Una notte di 12 anni

Una notte di 12 anni

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Una notte di 12 anni di Álvaro Brechner è il resoconto tragico della lunga prigionia dei tre tupamaros Eleuterio Fernández Huidobro, Mauricio Rosencof e José ‘Pepe’ Mujica, ostaggi della giunta militare. In sala dopo l’ottima accoglienza alla Mostra di Venezia.

La forza della ragione

1973: dopo il colpo di Stato, in Uruguay i vertici della dittatura militare arrestano i dirigenti del movimento di opposizione Tupamaros. Una notte, tre di loro vengono prelevati dalle celle e, per i successivi 12 anni, saranno detenuti in isolamento, sottoposti a torture fisiche e psichiche, spostati continuamente tra mura putride abitate da topi e pozzi sotterranei. Uno dei tre è “Pepe” Mujica che nel 2010 diventerà il Presidente del Paese. [sinossi]

José “Pepe”Mujica. Figlio di agricoltori, marxista, tra i leader del Movimento di Liberazione Nazionale Tupamaros, incarcerato per 12 anni in condizioni disumane, liberato nel 1985 ed entrato finalmente in politica fino a diventare parlamentare e poi Presidente dell’Uruguay. Mujica, personalità luminosa in tempi bui, nel 2018 è stato non a caso al centro di due film, presentati entrambi alla Mostra del Cinema di Venezia: il documentario che Emir Kusturica ha realizzato su di lui, El Pepe. Una vida suprema, e il bel film di Álvaro Brechner Una notte di 12 anni. Di quest’ultimo lavoro, in realtà, Mujica (interpretato da Antonio De La Torre) è coprotagonista: assieme a lui i compagni di prigionia Fernàndez Huidobro (ex Ministro della Difesa dell’Uruguay, interpretato da Alfonso Tort) e lo scrittore Mauricio Rosencof (Chino Darin). Costretti per 12 anni a una ferale detenzione, in totale isolamento (anche tra loro, ovviamente), senza quasi vedere la luce del sole, senza leggere scrivere parlare. Spostati di anno in anno in luoghi che annichiliscono la dignità. Del resto, la dittatura guidata nel 1973 da Juan Maria Bordaberry non poteva uccidere i leader del movimento (e ugualmente li minacciava di morte, se ci fossero state rivolte) dunque aveva un obiettivo: distruggerli umanamente, condurli alla follia, all’annientamento.

La lotta interiore contro questo annientamento è al centro del terzo lungometraggio di Brechner, che si inserisce nella riflessione che il cinema latinoamericano, passato e recente, continua a compiere attorno alle bestiali dittature che hanno flagellato molti Paesi. Un lungo filo di memoria unisce in fondo gli argentini Solanas e Olivera o il cileno Guzman con i registi di “nuova generazione” come Larrain, Pablo Aguero (Eva no duerme) o persino il Luis Ortega di El Ángel. Una notte di 12 anni non vuole raccontare la dittatura né l’opposizione armata dei Tupamaros, ma si concentra su come sia possibile sopravvivere nelle condizioni in cui sono stati gettati, come detriti in attesa di putrefazione, i tre protagonisti. Per farlo il regista riesce, a tratti mirabilmente, a realizzare un’immersione sensoriale, psichica e fisica, che costringe lo spettatore a un avvicinamento totale con i tre, il cui punto di vista è l’unico presente nel film. Tanto che non sappiamo nulla di quel che accade per 12 anni nel mondo esterno: il film non ci informa sui cambiamenti in atto, sul significato del referendum del 1980 o sulle dinamiche che motivano la liberazione dei prigionieri politici. Nulla. Dall’iniziale panoramica a 360°, nella scena in cui i tre vengono prelevati dalla prigione “regolare” per essere deportati in vari gironi infernali di detenzione, tutto quel che conosciamo è la percezione dei prigionieri. All’interno di questo recinto, si può cogliere l’intelligenza di Brechner che, per scandire il tempo e raccontarci qualcosa di personale di ognuno di loro, affida ai protagonisti alcune peculiarità e alcune “scene madri”: Huidobro, per esempio, è al centro di una scena incentrata sull’impossibilità di defecare in piedi e ammanettato che darà vita una gag comica nella quale, dal più basso grado militare al comandante della prigione, tutti verranno coinvolti per risolvere la kafkiana questione; il giornalista e scrittore Rosencof, invece, stabilirà un “cordiale” rapporto con una guardia per il semplice fatto di saper scrivere belle lettere da indirizzare alla ragazza che il militare vuole sposare. Il corpo di Mujica è invece terreno della lotta per non soccombere alla pazzia, alle allucinazioni, per trovare un po’ di requie in un pensiero che non si interrompe e non lo fa dormire. Per ognuno dei tre, infine, ci sono le relazioni famigliari con madri, padri, figli, sognate e reali, dolorose e vitali. E poi i trasferimenti da un posto all’altro, le strategie di sopravvivenza spiccia, l’impegno quotidiano a tenersi vivi. A fare da “controcanto”, la violenza belluina dei militari, i veri e unici derelitti del film, giustamente schiacciati in una rappresentazione grottesca, caricaturale e, come si diceva, in alcuni momenti ridicola.

Una notte di 12 anni è insomma un film di una semplicità disarmante: frutto di anni di lavoro e di conversazioni con i veri protagonisti della terrificante prigionia, il film restituisce, con la sua preziosa linearità, una precisione essenziale interrotta qua e là, appunto, da qualche “episodio”, ma strutturata su una scelta stilistica assolutamente chiara e netta. Così anche la liberazione arriva, preannunciata certo dal ritorno alla prigione di Stato da cui eravamo partiti, senza fragore e retorica. E proprio per questa scelta sobria, il racconto della detenzione del futuro Presidente e dei suoi compagni commuove senza ricatto, sciogliendosi catarticamente nell’abbraccio ai cari che segna il ritorno alla vita.
Con una semplice e vacua formula si potrebbe dire che Una notte con 12 anni è un film “importante”, che racconta la forza dell’umanità e la forza della ragione, in varie accezioni, che non si spegne neppure con 12 anni di buio. Ragione e “immaginazione”, come ha ripetuto più volte il regista, perché senza immaginazione si perde tutto, non si può ricordare, ridisegnare e concepire il senso, strutturare l’identità. Ma al di là di questo nobile intento, il film riesce soprattutto a essere un’operazione intelligente e mirata sull’interiorità, la più vasta e misteriosa delle risorse. Il sorriso, la statura morale e le parole di Mujica – simbolo di lotta meno celebre di Mandela, ma la cui parabola non è poi troppo differente – sono ancora qui a ricordarcelo.

Info
Il trailer di Una notte di 12 anni.
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