Chiara

Susanna Nicchiarelli torna in concorso alla Mostra di Venezia con Chiara, dedicato alla santa di Assisi. Un lavoro assai problematico, che sembra affrontare in modo superficiale non solo il personaggio protagonista, ma tutte le dinamiche che attorno a esso vengono a crearsi. Rispetto a Nico, 1988 e Miss Marx, altri due film dedicati a figure femminili, un deciso passo indietro.

L’amica geniale di San Francesco

La storia di Chiara d’Assisi, dal taglio dei capelli del 1211 che ne sancisce l’ingresso nella vita religiosa all’incontro nel 1228 con Papa Gregorio IX, il Pontefice che quell’anno canonizzò Francesco d’Assisi. [sinossi]

Susanna Nicchiarelli con Chiara prosegue un personale percorso di confronto, dialogo e rappresentazione di figure femminili del passato, iniziato con il buon Nico, 1988 e continuato con il compiuto Miss Marx, presentato due anni fa in Concorso alla Mostra di Venezia come quest’ultimo lavoro. Se l’avvicinamento alla grandissima Christa Päffgen (in arte Nico) sceglieva il racconto dell’ultima tournée dell’artista prima della morte e quello a Eleanor Marx la contraddizione potente tra pratica politica e scelte/illusioni individuali, quel che manca drasticamente in Chiara è proprio una decisione narrativa netta, capace di strutturare sensatamente la vicenda di Chiara d’Assisi, importante personalità religiosa e politica quasi sempre schiacciata nel nostro immaginario sulla figura del Patrono d’Italia, San Francesco. Chi è Chiara, interpretata in modo a tratti catatonico da Margherita Mazzucco (Elena del serial tv L’amica geniale)? Cosa vuole, Nicchiarelli, raccontare di lei? La ribellione che la fa fuggire dalla nobile famiglia per unirsi alla povertà francescana, mettendo in scena magari una giovane favolosa capace ancora di parlare all’oggi? Il dialettico rapporto con il Santo canonizzato nel 1228? La vita della comunità di donne, costruita attorno a Chiara, ancora non riconosciute come ordine religioso autonomo? La capacità politica della futura Santa di muoversi anche nelle relazioni di potere, tanto da riuscire a spuntarla in un mondo di uomini e far approvare la propria Regola, la prima redatta da una donna? I compromessi che Chiara fece per arrivare a questo risultato? Il senso che assumeva la povertà per le donne che desideravano diventare religiose, tema inconcepibile all’inizio del Duecento? Poiché non si sceglie una traccia, il film non ha pace, cercando di tenere assieme tutto ma in modo superficiale, senza fermarsi su nulla, vagando disperatamente, vacuamente, in un racconto che comprime un materiale in primo luogo ampio e complesso e in secondo luogo lontanissimo nel tempo. Risultando alla fine incapace sia di guidare davvero lo spettatore nella comprensione della pregnanza storica degli eventi che di riportare alla modernità una Chiara inerte e senza spessore.

Non fermando mai lo sguardo da nessuna parte, il film opta per una messa in scena naturalistica ma ieratica come si conviene, da cui non emergono personaggi né simboli e che viene interrotta di tanto in tanto da scene corali di canto, riconfermando il tentativo pop già sperimentato (ma con diverso esito ed effetto) in Miss Marx: forse l’imprecisione concettuale e gli sbalzi da anno x ad anno y non consentono al film di sopportare questo genere di interruzione dell’azione, con le donne che cantano come un cuor solo, né questa interruzione può essere usata come raccordo emotivo, metaforico. A volte sembra di guardare un fantasy, a volte un’annoiata riproduzione di un film tv sui santi, ma siamo lontani anni luce dai modelli francescani più importanti, che siano il capolavoro rosselliniano Francesco, giullare di Dio o l’interessante Francesco di Liliana Cavani. Due film sul Santo di Assisi, si dirà, non sulla Santa, ma che in ogni caso vanno al punto e scelgono un’interpretazione delle figure storiche. Si scelga anche altro, lontano dall’Italia e da Assisi, si scelga di non guardare i santi e di pensare alle rock star. Ma, appunto, si scelga cosa mettere in luce. Perché se di Santa Chiara il grande pubblico non sa, forse, moltissime cose (e fa piacere la dedica del film a Chiara Frugoni, medievalista che a San Francesco e Santa Chiara ha dedicato molti studi), non solo Chiara non aiuterà a capire di più, ma neppure aprirà qualche varco speculativo perché il personaggio che vediamo in scena dal 1211 al 1228 è monocorde, assente a se stesso, abitato da un’elevazione spirituale che dobbiamo dare per assodata perché non ce ne vengono mostrate motivazioni, ragioni, valore. Anche la rabbia per la condizione femminile, che esplode in una scena nella seconda metà del film, risulta poco incisiva poiché le diatribe religiose su cui si innesta non sono ben spiegate, dunque tutto si sintetizza con l’eterna sopraffazione del maschile, tema indubitabile specie nel Medioevo, ma non mostrato nella differenza specifica che dovrebbe assumere in questa storia. Chiara non diventa mai il racconto di un personaggio né il racconto della nascita di una Regola religiosa da parte di una donna. Il film non penetra alcuna intimità, ovviamente ipotetica o immaginata (ma anche a questo serve il cinema), di una persona vissuta quasi mille anni fa, eppure non tenta neppure di realizzare un discorso rigoroso sul significato politico dell’opera di Chiara. Viene solo accennata, per esempio, la sua corrispondenza con Agnese di Boemia, sua alleata nel convincere il papato ad accettare l’Ordine di Chiara, ma che mostrerebbe l’esistenza di relazioni politiche tra donne nobili e istruite in Europa, una cosa meno banale di un gruppo di persone che coltivano i campi cantando sorridenti. Non riuscendo a spiegare in profondità perché era tanto importante l’emancipazione dai beni materiali per una donna che sceglieva la vita religiosa o come mai la Regola francescana venne accettata solo quando rivista, Chiara si limita a indicare in un generico maschile lo scoglio per arrivare al risultato. San Francesco (Andrea Carpenzano), che da Chiara si allontanò per un periodo della vita, ne esce quasi come un personaggio vagamente vile, mentre nell’ultima sequenza pare quasi che il nuovo Papa, Gregorio IX (Luigi Lo Cascio) possa essere convinto ad accettare un Ordine fondato dal femminile attraverso un luculliano pranzo a base di succulento pollo cucinato dalle suore.

Tralasciando lo sbandamento stilistico tra iconografia sacrale e cori intonati tutti insieme appassionatamente, tra mondo hippy e avvicinamenti a scatti dell’inquadratura che richiamano gli anni Settanta, tra Santa Chiara Super Star che guarda in camera e un volgare (in senso linguistico) forse problematico, quel che resta è la sensazione di un film che non sa dove posare lo sguardo, né cosa privilegiare nel racconto. Un film che perde il proprio senso o che anzi non arriva mai ad afferrarlo. Più che Francesco, giullare di Dio, il rimpianto è per i magnifici lavori di Roberto Rossellini per la televisione, quando il più grande cineasta italiano decise di utilizzare il mezzo televisivo per ragionare su Luigi XIV, Sant’Agostino, Cartesio, Pascal: l’uso del rigore stilistico e della nettezza concettuale sarebbero serviti qui almeno per capire bene cos’è la Regola francescana, cosa quella di Chiara, perché Gregorio IX (che pare solo un mangione, abbordabile con un pennuto ben cotto) canonizza il poverello d’Assisi e poi di fatto avvia la pratica per il riconoscimento dell’Ordine di Chiara (che avverrà nel 1253 a pochi giorni dalla morte di Chiara). Se non era questo che interessava alla regista, allora ci chiediamo che fine abbiano fatto i personaggi, a partire dalla protagonista che si presume davvero importante, mentre invece nulla sappiamo delle sue motivazioni, dei suoi desideri, dei suoi fini. E nessuna operazione martoniana si staglia poi davvero all’orizzonte. Resta solo un’idea del femminile sottomesso che lotta per la propria libertà, un’idea po’ troppo lontana nel tempo e vaga nella rappresentazione per poter reggere un film, e l’assioma che Chiara sia stata rivoluzionaria. Peccato però che qui non venga mostrato.

Info
Chiara sul sito della Biennale.

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