Saving Mr. Banks

Saving Mr. Banks

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Saving Mr. Banks, ritorno alla regia di John Lee Hancock, racconta la storia della lunga trattativa tra Walt Disney e la scrittrice P.L. Travers per i diritti cinematografici di Mary Poppins. Un viaggio nel mondo mentale e nelle memorie di due inventori di mondi, con alcune debolezze ma non privo di fascino.

Vento dall’est

Il rapporto contrastato tra Walt Disney e Pamela Lyndon Travers, autrice del romanzo Mary Poppins. La scrittrice non voleva cedere i diritti di sfruttamento per il cinema, perché il suo libro aveva degli aspetti intimamente autobiografici. Alla fine, però, dopo quattordici anni di intense trattative l’inventore di Topolino riuscì a convincerla, lasciandola infine delusa e persino offesa per il risultato. Il Mr. Banks del titolo è il nome del personaggio del padre sia nel romanzo che nella pellicola del ’64, personaggio intorno a cui si incentravano per l’appunto i contrasti tra Disney e la Travers… [sinossi]
Vento dall’est
la nebbia è là
qualcosa di strano fra poco accadrà.
Troppo difficile capire cos’è
ma penso che un ospite arrivi per me.
Dick Van Dyke, Mary Poppins

C’è un momento sublime che irradia Saving Mr. Banks, anticipando di fatto il finale. Una spaesata P.L. Travers, scrittrice australiana trapiantata a Londra che ha ben poco in simpatia modi, costumi e sfarzo hollywoodiani, arriva al cinema dove si terrà l’attesa anteprima di Mary Poppins, il film che Walt Disney ha tratto dal personaggio da lei creato negli anni Trenta. La donna è intimorita, e cavallerescamente è Topolino (una maschera di Topolino, beninteso) a porgerle il braccio per accompagnarla in sala: l’inquadratura studiata da John Lee Hancock li segue da dietro, pudicamente a distanza. È qui, a pochi minuti dalla fine, che Saving Mr. Banks esplode, deflagrando con tutta la propria potenza: le immagini di Mary Poppins sullo schermo che si accavallano agli sguardi tremolanti, disperati e dolenti della Travers seduta in platea rappresentano l’apice di un film che per il resto non riesce a trovare la giusta distanza tra il desiderio di raccontare il passato della donna e la necessità di ragionare su uno scontro tra titani, quello che oppose una fiera e oltranzista romanziera all’uomo più potente del cinema mondiale.
Eppure quei pochi minuti, quel trattenuto e rispettoso sguardo sull’intimità della Travers – ma anche sulla poliedrica grandezza di uno dei più illuminati tycoon di Hollywood, geniale creatore di storie, mondi, sogni e desideri – bastano da soli a giustificare la visione dell’opera quarta del texano Hancock, la cui carriera continua a vivere all’ombra dei due splendidi script portati a termine per Clint Eastwood, Un mondo perfetto e Mezzanotte nel giardino del bene e del male.

In Saving Mr. Banks, lavorando su una sceneggiatura altrui (scritta a quattro mani da Kelly Marcel e Sue Smith), Hancock conferma pregi e difetti del suo cinema: una regia ariosa, in grado di quando in quando di cogliere con precisione il senso della rappresentazione, ma anche un alto tasso di retorica. Quest’ultima, più che nel segmento ambientato a inizio anni Sessanta, è possibile rintracciarla in grande quantità nella parte dedicata alla memoria infantile della Travers, quando ancora viveva in Australia con i genitori e le sorelline: attorno all’adorazione della piccola futura scrittrice verso il padre bancario e beone ruota buona parte di Saving Mr. Banks, anche se non la migliore, con ogni probabilità. Nel tentativo di trovare una spiegazione logica e psicologica sia alla creazione di un personaggio come Mary Poppins che alla ritrosia con cui la Travers approccia l’ipotesi di concedere i diritti di sfruttamento dei romanzi alla Disney, Saving Mr. Banks perde buona parte del suo pur indiscutibile fascino.
Dopotutto quando si ha a che fare con un sogno – e nella filmografia live action di Walt Disney nulla si avvicina di più all’onirismo a occhi aperti quanto il magnificente Mary Poppins diretto da Robert Stevenson – tutto ciò che riguarda la logica, la realtà, l’ovvio, perde in spessore e interesse.

Più si procede con gli incontri a Hollywood per stendere la sceneggiatura, tra un battibecco e l’altro, tra un accenno di canzone subito abortito dallo sguardo severo della Travers (la quale però, senza nessuna spiegazione, finisce per accettare il film come musical nonostante l’assenza di canzoni fosse una delle sue priorità), più si capisce come tutta l’architettura allestita per Saving Mr. Banks scompaia di fronte allo stupefacente nitore di Mary Poppins, capolavoro che a cinquant’anni di distanza dalla sua realizzazione continua a sorprendere per lo splendore delle scenografie, l’intelligenza della sceneggiatura – sottilmente e profondamente anticapitalista – l’infinita tavolozza di colori della fotografia di Edward Colman, gli splendidi disegni animati e gli effetti speciali all’avanguardia. Neanche le interpretazioni di Tom Hanks, Emma Thompson, Paul Giamatti, Jason Schwartzman (assai deludente e monocorde, al contrario, Colin Farrell) riescono a reggere il paragone con un’opera simile.
Certo, restano alcune sequenze memorabili (su tutte quella con cui si è aperta questa disamina, ma anche il viaggio a Disneyland, l’arrivo di Disney a casa della Travers, il primo giorno di lavoro), ma nulla che non scompaia dalla memoria con il primo cambio di vento. Mentre agli abitanti di viale dei ciliegi 17 bastava un aquilone riparato nella notte per aspirare all’eternità…

Info
Il sito ufficiale di Saving Mr. Banks.
La pagina facebook di Saving Mr. Banks.
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