One Life

One Life

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James Hawes con One Life porta in scena la storia realmente accaduta di Nicholas Winton, agente di borsa britannico che tra il 1938 e il 1939 riuscì a portare in salvo poco meno di settecento bambini – per lo più ebrei – all’interno del monumentale progetto del governo inglese noto come Kindertransport. Un lavoro accorato ma didascalico, privo di profondità emotiva (se si esclude l’ovvia reazione di fronte ai mali del mondo), che non riesce a elevarsi da un livello di racconto para-televisivo.

Cinema: che fare?

Cecoslovacchia, vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Nicholas Winton ha 29 anni e crea un piano di salvataggio, noto come Operazione Kindertransport (tradotto letteralmente come “trasporto di bambini”), che prevede il trasporto di centinaia di bambini tra cui molti ebrei, fuori dal paese prima dell’inizio del conflitto. Grazie a questa operazione, i piccoli furono nascosti e si salvarono dai campi di concentramento. [sinossi]

Non è materia di cui si discetta quotidianamente anche nella cosiddetta “bolla” cinefila, ma se non fosse esistita l’iniziativa britannica nota come Kindertransport, che portò in salvo tra la fine del 1938 e la metà del 1940 quasi diecimila bambini – di cui una parte consistente ebrei – dai territori di Germania, Austria, Cecoslovacchia, nonché da Danzica, all’epoca città-stato, con ogni probabilità Karel Reisz sarebbe morto ad Auschwitz, seguendo il destino cui andarono incontro i suoi genitori. Invece il futuro regista, all’epoca dodicenne, venne spedito insieme al fratello in Inghilterra, salvandolo da un destino tragico. Fu proprio per garantire un futuro a migliaia di famiglie che il governo Chamberlain, spronato in tal senso dal partito Laburista e da quello Comunista, dall’attivismo cattolico e quacchero, dalla minoranza ebraica e da altri gruppi isolati – con la controparte che vedeva in campo le temibili falangi del Partito Fascista di Gran Bretagna –, si decise a mettere in campo una ramificata rete di recupero e salvataggio di migliaia e migliaia di bambini; un’iniziativa che non trovò sostegno dall’altra parte dell’oceano, con il Congresso statunitense che affermò che “strappare bambini alle proprie famiglie” sarebbe equivalso ad andare contro le leggi di Dio, ma che non vide alcuna resistenza da parte del governo nazista di Berlino, che pretese solo che i bambini non potessero portare con loro fuori dal Paese cifre di denaro superiori ai 10 marchi e oggettistica di valore. Questa rete che agiva su più nazioni si avvalse dell’iniziativa di molti volontari. Uno di questi, operante in Cecoslovacchia, si chiamava Nicholas Winton, ed è morto nel 2015 a centosei anni compiuti: su di lui, e sulla sua storia, si concentra l’attenzione di One Life.

A dirigere questo biopic nutrito di ottime intenzioni ma poco capace di cogliere in profondità il senso di ciò che sta mettendo in scena è James Hawes, al debutto nel lungometraggio cinematografico ma da alcuni decenni apprezzata firma di lavori televisivi, compreso un ritratto itinerante dell’allora principe Carlo che gli garantì una certa credibilità professionale nell’ambiente. Nel passare da un medium a un altro Hawes non sembra in tutta franchezza porsi chissà quali interrogativi sul proprio compito, e sulle modalità espressive migliori per portarlo a termine: One Life, nonostante la verve dei suoi protagonisti – su cui si tornerà brevemente più avanti – e una base di partenza forte, in grado di produrre quasi in automatico parallelismi, a partire ovviamente da quello fin troppo ovvio tra la figura di Winton e quella di Oskar Schindler e dunque (per traslato) tra One Life e Schindler’s List, evidenzia una piattezza espressiva che non è frutto di scelte estetiche minimali, ma dell’abitudine a un diverso mezzo, come quello televisivo. Il film ad esempio abbonda di primi piani, ma se quello del Winton anziano che finalmente vede riconosciuto il suo ruolo di eroe – una situazione da tribuna dello spettacolo su cui ad esempio sarebbe stato interessante che Hawes si interrogasse, al di là del reperimento del vero materiale d’epoca – possiede da un lato la forza dello sguardo di Anthony Hopkins e dall’altro assume un valore politico, in quanto si fissa negli occhi quella che fu per molto tempo una figura anonima, uno dei “tanti”, nel resto della narrazione per immagini si percepisce solo un senso di inadeguatezza nei confronti del cinema.

Non che One Life dichiari chissà quale ambizione. Non c’è ombra di dialettica all’interno di un film che vuole solo ed esclusivamente celebrare un eroe, per di più nel contesto storico privilegiato dalla Settima arte di mero consumo, quello in cui è fin troppo semplice separare i buoni dai cattivi, e dove dunque non c’è alcuna necessità di problematizzare il discorso. Ecco dunque che per l’opera prima di Hawes – pare sia già al lavoro sul secondo film, The Amateur, una storia di spionaggio con protagonista Rami Malek il cui set è ripartito nelle settimane scorse dopo il blocco dovuto allo sciopero indetto da SAG-AFTRA – si costruisce tenendo in piedi due esigenze temporali parallelamente, il 1938-39 con Winton trentenne, e l’uomo oramai fattosi anziano. Entrambi i segmenti non approdano a nulla di specifico: il primo si ferma a una ansiogena descrizione dei fatti senza che si articoli un discorso né sul concetto di umanità né su chi quei treni non poteva prenderli – i giovani adulti, gli anziani, ecc. – e neppure sul contesto socio-politico internazionale; il secondo, potenzialmente deflagrante, preferisce lasciare in second’ordine una riflessione sul valore della memoria personale e collettiva, e sul peso che essa ha nella vita quotidiana. Hawes si ferma a una classica confezione da “film per la giornata della memoria”, producendosi in uno sforzo artistico minimo, quasi che la storia reale di per sé basti a giustificare un film. Si leggeranno, non c’è dubbio, aggettivi come urgente o necessario per cercare di convincersi che ci sia davvero bisogno di un’opera come One Life, che al contrario esce dalla memoria al termine della visione per non rientrarvi se non come esercizio di recupero di ciò che davvero accadde in quel biennio tragico eppur non privo di eroismi. Subito prima che la tempesta si abbattesse sull’Europa. Sarebbe ora che ci si rendesse conto di come l’unico modo per onorare la Storia attraverso il cinema sia quello di mettere in dubbio la propria macchina produttiva mentre si raccontano storie di questo tipo, e cercare il senso di ciò che si sta mettendo in scena. Qui resta solo la straordinaria interpretazione di Hopkins, attore sublime cui basta un cenno del sopracciglio per racchiudervi all’interno il mondo intimo del proprio personaggio.

Info
One Life, il trailer.

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