Il corriere – The Mule

Il corriere – The Mule

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Con buona pace di qualche schematismo narrativo, una forza del passato deflagra sul grande schermo in Il corriere – The Mule, è il suo autore-attore Clint Eastwood. Non resta che decidere se lasciarsi sedurre o meno, ancora una volta.

Ecce homo

Earl Stone ha 90 anni, è un uomo solo ed è al verde, in seguito al fallimento della sua società. Quando gli viene offerto un lavoro che richiede semplicemente la guida di un’auto, accetta senza remore ma, a sua insaputa, Earl è appena diventato un corriere della droga per un cartello messicano. Svolge bene il suo nuovo lavoro, talmente bene che il suo carico aumenta esponenzialmente, e gli viene assegnato un responsabile. Questi non è l’unico a tenere d’occhio Earl: il misterioso nuovo ‘corriere’ della droga è finito anche nel mirino di un agente della DEA. [sinossi]

«Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore». I celebri versi di Pasolini, tratti da una delle poesie più belle e potenti della nostra letteratura, si adattano con sorprendente perfezione al nuovo film di e con Clin Eastwood Il corriere – The Mule, dove l’autore-attore torna ancora una volta a raccontare l’America dal punto di vista di un “reduce”, di una guerra certo, nel dettaglio quella di Corea (lo era anche in Gran Torino [1]), ma anche di una proto-storia ancestrale, di una cultura, di una società, di un cinema, morti da tempo e, in senso lato, anche di un “sogno americano” nato morto.

Indipendentemente dagli anni accumulati sulle spalle, un reduce è di fatto sempre un sopravvissuto. E questa è probabilmente una delle chiavi di lettura principali per comprendere e apprezzare il personaggio di Earl Stone (Eastwood): un residuo del passato in un presente a lui difficile da decifrare, di fronte al quale schiera i suoi stoici valori – legati magari a un linguaggio oggi politicamente scorretto (sì, dice ancora “negri”) – mentre attiva poi il suo indomito spirito di adattamento. Floricoltore dell’Illinois, Earl Stone (si tratta di un personaggio realmente esistito) ha trascorso la vita tra una convention e l’altra, riservando poca attenzione alla famiglia nel corso delle brevi soste domestiche. La moglie (Dianne Wiest), ora da lui divorziata, non perde occasione di rimproveragli le sue mancanze, mentre la figlia (Alison Eastwood) non gli rivolge più la parola. Solo la nipote Ginny (Taissa Farmiga) lo difende ancora, restando il suo unico legame familiare ancora in piedi. Quando perde la casa, la serra e il suo lavoro alla veneranda età di 90 anni, Earl, che è sempre stato un alacre e prudente guidatore, accetta di fare una serie di viaggi in Texas, per i quali viene sempre più profumatamente pagato. Trasporta droga, naturalmente, e a un certo punto lo scopre anche, ma con quel denaro riesce a comprarsi un nuovo pick up, restaurare il ritrovo locale dei veterani, pagare il buffet di matrimonio della nipote e in ultima istanza a farsi riammettere in famiglia, a recuperare gli affetti perduti.

Croce e delizia del sogno americano il denaro anche in Il corriere – The Mule è il motore e il fine ultimo di un riscatto che da individuale e sociale si fa anche affettivo. È chiaro da subito che le ambiguità non mancano in questa epopea di anziani Robin Hood di frontiera, ma anche l’espiazione, come nei migliori racconti di formazione, è dietro l’angolo. E ha le fattezze di un ambizioso agente della DEA in cerca di arresti che gli facciano svoltare la carriera, incarnato da Bradley Cooper (che torna ad essere diretto da Eastwood dopo American Sniper).

Impossibile non notare la somiglianza di Il corriere – The Mule con il recente The Old Man and the Gun di David Lowery, in comune i due film hanno il plot basico, il percorso on the road governato dal crimine e la presenza di un’anziana star (qui Eastwood e lì Robert Redford), ma se il film di Lowery poteva permettersi di celebrarla, il regista-interprete Eastwood evita sapientemente di autoincensarsi, conservando il suo abituale stile sobrio e schietto.

Piuttosto è la sceneggiatura firmata da Nick Schenk, già autore di Gran Torino (2008) a far sorgere qualche dubbio, per via della sua natura a tratti strumentale che provoca pericolose oscillazioni del film tra “il classico senza tempo” e lo schematico. Concentrato nel voler ripetere il successo del precedente film, Schenk ne rimescola gli ingredienti, spostandone solo un po’ la direzione, incluse naturalmente le ambiguità di stampo razzista, che hanno accompagnato di fatto la carriera di Eastwood sin dai tempi dell’Ispettore Callaghan. Per cui ecco che Earl fa battute fuori luogo sulle lesbiche, definisce “negri” una coppia di afroamericani, di fatto però dà una mano ad entrambe le categorie umane incontrate, da galantuomo vecchio stile qual è. L’età che avanzata, d’altronde l’ha privato di ogni filtro, ma non della buona educazione. A salvare la situazione, evitando cadute di stile, ci pensa poi una discreta dose di autoironia, messa sul piatto dal personaggio di Eastwood per riequilibrare la situazione. Una scena, poi, appare particolarmente azzeccata, anche se ha semplicemente l’obiettivo di rivelarci quanto la polizia abbia pregiudizi razziali ben più saldi del vecchio Earl. Si tratta del momento in cui la squadra di agenti capitanata da Bradley Cooper ferma un uomo che per ragioni di fisiognomica pare proprio il perfetto sospetto di narcotraffico. Il poveretto, che non parla nemmeno spagnolo (la polizia gli si rivolge in questo idioma) sentenzia più volte che essere fermato dalla polizia «è la cosa più pericolosa» che potesse capitargli e, date anche le vicende nostrane (pensiamo al caso Cucchi), risulta difficile dargli torto.

Procede rapido, una volta on the road Il corriere – The Mule e intrattiene di gusto con momenti che occhieggiano alla commedia più pura (davvero spassosi i vari incontri di viaggio, così come le salaci battute del protagonista), ma decolla realmente solo quando al vecchio Earl viene affiancato un tirapiedi del boss del narcotraffico. È nel confronto reale e non più solo episodico con “l’altro” che il personaggio di Earl perde la sua maschera di “razzista per ragioni di anagrafe” e riesce a svelarsi da un punto di vista umano, proprio mentre sale anche la tensione del versante “poliziesco” in parallelo con il desiderio di rientro nell’alveo familiare.
Già, perché il fine ultimo dell’arco narrativo predisposto dal film è tutto qui: nell’inno ai valori familiari troppo a lungo messi da parte dal protagonista eppure, come in ogni film americano che si rispetti (nel cinema di Muccino, per dire, le cose non vanno così), sempre recuperabili. Peccato certo per quell’insistenza sui rimbrotti, alquanto ripetitivi, della ex moglie incarnata da Dianne Wiest e dell’astiosa figlia. Momenti che mettono in luce quanto la maggiore debolezza de Il corriere – The Mule risieda proprio nella descrizione dei personaggi secondari, con il poliziotto rampante ma tonto (Cooper), il capo (Laurence Fishburne) capace solo di ripetere slogan senza mordente (vuole degli arresti, e subito!), il boss del narcotraffico (Andy Garcia) dedito al tiro al piattello e alle feste in piscina con ragazze in bikini. Si tratta di una galleria di ruoli appena sbozzati, incompiuti, quasi fossero stati progettati apposta per non poter in alcun modo oscurare il mostro sacro, il monumento vivente rappresentato da Clint Eastwood. E allora la vera domanda per lo spettatore resta solo questa: se sia sufficiente o meno la sua presenza, il suo ritorno sul grande schermo. Qui si gioca il livello di appagamento che il film può dare.

A differenza dei suoi fiori, il personaggio di Earl Stone non vive solo un giorno, ma ben 90 anni (e oltre), mentre Clint Eastwood è arrivato a 88 e questo dato incontrovertibile nel film si fa tangibile, quasi spaventoso. Il tempo, e dunque la morte, sono al lavoro davanti ai nostri occhi. La vera meraviglia in Il corriere – The Mule non proviene dalla riuscita o meno del film né dal suo presunto (ci auguriamo) status di opera-testamento, bensì dall’esistenza, fuori e dentro la scena, di una creatura testimoniale, incarnazione di un frammento di storia del suo paese, del cinema, americano e italiano, e in ultima istanza dalla sua disponibilità a mostrarci gli effetti del trascorrere degli anni sul suo volto e sul suo corpo. Non lo abbiamo coltivato noi, come i fiori di Earl, ma certo desideriamo, egoisticamente e proprio come i narcotrafficanti del film, che non si fermi, continui a viaggiare, che viva, ci intrattenga ancora, riecheggi epoche che non abbiamo vissuto, costi quel che costi.

Note
1. Scampato al fronte solo grazie alle sue qualità di atleta (finì a insegnare nuoto alle reclute), Eastwood interpretava un reduce della guerra di Corea anche in Una calibro 20 per lo specialista che inizialmente avrebbe dovuto dirigere e invece segnò l’esordio di Michael Cimino (1974).
Info
Il trailer di Il corriere – The Mule.
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