Sotto le foglie

Sotto le foglie

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Giunto alla sua ventitreesima regia cinematografica François Ozon tocca con Sotto le foglie (titolo meno centrato dell’originale Quand vient l’automne) uno dei punti più altri della sua carriera: un dramma dolente, che discute delle generazioni, della necessità di costruirsi una famiglia, del passato e del suo peso, e lo fa guardando di quando in quando dalle parti dello Chabrol più “rurale”. Con un’intensa Hélène Vincent.

L’ambiguità dei funghi

Michelle ha tre passioni: suo nipote Lucas, la sua migliore amica Marie-Claude e i funghi che raccoglie nei boschi. La sua unica afflizione è Valérie, figlia ingrata che le rinfaccia il passato. Un incidente a tavola e una quiche di funghi tossici dopo, un equilibrio già fragile si rompe. Valérie accusa Michelle di averla deliberatamente avvelenata e le impedisce d’ora in avanti di rivedere Lucas. A rimettere le cose a posto ci pensa Vincent, figlio di Marie-Claude. Forse. [sinossi]

Galeotti furono i funghi e chi li colse nel bel mezzo del bosco, mentre avanza l’autunno. Erano galeotti anche i funghi che Vicky Krieps cucinava al marito Daniel Day-Lewis ne Il filo nascosto, per rimettere in ordine – in qualche modo – una relazione burrascosa, e ad andar per boleti e champignon erano anche i protagonisti del bel L’uomo nel bosco di Alain Guiraudie, visto lo scorso anno a Cannes e poi uscito in sala in Italia all’inizio di quest’anno. Dopotutto l’ambiguità naturale dei miceti si presta alle narrazioni che intendono mettere al centro del racconto il conflitto: squisiti eppur mortali, nutrienti ma potenzialmente letali. Per quanto si tratti di opere a ben vedere assai differenti, tanto per l’approccio tanto per lo sviluppo estetico, è interessante mettere in fila l’uno accanto all’altro il succitato film di Guiraudie e Quand vient l’automne, divenuto in italiano Sotto le foglie: interessante perché entrambe le opere in qualche misura mettono in mostra nuance “chabroliane” allontanando la macchina da presa dalla metropoli – che qui diventa solo elemento di rottura, persino terminale nella sua letalità – per addentarsi in quel luogo accogliente/oscuro che è la Francia rurale. Guiraudie ambientava la sua vicenda a Saint-Martial, paesotto di meno di trecento abitanti nell’Ardèche, mentre il sempre più prolifico François Ozon si sposta in Borgogna girando sia nella piccola Donzy (millecinquecento cittadini) che nella poco più grande Cosne-Cours-sur-Loire, che si attesta comunque sotto i diecimila abitanti. Un tentativo tutt’altro che banale di disallineare lo sguardo nazionale dalla prassi, e che allo stesso tempo apre a una disquisizione laterale sulla famiglia, sul concetto di ereditarietà del sangue, e dunque a ben vedere sull’identità stessa della nazione. Se Guiraudie sceglie il registro grottesco, in un atto liberatorio che è anche una rilettura survoltata del Pier Paolo Pasolini di Teorema, Ozon predilige il dramma che potrebbe in qualsiasi momento tingersi di mystery, anche se ciò in realtà non accade.

I funghi galeotti sono quelli che l’anziana Michelle coglie nel bosco insieme all’amica di una vita Marie-Claude; l’occasione è l’arrivo nella cittadina in cui si è trasferita da alcuni anni della figlia di Michelle, Valérie, che dovrà condurre dalla donna Lucas, suo figlio, affinché trascorra dalla nonna una vacanza. Valérie, che si sta separando dal compagno – che ha deciso di cogliere un’opportunità di lavoro a Dubai –, ha da tempo immemore un pessimo rapporto con Michelle e quando si sente male dopo aver mangiato i funghi che la madre le ha cucinato pensa che quei boleti velenosi le siano stati somministrati volontariamente, e trascina via con sé il bimbo maledicendo la genitrice. Da qui si sviluppa Sotto le foglie, anche se l’evolversi della vicenda non segue mai le direttrici che lo spettatore potrebbe attendersi. Forse anche per questo risulta inappropriato il titolo italiano, che prende spunto da un’inquadratura del film per giocare anche con la memoria cinefila degli appassionati di Ozon – Sotto la sabbia è una delle sue regie più illuminate –; manca la profondità di quel quando viene l’autunno che nasconde al proprio interno un valore polisemico che parla delle stagioni, dell’invecchiamento, dei primi tremori relazionali, della fragilità dei rapporti umani. Il regista transalpino ragiona sull’umanità, le sue debolezze, la sua innata incapacità di fare i conti con il passato, con ciò che è accaduto, con le scorie che la vita si trascina appresso e che finiscono per appesantire anche una dinamica madre-figlia. Lo fa scartando qualsiasi ipotesi retorica e sfidando lo spettatore, spingendolo a interrogarsi sui preconcetti, sulle semplificazioni con le quali si osserva una società al contrario sempre più sfuggente, e caotica. Come già accaduto nel suo cinema, Ozon racconta affetti che sono frutto di una scelta, della necessità di dare senso a un nucleo familiare che non sia necessariamente biologico, ma rappresenti una ricostruzione sopra le macerie. Senza essere mai vittima Michelle è una sopravvivente, una persona che supera gli ostacoli che le vengono posti innanzi e procede, nonostante il dolore, verso un avvenire che è sempre possibile.

Diretto con sguardo ispirato, sempre teso a osservare la vita che esplode ai lati dell’inquadratura – e anche per questo non è importante vedere ciò che accade, ma sentire ciò che l’accaduto sprigiona nell’aria –, Sotto le foglie è uno dei parti più maturi e compiuti di un regista senza dubbio disomogeneo negli esiti artistici ma mai banale, mai incardinato in un percorso prono. Non dà risposte nette, Ozon, non crede in nessun modo che la verità possa passare attraverso l’immagine, e al di là di questo non giudica mai i suoi personaggi, ma li accompagna nel loro percorso di vita, come un fantasma che riappare accanto al guidatore, perché tutti sono carnefici, tutti sono vittime, tutti hanno memorie traumatiche, tutti continuano pervicacemente a vivere, a edificare case che siano famiglie prima che immobili. Dove si possa ancora perseverare nella memoria degli affetti.

Info
Il trailer di Sotto le foglie.

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