La promessa dell’assassino

La promessa dell’assassino

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Thriller dall’andatura tesa e implacabile, La promessa dell’assassino ha una resa naturalistica della violenza che cattura lo spettatore in una morsa, mentre lo stile inappuntabile della regia di Cronenberg ci regala momenti di intenso piacere visivo, amplificato da uno humour tagliente che sottolinea con gusto le mille sfaccettature dell’animo umano.

Questo è il mio corpo

Una ragazza di origine russa muore dando alla luce una bambina. Nel suo diario lascia le prove che legano la sua vita e quella della neonata a una losca storia di violenza carnale e mafia russa… [sinossi]

Con La promessa dell’assassino (Eastern Promises) Cronenberg realizza forse il suo film più aderente ai meccanismi del genere, la sceneggiatura, opera di Steve Knight (già autore dell’interessante script per Dirty Pretty Things di Stephen Frears) è solida e lineare e la si può leggere agilmente come una versione capovolta del plot di History of Violence. Se la precedente pellicola di Cronenberg ci offriva una limpida parabola sulla violenza tout court, da La promessa dell’assassino non dobbiamo aspettarci un messaggio altrettanto cristallino e universale. Ma l’adesione ai canoni del thriller urbano con annesso sottomondo mafioso, se da un lato diluisce la pienezza che può restituire una semplice allegoria, d’altro canto moltiplica le chiavi di lettura, abilmente incastonate tra le pieghe del racconto.

In una Londra notturna e piovosa si compiono due differenti destini. Un omicidio rituale apre le danze di una guerra tra opposte fazioni di immigrati dell’est, mentre una ragazza, poco più che adolescente e priva di documenti di identità, muore dando alla luce una bambina. L’ostetrica Anna Khitrova (Naomi Watts), impugnato il diario della giovane, inizia le sue incaute indagini, volte a rintracciare i parenti prossimi della vittima. Il diario è però scritto in cirillico e l’unico indizio comprensibile è il biglietto da visita di un ristorante tradizionale russo. Qui Anna incontra Semyon (Amin Mueller-Stahl), cordiale ristoratore e padre intransigente, che si offre premurosamente di tradurre lo “scomodo” quaderno. Semyon è in realtà il boss della Vory V Zakone, la mafia russa londinese che lui governa con mano ferma dalle cucine del suo locale. Kirill (Vincent Cassel), il fragile e tracotante “principe ereditario”, amministra per conto del padre il traffico di prostitute esteuropee. Ad affiancarlo e proteggerlo ci pensa il suo gelido compare, Nikolai (Viggo Mortensen), che si proclama semplice autista, ma è molto di più: maestro dell’inumazione fluviale, dello scongelamento di cadaveri, della cancellazione dell’identità, quella degli altri come la propria.

Thriller dall’andatura tesa e implacabile La promessa dell’assassino ha una resa naturalistica della violenza che cattura lo spettatore in una morsa, mentre lo stile inappuntabile della regia di Cronenberg ci regala momenti di intenso piacere visivo, amplificato da uno humour tagliente che sottolinea con gusto le mille sfaccettature dell’animo umano. Eppure, nonostante cotanta ricchezza, La promessa dell’assassino è un film semplice, il centro del suo discorso è il tema del “sacrificio”. Quello di una ragazza russa vittima di violenza che muore di parto e, soprattutto, quello di Nikolai/Viggo, che per scalare l’impervia piramide del potere, va incontro ad una graduale ed inesorabile eucarestia: per il personaggio, la violenza più cruda certifica l’adesione completa e sincera ad un ruolo che qualcun altro ha predisposto per lui. Ma non dobbiamo confonderci, La promessa dell’assassino non intende certo suggerire metafore religiose, l’olocausto, qui, è tutto terreno. A Cronenberg non interessa d’altronde né il peccato, né tantomeno la redenzione (e la chiosa del film ce lo conferma), non è l’anima che va salvata, bensì l’identità nelle sue manifestazioni più secolari: le pagine di un diario, il proprio corpo, che le prostitute alienano, la propria pelle, che Nickolai subaffitta alla mafia, affinché essa vi riscriva, sotto forma di simboli tatuati, il suo passato e il suo presente. Naturalmente in questa abiura alla propria identità possiamo rinvenire facilmente una metafora del lavoro dell’attore, cui La promessa dell’assassino paga il dovuto omaggio: se Nickolai/Viggo è trattato con delizioso sadismo, Cronenberg regala finalmente a Vincent Cassel il suo ruolo di villain più complesso e affascinante. Meno risolta è invece la caratterizzazione del personaggio di Anna, cui certo Naomi Watts dona luminosità e grazia, ma che si rivela un semplice grimaldello d’ingresso per il mondo sommerso della Vory V Zakone.

Nel graduale dipanarsi dell’intreccio malavitoso, che coinvolge russi, curdi e ceceni, traspare ben presto quanto il meltin’pot londinese sia di fatto un’utopia irrealizzabile e nel mentre, viene negata anche la possibilità del connubio sociale più elementare, ovvero quello della coppia. La ragione di questo impedimento è semplice e radicale: l’impossibilità è genetica. L’uomo e la donna abitano infatti universi separati, il loro incontro è infecondo, oppure è violento. La sterilità dunque è globale, al tempo stesso sociale e biologica.
Mentre la tragica spirale di rancori, invidie e potere pare inghiottire tutto nei vortici torbidi del Tamigi, un’ anodina maternità rischiara il cammino, ma è solo per condurci in quelle villette a schiera che tanto cinema d’autore, come anche di genere, ci hanno abituato a osservare con sospetto.

Info
Il trailer di La promessa dell’assassino su Youtube.
Il sito ufficiale del film.
Questa recensione è apparsa in precedenza sul sito www.cinemavvenire.it.
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