasione.
Info
Il trailer originale de Lo squalo.
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