I predatori dell’arca perduta

I predatori dell’arca perduta

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Irrompe sul grande schermo la figura di Indiana Jones, ed è subito un successo planetario. Con I predatori dell’arca perduta Steven Spielberg dirige il primo capitolo di una tetralogia destinata a modificare l’industria hollywoodiana dall’interno. Il passo definitivo verso la conquista dell’industria, insieme al sodale George Lucas.

La frusta e il corpo

Perù, 1936. Il professore di archeologia Henry “Indiana” Jones Junior è sulle tracce di un antico idolo della fertilità, conservato in un tempio immerso nella giungla. Superati i molti trabocchetti ed ostacoli, insieme alla sua guida Satipo, riesce a prenderlo. Satipo si rivela un doppiogiochista poiché ruba l’idolo per tenerselo tutto per sé, ma muore in una trappola nel tentativo di scappare. Indy riesce a riprendere l’idolo, ma appena uscito con l’oggetto tra le mani, viene sorpreso dal rivale René Belloq, che riesce ad impossessarsene, mentre Jones è costretto alla fuga, inseguito da pericolosi Indios Ovitos comandati da Belloq. Tornato all’Università di Princeton, Indiana Jones e il collega e amico Marcus Brody ricevono la visita di due agenti dell’Intelligence, che spiegano loro che i nazisti sono ad un passo dal recuperare la mitica Arca dell’Alleanza, contenente frammenti delle tavole dei dieci comandamenti dettati da Dio a Mosè… [sinossi]

I predatori dell’arca perduta è un titolo “impossibile”, al di fuori del tempo, sorpassato da ogni lato dai venti della modernità, del progresso. Era così nel 1977, quando Steven Spielberg si vide raccontare la trama del film da George Lucas mentre erano in vacanza alle Hawaii – il primo per riprendersi, si fa per dire, dal successo di Guerre stellari, il secondo in una pausa dalla lavorazione di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Era così anche prima, nel 1973, quando Lucas scrisse il soggetto di quello che ancora si chiamava The Adventures of Indiana Smith per poi discuterne lo sviluppo insieme a Philip Kaufman, bloccato tra le riprese di The Great Northfield Minnesota Raid e The White Dawn. Fu proprio Kaufman a suggerire di porre nel bel mezzo della trama il tema dell’Arca dell’Alleanza, l’Ārôn habbərît, l’unico segno visibile del rapporto tra Dio e gli uomini secondo la Bibbia. L’unico segno tangibile in un percorso di fede immateriale. Anche Lucas e Spielberg hanno una fede incrollabile nell’immateriale, nell’immagine che prende vita nella caverna mentre i prigionieri sono ancora spalle al sole, impossibilitati a scorgere la realtà delle cose. Nella lotta tra platonico e religioso entrambe le parti, ne I predatori dell’arca perduta, sono costrette alla dialettica, allo scontro grammaticale. Nella grammatica dell’immagine, ovviamente. Lo stupore è il tratto distintivo delle avventure di Indiana Jones. L’archeologo non è solo un erudito, uno stanco docente universitario che elargisce la propria cultura alle giovani generazioni. L’archeologo Jones, figlio dell’archeologo Jones – ma lo si scoprirà solo nel terzo capitolo, Indiana Jones e l’ultima crociata, con l’apparizione in scena di Sean Connery – è l’avventuriero che rimane inebetito, illuminato di fronte alle splendide gemme perdute che riporta in vita. Non è un accumulatore per desiderio di conquista, come invece il perfido René Belloq interpretato da Paul Freeman, ma un palpitante adoratore del perduto. Ristabilisce l’ordine dell’evoluzione, Jones, rimette a posto i pezzi. Li dona alla scienza, perché sempre di uno scenziato si tratta. Ma li dona al pubblico, li rende “popolari”. Agisce come un regista, ma allo stesso tempo come uno spettatore. Lì, nella dicotomia tra maieuta e paidos, vive il senso intimo di Lucas/Spielberg, il miracolo iper-terreno che nasce grazie al capitalismo, nonostante il capitalismo. La vera rivoluzione hollywoodiana che è anche inevitabilmente restaurazione, ma sempre progressiva nonostante il ritorno indietro nel tempo. Un ritorno al futuro eterno, che parte da THX 1138 e Duel e arriva fino a Ready Player One, l’apologia definitiva di quella rivoluzione che non fu subito compresa, o valutata nel suo complesso.

Se è vero, come scrisse Thomas Schatz, che Lo squalo aveva messo un punto d’arrivo alla New Hollywood, riconvertendone le istanze espressive in un contesto di puro profitto commerciale, I predatori dell’arca perduta è la reale nascita di una Hollywood pienamente consapevole sia della propria storia che della necessità di ritrovare un punto di contatto tra popolo/cliente e demiurgo/venditore. Il cinismo del denaro preso d’assalto dal furore cinefilo e romantico della nuova classe dirigente. La scalata al potere ha inizio quando Indy chiude gli occhi di fronte al mistero di un potere più grande e sconosciuto, che si irradia come luce improvvisa e ferale nella notte a nord di Creta, nel mezzo del Mediterraneo.
I predatori dell’arca perduta annulla, nel suo nascere, quarant’anni di Hollywood. Un atto non dissimile da quello di Guerre stellari, che riparte da John Ford e Akira Kurosawa per dare vita a un “nuovo” ideale, mai dimentico del suo passato ma proteso a velocità innaturale verso il futuro, verso galassie lontane lontane, verso un pubblico che impara a (ri)aprire gli occhi e riconoscersi infante, e poi adolescente, e solo alla fine adulto. Un’evoluzione del cinema che si sviluppa nella mancata evoluzione di una società insabbiata dall’insorgere del decennio reaganiano. Il decennio della velocità e della plastica, cui Spielberg risponde con un mestiere che nega nel suo stesso esistere la plastica d’oggi e si immerge in una non-velocità che sa diventare azione, e coazione a ripetere uno schema che diventerà proverbiale. Per mettere in scena quest’uomo doppio, scienziato/avventuriero, iconoclasta/credente, virile/sardonico, e il mondo della doppiezza hollywoodiana alla ricerca di successo e arte, come fossero parte di una medesima alcova, Spielberg rincorre ciò che è stato. Già l’ambientazione, a pochi passi dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, con Hitler alla ricerca dei simboli sacri in cui ritiene sia contenuto un potere utilizzabile allo scopo bellico – miscredente, supponente che si ritiene al di sopra del potere dell’immagine, e del sacro, e destinato dunque a soccombere sotto il peso della propria marcescibilità nel tempo – rende chiaro il concetto.
Ma Spielberg gioca con lo stilema classico, rende più funzionale la frusta della pistola, fa volare Jones da una parte all’altra del globo ricorrendo allo stratagemma della cartina geografica con la tratta in movimento (come farà oltre venti anni dopo Quentin Tarantino con i viaggi di Beatrix Kiddo nei due volumi di cui si compone Kill Bill), riscopre paesaggi perduti dall’immaginario neo-hollywoodiano come il deserto, la Casbah, il medio-oriente, le montagne innevate dell’Himalaya. Riscopre l’avventura, che il conquistatore cinematografico occidentale aveva abbandonato nell’epoca dell’ottimismo post-bellico, della rinascita economica, dei boom petroliferi. Riscopre l’avventura, quel mistico e terraceo bisogno di spingersi oltre, di scorgere una verità non scritta, mai borghese, mai placidamente seduta su se stessa. Mentre Hollywood sembra immersa nelle nubi tossiche delle città inquinate Indiana Jones – e prima di lui Luke Skywalker – si muovono in territori alieni, gli stessi che andrà a scoprire Roy Neary in Incontri ravvicinati del terzo tipo, o che affronteranno i tre uomini in barca nella lotta contro il mostro marino ne Lo squalo. Uomini d’altri tempi, di tempi mai esistiti ma che la Hollywood dorata vagheggiava, rincorreva, bramava. Indiana e Marion non sono in lotta “solo” contro il nazismo. Sono in lotta contro il loro tempo, e contro tutti i tempi. Sono in lotta contro il concetto stesso di tempo, di contemporaneità. Sono anti-moderni, e per questo possono fare breccia nel cuore di un pubblico che è iper-moderno, e rischia di annaspare nel proprio quotidiano. L’Arca dell’Alleanza era il contatto tangibile tra la divinità e il suo popolo. Lucas e Spielberg rendono tangibile la Xanadu/Hollywood, per creare una connessione con il loro popolo. Creano gli anni Ottanta, e una rivoluzione restauratrice o restaurazione rivoluzionaria che dir si voglia. Ri-creano l’immagine, e la vestono d’antico. Archeologi della Settima Arte. Avventurieri.

Info
Il trailer de I predatori dell’arca perduta.
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