Diabolik chi sei?

Diabolik chi sei?

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Diabolik chi sei?, libero ma rispettoso adattamento dell’albo numero 107 dedicato all’antieroe delle sorelle Giussani, mette la parola fine sulla trilogia firmata da Antonio e Marco Manetti. Si giunge al capolinea con l’episodio più esaltante, potendo finalmente gettare uno sguardo d’insieme su una operazione produttiva e artistica coraggiosa e riuscita, che conosce il genere con cui si confronta dimostra di saper elaborare un rapporto tutt’altro che ovvio tra fumetto e cinema. In Grand Public alla Festa del Cinema di Roma.

L’odio e l’amore

Catturati da una spietata banda di criminali, Diabolik e Ginko si trovano faccia a faccia. Rinchiusi in una cella, senza via di uscita e certi di andare incontro a una morte inevitabile, Diabolik rivela all’ispettore il suo misterioso passato. Intanto, Eva Kant e Altea sono alla disperata ricerca dei loro uomini. Le strade delle due rivali si incroceranno? [sinossi]

Dopo aver sondato la profondità degli abissi e aver dedicato un’ode a colei che sa brillare nel buio, i fratelli Manetti chiudono la loro trilogia dedicata a Diabolik con una accorata ballata notturna dell’odio e dell’amore, per riprendere il titolo della canzone che Francesco Bianconi ai testi e i Calibro 35 alla musica hanno scritto per Mike Patton, geniale manipolatore della composizione e della vocalità che la interpreta con un accento inconfondibile e che accompagna i titoli di coda di Diabolik chi sei?. Tutto ha un termine, d’altronde, tranne forse il crimine a Clerville: già vessata dalle azioni di Diabolik ed Eva Kant, la città di fantasia che i Manetti hanno ricostruito ricorrendo soprattutto agli scenari urbani di Bologna e Trieste deve infatti vedersela anche con un gruppo di selvaggi rapinatori di banche, che non hanno alcuna difficoltà a scatenare mitragliate contro chi si trova all’interno delle filiali pur di mettere le mani sul bottino. “Sono peggiori anche di Diabolik”, è la desolata sentenza di Ginko, che si confida così all’amata Altea di Vallenberg, tornata in città per assistere al funerale di un’amica contessa, vittima di una delle succitate rapine. Forse, se non ci fosse Eva, anche Diabolik si sbarazzerebbe della banchiera che hanno rapito e drogato per permettere a Eva di assumerne le fattezze, ma su richiesta della donna soprassiede; l’amore non purifica, ma magari salva (almeno gli altri). L’odio invece impazza nella città, ed è un tratto che i fratelli Manetti tramutano in una sorta di riflessione teorica sull’universo che stanno mettendo in scena. La metropoli in cui si svolgevano Diabolik e il successivo Diabolik – Ginko all’attacco era un luogo completamente immerso negli anni Sessanta (d’altronde i rispettivi albi originali vennero editati nel 1963 e nel 1964), mentre in Diabolik chi sei? Ci si sposta più avanti, tra la fine del decennio e gli anni Settanta: l’albo numero 107, uno dei più amati dai collezionisti, uscì nel marzo 1968.

Può apparire come un dettaglio di scarso interesse, ma in realtà testimonia l’assoluta lucidità nel controllo da parte dei due autori: nel progredire della trilogia i Manetti hanno mutato l’approccio stilistico, partendo da una elegante stilizzazione del noir per approdare ora a un capitolo più furibondo, sporco, in cui trovano spazio zoom più o meno accennati, in un caleidoscopio dello sguardo che traghetta Diabolik chi sei? in territori differenti, più prossimi probabilmente al pop – e quindi maggiormente in linea con l’approccio che fu proprio di Mario Bava all’epoca del suo sontuoso Diabolik del 1968. Nella scelta poi del già citato centosettesimo albo della lunghissima serie creata dalle sorelle Giussani si annida l’evidente volontà di non restare in superficie, ma di scavare nei personaggi messi in scena. Questa storia è un tuffo nel passato, certo, in cui si cela la verità sulle origini dell’antieroe per eccellenza del fumetto italiano, ma è anche uno sterramento delle altre figure in scena, che escono dalla bidimensionalità per approdare a una rotondità della rappresentazione che emoziona, avvolge, e coinvolge. Non è casuale che il protagonista non sia davvero Diabolik (e, anticipando eventuali malignità, non per le doti attoriali di Giacomo Gianniotti, in realtà molto convincente) ma l’intero panorama umano che lo circonda: è protagonista Eva Kant, ovviamente, ma lo sono ancor più Ginko, Altea, persino l’agente Palmer cui dona di nuovo il volto Pier Giorgio Bellocchio.

In un film che principia da una sequenza quasi argentiana (o del Bava di Sei donne per l’assassino) per poi passare a una rivisitazione di Milano calibro 9 – e la presenza in scena in un cameo di Barbara Bouchet non è di certo accidentale – e giungere a un dialogo in uno spazio chiuso che tracima in un ricordo del passato in un netto bianco e nero, a emergere poco per volta sono le psicologie di esseri umani fragili, sperduti, che sono persi nelle proprie ossessioni, come anche Ginko che arriverà a mettere a rischio persino la sua credibilità professionale pur di non lasciare nulla di intentato. Le donne, più libere di articolarsi al di fuori dell’ossessione, sono il contraltare logico – e dunque almeno in parte risolutivo – di un universo magmatico, caotico, frenetico, dove non sembra esserci più spazio per nulla che non sia la sopraffazione. Forse non incontrerà, come dopotutto i suoi predecessori, i favori del grande pubblico, ed è probabile che la vulgata critica che a ogni film pone sulla graticola Antonio e Marco Manetti rinnovi il proprio pregiudizio, ma Diabolik chi sei? è un’opera fiammeggiante, articolata, in grado di muoversi al di fuori da qualsiasi schema precostituito e di superare le secche di un immaginario italiano sempre più recalcitrante, e asmatico. La conclusione ideale e appassionata di una trilogia su cui sarà necessario nel corso degli anni ritornare, per comprendere quale intelligenza l’abbia mossa, e quali risultati abbia raggiunto. Sempre che il Re del Terrore non decida di uscire di nuovo dal buio, come la più ferale delle pantere nere.

Info
Diabolik chi sei?, il trailer.

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