La vita è una danza

La vita è una danza

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La vita è una danza è il quattordicesimo film da regista per il transalpino Cédric Klapisch, che porta sul palcoscenico del balletto alcuni dei temi cardine della sua poetica, a partire ovviamente dai casi della vita che costringono a rivedere le proprie certezze. A tratti suggestivo, ben interpretato da Marion Barbeau, nella vita reale prima ballerina dell’Opéra di Parigi.

Galeotta fu La Bayadère

Elise è una promettente ballerina di danza classica che vive a Parigi assieme al fidanzato. La sua vita perfetta viene però sconvolta il giorno in cui scopre che il ragazzo la tradisce e rimedia un brutto infortunio in scena. Il cammino per la guarigione fisica ed emotiva la porta fino in Bretagna, dove il calore dei suoi amici e un nuovo amore la mettono davanti alla possibilità di una rinascita. Armata di tenacia e determinazione, Elise non si lascerà sfuggire l’opportunità. [sinossi]

La vita è una danza, quattordicesima regia per il cinema per il sessantunenne Cédric Klapisch, è stato accolto con grande fervore in Italia dalla critica, un entusiasmo che in realtà sembra andare anche oltre i meriti della pur solida commedia orchestrata dall’autore del trittico iniziato con L’appartamento spagnolo. Certo, la prima sequenza del film appare quasi stordente, così come gli ambiziosi titoli di testa, che paiono suggerire un tono oscuro alla vicenda, se non addirittura onirico. In realtà la vicenda narrata è assai più in linea con le timbriche a cui Klapisch ha abituato il suo pubblico: ecco dunque che Elise, ballerina che sembra sul punto di spiccare il volo professionale, proprio prima di entrare in scena durante una rappresentazione de La Bayadère (coreaografata da Marius Petipa su partitura musicale di Ludwig Minkus) scopre che il suo fidanzato la tradisce con una ballerina di fila. La rivelazione ha un impatto a dir poco traumatico su Elise, tanto sul suo umore quanto sul suo corpo: il piede cede e la caviglia è così compromessa da rischiare un intervento chirurgico. Per una ballerina nel fiore degli anni il tutto risuona ovviamente come una messa da requiem eppure chissà, magari anche la danza può offrire una seconda opportunità a chi non si arrende. Come si sarà intuito il tenore della vicenda narrata è quello del romanzo di formazione alla vita, uno dei temi principali sviluppati da Klapisch nel corso della sua carriera: non era infatti forse in tale direzione che tendeva la già citata trilogia dedicata ai “fuori sede” (L’appartamento spagnolo, Bambole russe, Rompicapo a New York)? E non era sempre quello l’orizzonte verso cui si muoveva Ognuno cerca il suo gatto, Deux moi, o ancora Ritorno in Borgogna? Elise d’altro canto, come i protagonisti dell’ultimo film citato, dopo il brutto incidente abbandona Parigi e si reca altrove, per la precisione in Bretagna, per dare una mano a una coppia di amici che lavora come catering in una bella villa che la proprietaria, un’anziana amante delle arti, offre come sala prove per musicisti, teatranti, e ballerini.

Klapisch non sa rinunciare alla ridondanza e all’eccesso di metafora, ed ecco allora che anche l’anziana padrona di casa abbia problemi di zoppia, ben più difficili da sistemare rispetto a quelli che affliggono Elise. Il film mette in scena una sorta di fisioterapia del cuore e dell’anima, e lo fa con un candore e una sincerità che con facilità spingono al buonumore, anche perché spinge sul pedale della danza come atto collettivo non d’élite, contrariamente all’algida rappresentazione teatrale. Elise potrà ricominciare a danzare perché nella coreografia contemporanea di Hofesh Shechter – che interpreta se stesso – c’è spazio davvero per (quasi) tutti, basta avere la forza di volontà necessaria a mettersi ancora in gioco, a calcare ancora il palco, a sfidare perfino le leggi del proprio fisico. Quel che ne viene fuori è un discorso universale sull’arte come terapia per affrontare la vita, e come ultimo bene rifugio prima della disperazione; la danza svolge qui il ruolo che altrove è stato destinato al cibo, alla musica, alla letteratura. Accompagnato dalla scrittura di Santiago Amigorena, con cui è alla sesta collaborazione (i due d’altro canto si conoscono da quasi cinquant’anni, visto che erano compagni di scuola nel 13° arrondissement al Liceo Rodin, non lontano dalla Manufacture des Gobelins), Klapisch traccia un’opera semplicissima eppure efficace nel cogliere le sfumature emozionali adeguate a ciò che sta mettendo in scena. Marion Barbeau, che nella vita reale è prima ballerina dell’Opéra di Parigi, ha il viso pulito e la grazia giuste per dare corpo a Elise, e non è casuale il fatto che in originale La vita è una danza si intitoli En corps.

Resta la sensazione di un tracciato narrativo e di una visione del mondo e della vita fin troppo semplici, al punto da sfiorare l’assoluta prevedibilità. Ma forse non è la sorpresa che va cercando chi si avvicina a un’opera simile, anche se le quasi due ore di durata non trovano una giustificazione così forte nel percorso personale di Elise. Semmai appare interessante notare, tornando alle parole che aprivano questa breve disamina, l’entusiasmo critico che ha accompagnato l’uscita del film in Italia, perché sembra avere più a che fare con la crisi della produzione italiana che con i reali meriti del film. Se si resta piacevolmente colpiti, quando non fortemente attratti, da opere come La notte del 12 di Dominik Moll o Maigret di Laurent Cantet, è perché nella loro canonicità hanno una libertà espressiva, ma soprattutto una capacità di spaziare a trecentosessanta gradi nel campo dell’immaginario che il cinema italiano mainstream ha completamente rimosso, dimenticato, abbandonato. Chissà, forse anche la produzione italiana dovrebbe slogarsi seriamente una caviglia per iniziare a comprendere come vi sia un altro modo per rappresentare il mondo. Ma questa è utopia, ed è più probabile che qualcuno si faccia avanti, compri i diritti di La vita è una danza e ne tragga un tristo remake.

Info
La vita è una danza, il trailer.

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