House of Gucci

House of Gucci

di

House of Gucci, il nuovo film di Ridley Scott, aveva in potenza la possibilità di raccontare una storia fattasi icona esplorando il significato – anche all’interno delle dinamiche di potere – del rapporto tra Maurizio Gucci e Patrizia Reggiani. Invece, proprio come in Tutti i soldi del mondo, il regista britannico si perde dietro la banalità della ricchezza, la superficialità dell’ambientazione, i lustrini e un pop che non ha mai il coraggio di osare fino in fondo. Resta da ammirare allora solo la bravura di Adam Driver e Lady Gaga.

Gucci contro Gucci

Maurizio Gucci e Patrizia Reggiani provengono da due classi sociali molto diverse ma in breve tempo si innamorano e si sposano. Osteggiati dal padre di lui, Rodolfo, con cui tagliano i ponti, i due trovano una sponda nello zio di Maurizio, Aldo, che da New York gestisce di fatto la grande impresa di famiglia e vede nel nipote e nella sua consorte i veri eredi del marchio… [sinossi]

Sarebbe bello chiedere a Ridley Scott cosa lo spinge a raccontare storie ambientate in Italia, come House of Gucci e Tutti i soldi del mondo (2017), con al centro losche trame di milionari senza cuore o cervello, per non cavarci fuori niente di significativo o compiuto ma spacciando in questo caso addirittura Roma per Milano e il quartiere Coppedè per la meneghina via Palestro (almeno il film precedente era direttamente ambientato anche a Roma). Gli piacerà l’amatriciana? Battute a parte sarebbe anche bello capire perché il regista sposti in avanti le lancette del tempo, facendo conoscere Maurizio Gucci (Adam Driver) e Patrizia Reggiani (Lady Gaga) nel 1978 e non nel 1970 come accadde nella realtà: otto anni nell’Italia degli anni Settanta rappresentano due mondi differenti ma a Scott interessa solo, probabilmente, ambientare il suo film più a ridosso degli anni Ottanta per permettersi spalline e capelli cotonati e saltare a piè pari quei Settanta di piombo sicuramente meno patinati. Lo spazio e il tempo non esistono, insomma, e se esistono si manipolano a piacere, spacciando una città per un’altra, l’indomani di Piazza Fontana per la “Milano da bere”: un’operazione da Hollywood anni Cinquanta ma senza l’astrazione formale necessaria per farci dimenticare che, semplicemente, il regista e la produzione hanno deciso di ignorare qualsiasi elemento di realtà e di piegare tutto al proprio progetto, al proprio obiettivo. Ma quale sarebbe, alla fine, questo obiettivo?

Scombiccherato, maldestro, scritto con incuria, insopportabilmente scandito da una serie di canzoni che aprono ogni dannata sequenza, House of Gucci si disperde in rivoli come una soap opera ma senza avere il coraggio di usarne il linguaggio fino in fondo dunque risultando solo caotico e sciatto. Compilation di scene slegate e piene di ellissi, necessarie per coprire un arco di vent’anni, il film non riesce a concentrarsi sull’unica dinamica veramente degna di nota di tutto il film, ossia il rapporto tra Reggiani e l’ex marito che fece ammazzare, ma va qua e là in inutili e fastidiose sottotrame come un bambino iperattivo. Facendo un raffronto con il banale e innocuo lavoro di Scott sulla famiglia Getty, che davvero non aveva niente di interessante da dire (è interessante raccontare che Jean Paul Getty fosse un ricco orientato solo a mantenere la “roba” e per il quale persino la vita del nipote era al confronto irrilevante?), House of Gucci è un’operazione più complessa e meno banale in cui ogni tanto emergono, nelle estenuanti 2 ore e 40 minuti, alcune intuizioni potenti di cui, purtroppo, né il film né il regista sanno che farsene. Chissà se Ridley Scott si è reso conto che nel suo film c’è un racconto di empowerement maschile, quello di Maurizio Gucci/Adam Driver, attraverso una donna che è già, fin da principio, molto più sveglia di lui: proveniente “dal basso”, Patrizia Reggiani/Lady Gaga sa quello che vuole (soldi, agio, potere) e fa di tutto affinché suo marito, alla morte del padre Rodolfo (Jeremy Irons), metta le mani sull’azienda di famiglia togliendo le quote societarie allo zio Aldo (un modesto Al Pacino) e al cugino Paolo (un insopportabile Jared Leto). E poco importa che Paolo Gucci non fosse figlio unico come mostra il film, che del resto ci racconta appunto che Reggiani/Gucci si conobbero otto anni dopo quanto avvenuto ed ebbero una sola figlia (ne ebbero due): andiamo avanti. Nella rappresentazione filmica, Reggiani fa “scoprire” a Maurizio la sua vera natura, che non è umile o differente da quella della sua casata o pronta a vivere con lei anche in povertà, ma ambiziosa e rapace. Una volta che Gucci/Driver è diventato quello che è, ossia un uomo a suo agio nel lusso e nel potere, non può che allontanare la donna che glielo ha mostrato, incolpandola addirittura visto che quella donna esisteva per farlo sentire diverso e dunque ora è insopportabile essendo divenuta lo specchio della propria deforme conformità; la donna, che ha sempre saputo di che pasta era fatta e che ha portato il marito a perseguire il pieno dominio nell’azienda, compie per vendetta un maschicidio vero e proprio, ovvero un omicidio la cui causa è l’abbandono inaccettabile e la sottrazione della propria posizione sociale.

Sepolta sotto quintali di inutili storielle, sotto gli intollerabili siparietti tra il prostetico di Jared Leto e il “babbo” Pacino, giace un’intrigante trama in cui c’è anche un terzo personaggio fondamentale per far capire le dinamiche dei due coniugi, un personaggio che non essendo “di famiglia”, alla famiglia riesce a togliere proprio tutto e con una lucidità che sfugge agli sposi: si tratta di Domenico De Sole (interpretato da Jack Huston) che, alleandosi con un potentissimo fondo di investimenti, toglierà il marchio dalle mani di Maurizio Gucci e ne diventerà Ceo rilanciando il brand con la geniale direzione artistica di Tom Ford (iniziata sotto l’egida di Maurizio Gucci). A lui Lady Gaga chiederà infatti: “Cosa vuoi tu da questa azienda?”; a lui Adam Driver dirà sul finale: “Lei aveva ragione su di te”, riferendosi ai sospetti che l’ex moglie nutriva sulla dedizione di De Sole. Accecati da due obiettivi simili che si rinfacciano a vicenda, i due coniugi si fanno sfilare il possesso dell’azienda da un falso alleato, inviso da sempre alla moglie che ne ha percepito una natura ferina, animalesca, più simile alla sua che a quella del marito, nato ricco e meno propenso alla strategia. Aspetti molto interessanti ma immersi in un film che non decide mai cosa vuole essere e perciò si limita a una falsa cronistoria – la realtà degli eventi raccontati fa acqua da così tante parti che servirebbe una Garzantina dedicata per enumerarli – che non si eleva né a parabola simbolica né a tragedia né arriva a essere così pop da farci perdonare il pasticcio complessivo che stiamo vedendo.

Non sorprende che il film abbia fatto imbufalire tutti: dalla famiglia Gucci fino addirittura a Patrizia Reggiani, uscita da qualche anno dal carcere, nessuno dei quali è stato interpellato dalla produzione. Così come il film non è piaciuto per niente a Tom Ford, che ha vissuto in prima persona il passaggio di testimone dell’azienda e la tragica vicenda di Maurizio Gucci, e che ha ravvisato nel lavoro di Scott una semplificazione banalizzante di eventi complessi e difficili oltre a un cumulo di bugie ingiustificabili. Il cinema ha tutto il diritto di non interessarsi alla verità ma per farlo deve puntare molto più in alto di quanto faccia House of Gucci, che non riesce neppure ad amalgamare i due pessimi personaggi comici di Pacino e Leto con personaggi solo potenzialmente tragici, quelli di Lady Gaga e Driver, per arrivare a una sintesi stilistica ma mostrandosi soprattutto come un’opera mal concepita. Del cast “all stars” si può dire che Driver si conferma un grande attore e Lady Gaga un’interprete di talento. Ma malignamente vale la pena di citare anche la presenza di Salma Hayek che nel film interpreta la parte della maga amica di Patrizia Reggiani (Pina Auriemma, finita in galera per favoreggiamento nell’omicidio Gucci) e che nella vita è la consorte di François-Henri Pinault, presidente e amministratore delegato del gruppo Kering. Cos’è il gruppo Kering? L’attuale proprietario del marchio Gucci.

Info
Il trailer di House of Gucci.

  • house-of-gucci-2021-ridley-scott-02.jpg
  • house-of-gucci-2021-ridley-scott-01.jpg

Articoli correlati

Array
  • In Sala

    The Last Duel RecensioneThe Last Duel

    di Il duello del titolo, poderoso e brutale, è la cornice di un racconto che si poggia su una tripartizione dai riflessi kurosawiani e che guarda evidentemente alla sempiterna e quindi attuale questione di genere.
  • In sala

    Tutti i soldi del mondo

    di Tutti i soldi del mondo verrà ricordato, difficile dubitarne, per la scelta della produzione e di Ridley Scott di sostituire il "disdicevole" Kevin Spacey, rigirando le sequenze che lo riguardavano con Christopher Plummer al suo posto. Ma al di là di questo il film si perde dietro una metafora troppo banale.
  • Archivio

    Alien: Covenant

    di Ha un sapore un po' sintetico Alien: Covenant di Ridley Scott, sequel di Prometheus e prequel di Alien che indovina un paio di sequenze action, ma vive di un vistoso riciclaggio di idee.
  • Torino 2015

    Blade Runner RecensioneBlade Runner

    di Blade Runner è fantascienza che forse vivremo tra quarant'anni, è un noir che non esiste più, è una love story impossibile, è la straziante rappresentazione dell'essenza della vita. Al TTF2015 per la retrospettiva "Cose che verranno".
  • Archivio

    Sopravvissuto - The Martian RecensioneSopravvissuto – The Martian

    di Muovendosi tra materie scientifiche e umanistiche, Ridley Scott con Sopravvissuto - The Martian ci propone la sua nuova versione del mito della frontiera, rielaborando gli abituali codici della fantascienza con solido mestiere e qualche guizzo di originalità.
  • Archivio

    Exodus Dei e re RecensioneExodus – Dei e re

    di Un Mosé battagliero e stratega, sempre pronto a menare le mani e a battibeccare con Dio, domina la scena (d'altronde è incarnato da Christian Bale) nel blockbuster biblico firmato da Ridley Scott.
  • Archivio

    The Counselor l procuratore RecensioneThe Counselor – Il Procuratore

    di Uno stravagante film bicefalo dove vige un perpetuo decentramento del quid dell’azione, mentre troneggiano i dialoghi brillanti vergati da Cormac McCarthy, al suo debutto nella sceneggiatura.
  • Archivio

    Prometheus RecensionePrometheus

    di Arricchito da un impianto visivo senza alcun dubbio seducente Prometheus di Ridley Scott è un film che crolla totalmente sotto il profilo narrativo: scoperto, facilmente decodificabile e privo di particolari sfumature.
  • Archivio

    Robin Hood

    di Nonostante il lavoro di riscrittura di Brian Helgeland, il Robin Hood targato Universal Pictures poco aggiunge alla filmografia di Scott e alla leggenda del bandito-eroe.