Black Panther: Wakanda Forever

Black Panther: Wakanda Forever

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Sequel di Black Panther, trentesimo lungometraggio di un Marvel Cinematic Universe in lunghissima fase di assestamento, Black Panther: Wakanda Forever non riporta in vita T’Challa e nemmeno il cinema di Ryan Coogler, sempre più distante da un esordio che prometteva decisamente altro. Nonostante la vera e propria boccata d’ossigeno portata in dote dal nuovo supereroe Namor, una sorta di Killmonger più fortunato, il film annaspa per due ore e quaranta minuti, caricato sulle spalle fin troppo esili di Shuri\Letitia Wright e infarcito di una mitologia posticcia.

Shuri, Shuri, Shuri di tuttu l’annu

La Regina Ramonda, Shuri, M’Baku, Okoye e le Dora Milaje lottano per proteggere la loro nazione dalle invadenti potenze mondiali dopo la morte di Re T’Challa. Mentre gli abitanti del Wakanda cercano di comprendere il prossimo capitolo della loro storia, gli eroi devono riunirsi con l’aiuto di War Dog Nakia e di Everett Ross per fronteggiare il temibile Namor, re della nazione sottomarina Talokan, e forgiare un nuovo percorso per il regno del Wakanda… [sinossi]

In fin dei conti, da Black Panther a Black Panther: Wakanda Forever cambia davvero pochissimo. Al di là delle considerazioni estetiche sulle mirabilie o meno della computer grafica, sulle coreografie dei vari scontri e degli inseguimenti in macchina\moto, ma anche delle inevitabili differenze sul piano narrativo, in primis il vuoto lasciato dalla prematura scomparsa di Chadwick Boseman (T’Challa), a non smuoversi di un millimetro è il DNA politico del regno di Wakanda, questa sorta di proiezione in terra africana degli Stati Uniti. Produttori di armi, dannatamente ricchi e tecnologicamente superiori, ovviamente esportatori di democrazia, i wakandiani non riescono proprio a capire il rancore altrui.
Insomma, ok, ti abbiamo ucciso a tradimento il papà e ti abbiamo abbandonato in un quartiere di poveracci senza prospettive, ma perché te la prendi così tanto? A grandi linee, passando da Killmonger a Namor, la musica non cambia. L’inviolabilità dei confini (e delle barriere, muri compresi…) è sacra solo per alcuni e gli errori vanno pagati, ma sempre dagli altri. In questo senso, il black power tanto sbandierato all’uscita del primo capitolo è stato un fraintendimento colossale, almeno in parte ridimensionato nel corso delle settimane e dei mesi: sarà interessante seguire le reazioni a questo Black Panther: Wakanda Forever, che punta tutto sul girl power e sull’onda lunga della commozione per la dipartita di Boseman\T’Challa, in un intreccio realtà\finzione non inedito tra piccolo e grande schermo ma qui prosciugato fino all’ultima goccia.

Potremmo discutere a lungo sulla credibilità interna della trama e su alcuni passaggi fin troppo disinvolti, ma in molte altre sedi il film verrà vivisezionato fino all’ultimo fotogramma e quindi procediamo oltre: Shuri vs Namor! Vabbè, spoiler, ullalà. Dopo aver rivelato quello che già tutti sapevano, soffermiamoci su uno dei macroscopici limiti del Marvel Cinematic Universe. No, non l’ossequioso rispetto di un discutibile politically correct, l’attenzione spasmodica verso alcune quote o la solita zoppicante alternanza tra dramma e commedia, ma la gestione dei supereroi e la loro convivenza sul grande schermo. A farla breve, un conto è mettere insieme o contro Captain America e Iron Man, supereroi dal peso specifico praticamente identico, mentre può diventare più complicato far convivere Hulk con qualche mezza calzetta. Sempre che non si decida di gettare alle ortiche il Golia Verde… ecco, con Namor finisce un po’ così, tra le ortiche, perché in qualche modo il\la nuovo\a Black Panther dovrà pur vacarsela.
Tornando a Wakanda e alle profondità di Talokan, di Black Panther: Wakanda Forever convince poco la scrittura, portata avanti a quattro mani dai soliti Coogler e Joe Robert Cole. Più che nel respiro epico, lo script abbonda nelle parentesi retoriche, dilata ossessivamente i tempi, come se il superamento delle due ore e mezza fosse un dovere irrinunciabile. Spiegazioni, pianti, sequenze action e gag che restano comunque una coperta troppo corta, non in grado di coprire alcuni snodi narrativi troppo disinvolti e di elevare le imprese wakandiane – forse sarebbe stato più utile rovesciare la prospettiva, immaginando una possibile e più dignitosa entrata in scena per il Sub-Mariner.
Peccato per l’incipit, che sembrava promettere atmosfere un po’ più cupe e qualcosa di corposo tipo Captain America – The Winter Soldier. Peccato per Lupita Nyong’o\Nakia e Winston Duke\M’Baku che meriterebbero miglior sorte e invece devono cedere il passo ad altre scelte. Infine, peccato per Namor e per i tempi gloriosi della Timely Comics: la limited animation portata all’estremo e le poche tavole della storica serie a bassissimo budget della Grantray-Lawrence gli avevano reso un servizio migliore.

Info
Il trailer di Black Panther: Wakanda Forever.

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