Peter von Kant

Peter von Kant

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A distanza di cinquant’anni esatti dal capolavoro, uno dei tanti, di Fassbinder, Le lacrime amare di Petra von Kant, che venne presentato alla Berlinale, il festival tedesco apre la sua edizione 2022 con un remake libero di quell’opera, Peter von Kant di François Ozon, dove le tre protagoniste diventano personaggi maschili. Incapace di portare sullo schermo la visceralità delle passioni del maestro, il regista francese realizza un film su quella visceralità, come una visceralità di celluloide, un’operazione filologica quanto distaccata.

Tutti lo chiamano Amir

Peter Von Kant, un regista di successo, vive con il suo assistente Karl, che maltratta e umilia. Tramite un’amica, la famosa attrice Sidonie, incontra e si innamora di Amir, un bel ragazzo di origine nordafricana, che aiuterà a sfondare nel mondo del cinema come attore... [sinossi]

Le immagini di un cortile, in cui campeggia un grande albero: siamo a Colonia nel 1972, ci dice una scritta. Così comincia Peter von Kant, l’adattamento molto libero di François Ozon al testo fassbinderiano Le lacrime amare di Petra von Kant. Sono passati cinquant’anni da quell’opera fondamentale, come molte altre del regista tedesco, che venne presentata alla Berlinale. E ora la Berlinale apre la sua edizione 2022 proprio con questo omaggio di Ozon, che torna a confrontarsi direttamente con un testo del suo amato Fassbinder dopo Gocce d’acqua su pietre roventi. Quel cortile con cui si apre il film, e quel paesaggio che torna a rimarcare l’alternarsi delle stagioni, appare significativo di quella che è la più importante trasgressione, più radicale che cambiare il sesso dei tre protagonisti, di Ozon rispetto al film originale che, utile ricordare, era già un adattamento di un testo teatrale di Fassbinder. Ovvero sfondare lo sguardo sull’esterno e rompere quella dimensione di kammierpiel claustrofobico originale. Gli esterni sono veri, non semplice addobbo scenografico come quelli del lucernario di un altro film dal respiro teatrale come Nodo alla gola. Per dimostrarlo Ozon usa in più di un’occasione uno sguardo da una mdp esterna che guarda incorniciando i personaggi con i bordi dell’ampia finestra, cosa che segnala anche la sua posizione scopofila sul cinema del Maestro, sulla puttana santa fassbinderiana. E ancora il film si chiude con una scena in esterni che segna l’allontanamento del personaggio di Karl.

Recuperare una dimensione di esterni serve a Ozon per rimarcare la natura cinematografica del suo lavoro, dove il cinema di Fassbinder, il cinema come atto materico, dimensione artistica come sessuale, gioca un ruolo di primo piano. Peter von Kant è un regista, non uno stilista come lo era Petra. Banalmente questa è una delle estrinsecazioni biografiche che sviluppa Ozon. Nella casa di Peter campeggia un piccolo proiettore, e poi anche una cinepresa. E lo vediamo seduto sulla classica seggiola da regista. Ma soprattutto l’innamoramento per l’aitante giovane magrebino Amir nasce filmandolo, contemplando la sua conturbante immagine proiettata, con la grana e il formato della pellicola amatoriale. E la sua dolorosa mancanza porterà Peter a rivestire la sua casa di immagini fotografiche del ragazzo. Il senso dell’operazione di Ozon è proprio questo, rimarcare il suo punto di vista esteriore su Fassbinder e il suo cinema, la sua puttana santa, evidenziando l’atto di filmare, di fare cinema, compulsivo di Fassbinder, come un atto carnale, sessuale. Ozon non è in grado – e quale altro regista lo sarebbe? – di mettere in scena la visceralità delle passioni come il protagonista del Nuovo cinema tedesco, il suo cinema è più in superficie, freddo, calcolato e kitsch. Rispetto a Fassbinder non può che porsi in posizione consapevolmente distanziata e voyeuristica.

Peter von Kant è un’operazione minuziosissima di omaggio a Fassbinder, che arricchisce il testo originale in tal senso. Peter è ricalcato fisicamente su Rainer Werner: l’attore che lo interpreta, Denis Ménochet, è estremamente somigliante. Spesso indossa quella tipica giacchetta di molte immagini con cui è ricordato il regista tedesco. Il film inizia e finisce con foto di Fassbinder, anche presenti durante il film. Nel virare al maschile la passione omoerotica della storia, Ozon non fa che esplicitare un aspetto biografico di Fassbinder, ovvero la sua sfortunata storia con il suo attore feticcio Günther Kaufmann, che verosimilmente era trasposta ne Le lacrime amare di Petra von Kant. Un attore magrebino è funzionale a evocare la sua fisionomia, oltre che a ricordare Alì di La paura mangia l’anima. La casa di Peter è ispirata proprio all’appartamento di Fassbinder, come si vede in Germania in autunno. E gli esterni, con quell’albero che cambia colore dall’autunno alla primavera, ci rimandano anche alle sirkiane foglie al vento. Un autore che usa spesso le canzoni, come Ozon, non poteva che inserire, tra le altre, Jeder Tötet, Was Er Liebt (Each Man Kills the Thing He Loves), una scelta scontata. E ovviamente non poteva mancare la citazione vivente di Hanna Schygulla, nella parte dell’anziana madre di Peter, unico personaggio a parlare per un attimo in tedesco. Il film infatti è in francese, pur essendo ambientato in Germania con personaggi tedeschi, ma poco importa, la lingua è una pura convenzione.

Sono tanti comunque anche gli elementi che Ozon modifica per filtrare la storia secondo la propria sensibilità, a partire, probabilmente, dal suo ribaltamento al maschile. Ma la sceneggiatura che Peter sta dettando a Karl riguarda un film incentrato su personaggi femminili. Non campeggia più la gigantografia di Bacco e Mida di Nicolas Poussin: il quadro è presente sempre ma più piccolo, e si affianca a gigantografie di San Sebastiano, cui si aggiungerà quella dello stesso Amir trafitto da frecce, secondo un’estetica ormai un po’ abusata. Amir spesso filmato con una carnalità impudica caravaggesca. La citazione a Mankiewicz iniziale viene sostituita con una a Romy Schneider, più nei gusti cinefili di Ozon. E si cita poi pure Zeffirelli, esempio di cinema che scade nel patinato estetismo.

Quella di Ozon è in definitiva un’operazione iconografica, e iconologica, consapevole e sentita.

Info
Peter von Kant sul sito della Berlinale.

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