La vita è una cosa meravigliosa

La vita è una cosa meravigliosa

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Quarantasettesima regia per il cinema di Carlo Vanzina, La vita è una cosa meravigliosa vorrebbe potersi permettere un respiro maggiore. La sua ambizione è quella di riportare in auge la commedia all’italiana che rese immortali Monicelli, Risi, Comencini, Scola e Steno, padre naturale dei Vanzina. Il risultato, purtroppo, è davvero lontano dai prototipi di riferimento.

Anni sfuggenti (alla giustizia)

Una commedia che vede protagonisti diversi personaggi le cui vicende si intrecciano, tra cui un banchiere, un chirurgo in cerca di raccomandazioni e  un poliziotto innamorato di una massaggiatrice… [sinossi]

Le dichiarazioni d’intenti de La vita è una cosa meravigliosa, quarantasettesima regia per il cinema di Carlo Vanzina, recitano nell’incipit: «Questo film nasce dal desiderio di realizzare un film ottimista». Ecco, forse basterebbe questa frase lapidaria per comprendere il senso di un’operazione, come quella portata avanti dalla coppia di fratelli più celebre del cinema italiano contemporaneo, che appare preoccupante e mediocre – a seconda dei momenti – proprio perché simbolo di una nazione che ha mostrato di meritarsi in pieno questi due aggettivi. Si ha molta accortezza nel far notare come da anni oramai i Vanzina non siano scesi a patti con i cosiddetti cinepanettoni (per l’esattezza dal 1999, quando portarono a termine Vacanze di Natale 2000, con la premiata ditta Boldi/De Sica come protagonisti), ma non ci si rende conto che se ciò è vero è solo ed esclusivamente perché il mercato cinematografico nazionale è stato letteralmente invaso di opere strutturate nel medesimo modo e sparpagliate durante tutto l’anno. Sono così nati i cinecocomeri (Un’estate al mare e Un’estate ai Caraibi) e ora tocca alle cinecolombe, per utilizzare un neologismo: chiunque abbia atteso La vita è una cosa meravigliosa credendo di poter osservare un’inversione di tendenza nella poetica vanziniana, rimarrà inequivocabilmente deluso.

Certo, non siamo dalle parti del bozzettismo fine a se stesso che ammantava gran parte delle incursioni comiche del duo di cineasti, e che appare di fatto come principale minimo comun denominatore di apocalissi del provvisorio quali Barzellette, Olé e persino il sequel di Eccezzziunale… veramente: un cinema nato fragile, privo di profondità, destinato a durare una stagione, o forse anche di meno. Al contrario, La vita è una cosa meravigliosa (tralasciando per signorilità qualsiasi commento sulla doppia citazione a Frank Capra e Henry King insita nel titolo) vorrebbe potersi permettere un respiro maggiore. La sua ambizione, neanche troppo velata a dire il vero (e lo testimonia la colonna sonora firmata dal maestro Armando Trovajoli), è quella di riportare in auge la commedia all’italiana che rese immortali tra gli altri i nomi di gente come Mario Monicelli, Dino Risi, Luigi Comencini, Ettore Scola e Steno, padre naturale dei Vanzina. Il risultato, purtroppo, è davvero lontano dai prototipi di riferimento, e il motivo di un insuccesso di tale portata è fin troppo semplice da analizzare: del cinema nostrano del tempo che fu Carlo ed Enrico Vanzina riprendono lo sguardo sulla società, l’analisi di una realtà storica particolarmente popolare (nel caso del film in questione, gli scandali legati alle intercettazioni telefoniche, che tanti problemi stanno creando al terzo governo Berlusconi), ma allo stesso tempo ne smarriscono letteralmente per strada l’essenza. La commedia all’italiana aveva infatti il coraggio di non pretendere un happy end risolutivo, chiusura del cerchio in grado di apparire perfettamente rotonda, e anche quando ci si imbatteva – si veda in tal senso la conclusione di Una vita difficile di Dino Risi – riusciva a racchiudervi all’interno una dolenza dimessa, nostalgia del vivere che sprigionava un acre sapore dolceamaro. Al contrario La vita è una cosa meravigliosa mette davanti agli occhi di tutti vizi privati (e pubbliche virtù?) del mondo italiano attuale, senza riuscire mai a rinunciare a uno sguardo innamorato verso i propri personaggi: pur di fronte a un universo di truffatori, arrampichini, raccomandatori e raccomandati, il film opta per una vera e propria scelta assolutoria, che pretende di poter difendere e perdonare malfattori di varia risma solo in virtù di un populista “in fin dei conti rubano tutti”. Per questo all’inizio della disamina puntavamo l’accento sulla lettura del film come del paradigma migliore della società in cui è stato partorito e svezzato: lo spirito che anima La vita è una cosa meravigliosa è in fin dei conti lo stesso di una buona parte della popolazione italiana, tesa all’assoluzione dei peccatori piuttosto che al compimento della legge. Anche per questo, con ogni probabilità, la cinecolomba raggiungerà i medesimi risultati dei suoi parenti estivi e invernali, con il trionfo al botteghino: perché rappresenta in pieno l’etica di una nazione che ammira la furbizia prima ancora del valore, e accetta il compromesso come elemento primario dei rapporti interpersonali.

Un tempo il cinema italiano concludeva anche le più ghignanti avventure con la caduta da uno strapiombo (Il sorpasso), la comprensione della propria grettezza (Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?), o la sconfitta (I soliti ignoti), ma ormai solo i vincenti – seppur malandrini – vengono accettati dal pubblico. Se quelli erano anni ruggenti (per citare un piccolo gioiello del 1962 firmato Luigi Zampa) i nostri, purtroppo, al massimo pigolano.

Info
Il trailer de La vita è una cosa meravigliosa.

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