Roubaix, une lumière

Roubaix, une lumière

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Analisi approfondita dei concetti di verità, colpa e perdono, Roubaix, une lumière di Arnaud Desplechin, sotto le sembianze di un poliziesco urbano, indaga il senso di appartenenza (dei protagonisti e del regista), al luogo in cui si è cresciuti, al relativo contesto sociale, al genere umano. In concorso a Cannes 2019.

Conosco le leggi del mondo

Roubaix, una notte di Natale. Il commissario Daoud gira per la città che lo ha visto crescere. Auto bruciate, alterchi … Alla stazione di polizia è appena arrivato Louis Coterelle, un neo-laureato. Daoud e Louis affronteranno l’omicidio di una vecchia signora. Due giovani donne sono sotto accusa: Claude e Marie. Povere, alcolizzate, innamorate. [sinossi]

Indagatore instancabile, scientifico ma affettuoso, dell’umana natura, Arnaud Desplechin torna in concorso a Cannes 2019, dopo aver aperto il festival due anni fa con I fantasmi d’Ismael, per presentare Roubaix, une lumière. La millimetrica precisione narrativa dell’autore, la capacità indomita di sfiorare luoghi e interpreti con la macchina da presa, sono questa volta messe al servizio di un poliziesco urbano ambientato nella cittadina di Roubaix cui fa riferimento il titolo, dove Desplechin, come qui il suo protagonista, ha trascorso la propria infanzia.

“Orgoglio, vergogna e miseria” questa è la sacra trinità che innerva lo spirito dei cittadini di Roubaix, ex centro industriale in prossimità del confine col Belgio, oggi annoverato tra i comuni più pericolosi della Francia. Ed è qui che si dipanano le indagini del commissario di polizia Daoud (il Roschdy Zem di Una notte di Philippe Lefebvre, 2012) affiancato dal collega più giovane Louis Coterelle (Antoine Reinartz). L’uno scarica la pistola all’ingresso di casa, l’altro la carica e la ripone sotto al cuscino prima di dormire, il primo ama i cavalli da corsa ma non scommetterebbe mai su di loro, li rispetta troppo, il secondo invece non ha remore in questo senso. Entrambi però hanno i loro dubbi, tormenti personali e professionali, e i legami familiari lontani. Coterelle ha un padre da qualche parte a cui scrive ogni sera delle lettere-confessioni (le sentiamo in voice over) che non prevedono risposta. La famiglia di Daoud, invece, è tornata in Algeria, ma lui è restato, perché, dice, è lì che ha trascorso la sua infanzia.

C’è un uomo che ha dato fuoco alla sua auto per intascare il premio dell’assicurazione, c’è una rapina dal panettiere per un bottino da 20 euro, una ragazza è scappata di casa, un’altra è stata violentata nel metrò. Ha un impianto inizialmente fluviale Roubaix, une lumière, dove i mille rivoli narrativi rappresentati dai vari crimini locali contribuiscono a rafforzare l’affresco, quasi documentaristico, di una comunità, e in parallelo del lavoro quotidiano dei suoi “guardiani”. Poi tutto converge nel caso di un’anziana donna strangolata in casa propria: le principali indiziate sono le vicine di casa della vittima, Claude (Lèa Seidoux) e Marie (un’impressionante Sara Forestier), una coppia che scorrazza nel caseggiato in cui vive compiendo piccoli furti e che è unita da un amore folle e disperato.

Prete confessore, medico, figura paterna, specchio in cui gli altri si riflettono per meglio comprendersi, il commissario Daoud ascolta sempre con pazienza e partecipazione le deposizioni dei suoi indagati e si inserisce perfettamente nella commedia umana cui è dedicata l’intera filmografia di Desplechin che, come spesso accade – si veda il personaggio ricorrente di Ismaël Vuillard/Mathieu Amalric – anche qui fa del suo protagonista un alter ego filmico, a cui lo unisce un percorso di incessante scoperta dell’altro.

È un ritorno agli anni formativi Roubaix, une lumière, un’immersione nelle proprie origini, l’esegesi di un’intera comunità svolta con un profondo intento maieutico, la nuova, riuscita declinazione da parte di Desplechin della sua modalità di approccio alle scienze umane.
Declinazione che anche questa volta passa attraverso un racconto sentimentale e rude, a tratti tragicamente disperato, in cui riecheggia il cinema francese del passato, a partire da Police di Maurice Pialat (1985) e dal suo “discendente” Polisse di Maïwenn e in cui riverberano tutte le ossessioni dell’autore, ma in una foggia forse meno “bavarde”, più concisa, merito certo di una forma, seppur personalissima, di adesione al genere poliziesco. Adesione che è al tempo stesso omaggio e che non a caso finisce con l’approcciare i toni di un western, in fondo già ampiamente lambiti nella relazione umana e lavorativa tra i due poliziotti, e poi sposati senza remore in un finale che ci tiene a ricordarci quanto sul grande schermo non ci sia niente di più energetico ed esteticamente appagante di un cavallo al galoppo.

Info
La scheda di Roubaix, une lumière sul sito del Festival di Cannes.
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