Suxbad – Tre menti sopra il pelo

Suxbad – Tre menti sopra il pelo

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Suxbad – Tre menti sopra il pelo è il demente titolo che in Italia si è scelto di dare a Superbad, teen-movie in odor di demenziale che nel 2007 segnò il ritorno alla regia per Greg Mottola a undici anni di distanza dall’esordio L’amante in città. Un lavoro prezioso, che mescola il picaresco allo slapstick, flirta con la commedia ultraparlata à la Kevin Smith e permette a tre talenti come Jonah Hill, Emma Stone (qui alla sua prima interpretazione) e Michael Cera di scatenarsi. Oggetto di culto oltreoceano, da noi è meno considerato, destino che condivide con la stragrande maggioranza delle regie di Mottola.

McLovin

Seth ed Evan sono amici per la pelle fin da quando frequentavano le elementari. Ora che sono giunti all’ultimo anno delle superiori le loro strade stanno per dividersi: Seth non è stato infatti accettato nell’università di Evan, dove invece è stato immatricolato un altro loro amico, l’imbranato Fogell. Fogell ha annunciato agli amici che ha intenzione di procurarsi un documento falso che gli attribuisca 21 anni, in modo da poter acquistare alcolici: nonostante sia ridicolizzato in un primo momento da Seth ed Evan questo documento (su cui Fogell ha fatto scrivere solo un cognome, McLovin) si rivelerà fondamentale, visto che i due si sono assegnati il compito di procacciare bevande per la festa che la bella Jules, di cui Seth è innamorato, darà a casa sua. A quella festa ci sarà anche Becca, oggetto del desiderio di Evan… [sinossi]
Fogell: Ciao ragazzi, come butta?
Seth: Dove ti eri cacciato?
Mi hai fatto quasi venire un attacco di cuore!
Fogell: Scusa…
Seth: Fammela vedere [la patente falsa, NdA].
Ti sei cacato sotto, vero?
Fogell: No, no, Seth, l’ho presa. Controlla!
Evan: Hawaii?
Fogell: Ah ah.
Evan: Sì, va bene, è più difficile da controllare, credo.
Aspetta, hai cambiato il tuo nome in… McLovin?
Fogell: Sì!
Evan: McLovin? Ma che stupido nome è, Fogell?
Sei un cantante di rythm&blues irlandese?
Fogell: No, ti fanno scegliere il nome che vuoi quando sei lì.
Seth: E tu hai scelto McLovin?
Fogell: La scelta era tra quello e Mohamed.
Seth: Perché cazzo doveva essere tra quello e Mohamed?
Perché non un nome comune da persona normale?
Fogell: Mohamed è il nome più usato sulla Terra.
Leggi un fottuto libro ogni tanto!
Evan: Hai mai conosciuto uno che si chiamasse Mohamed?
Fogell: Hai mai conosciuto uno che si chiamasse McLovin?
Seth: No! Per questo hai scelto un ridicolo nome da vomito?
Fogell: Vaffanculo.
Seth: Primo, somigli a un fottuto pedofilo, in questa foto.
Secondo, non c’è neanche un nome di battesimo.
C’è scritto solo McLovin!
Evan: Cosa, niente nome? Niente nome? Ma chi sei, Prince?
Da un dialogo del film

Nel lungo elenco di traduzioni dementi di titoli internazionali per il mercato italiano, tra i vari Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind), Prima ti sposo, poi ti rovino (Intolerable Cruelty), Non drammatizziamo… È solo questione di corna (Domicile conjugal), Un bacio romantico (My Bluebarry Nights), merita una segnalazione a parte anche il secondo lungometraggio diretto da Greg Mottola. In originale Superbad gioca in maniera evidente, oltre che con l’escalation di guai nei quali andranno a ficcarsi i protagonisti Seth ed Evan, anche con l’immaginario anni Settanta, come rimarcano i bei titoli di testa che si divertono a rintracciare rotte psichedeliche degne della Blaxploitation. La distribuzione italiana, forse convinta di poter rincorrere un pubblico adolescente con un titolo meno suggestivo e più pruriginoso, ha pensato bene da un lato di ricorrere all’incomprensibile Suxbad – che mantiene la desinenza dell’originale ma suggerisce il verbo “succhiare” senza esplicitarlo –, per poi rincarare la dose con il folle sottotitolo Tre menti sopra il pelo, che ben poco lascia all’immaginazione ma che allo stesso tempo non ha alcuna attinenza reale con il film. Il risultato? Mentre in patria il film ha riscontrato un enorme successo al botteghino, trovando pubblico in fasce della popolazione molto diverse tra loro, in Italia si è fermato ad alcune centinaia di migliaia di euro di incasso, evitato come la peste da spettatori spaventati – sarebbe meglio dire disgustati – proprio dal titolo. Un esempio che permetterebbe di allargare il discorso al concetto stesso di “vendita” di un film, e alla scelta spesso infruttuosa di tradire le intenzioni degli autori pensando di fatto di buggerare il pubblico.
Questo incipit serve per lo più a rimarcare il dispiacere per la scarsa attenzione che Suxbad ha risvegliato nella critica italiana, che si è sovente trovata a riscoprirlo a posteriori, apprezzandone le evidenti qualità nella riscrittura di un genere piuttosto identificativo per il cinema statunitense quale è il teen-movie. Lo stesso dispiacere, a ben vedere, che si prova nel sottolineare lo snobismo con cui in Italia vengono solitamente accolti i film diretti da Greg Mottola. Dopo questa dinamitarda commedia “tutta in una notte” sarà infatti la volta del grazioso e dolente Adventureland, della schizoide sci-fi-comedy Paul e infine (per ora) del film spionistico colmo di equivoci Le spie della porta accanto. Se si considera che anche l’esordio che Mottola diresse ben undici anni prima di Suxbad – nel mezzo si barcamenerà lavorando per il piccolo schermo –, vale a dire L’amante in città, raggiunse le sale del Belpaese nel silenzio generale si può legittimamente parlare di una costante nel rapporto tra Mottola e la critica italiana.

Eppure proprio la storia dell’assurda notte in cui Seth ed Evan cercano di trovare gli alcolici che hanno promesso di portare alla festa organizzata a casa dalla bella Jules (di cui Seth è disperatamente innamorato, per quanto faccia di tutto per non darla a vedere) permette di comprendere al di là di ogni dubbio la capacità di Mottola di gestire tempi e timbriche dell’azione, lavorando a un mélange tutt’altro che semplice, ma al contrario stratificato sia nel linguaggio che nella volontà di rileggere in continuazione il canone, scardinandone gli infissi e cercando nuove condutture d’aria. In molti si sarebbero persi nel bailamme articolato dalla sceneggiatura scritta a quattro mani da Evan Goldberg e Seth Rogen – sull’aspetto pre-produttivo si tornerà più avanti –, ma Mottola sfrutta il rocambolesco non per soffocare l’azione ma per permettere a ciò che si cela davvero nelle pieghe della narrazione di esplodere, deflagrando a sorpresa e nei modi più impensati. Si pensi ad esempio alla lunga sequenza che vede i due amici quasi intrappolati in una festa alla quale non sono neanche stati invitati: mentre cercano di raggiungere la stanza dove sono tenuti tutti gli alcolici senza che nessuno se ne accorga uno, il segaligno e timido Evan, si ritrova a dover cantare a cappella per un gruppo di strafattoni, e l’altro, il corpulento e smargiasso Seth, balla guancia a guancia con una bella ragazza che però gli macchia i jeans con il mestruo, provocando un enorme parapiglia. Mottola sfrutta al meglio gli spazi, liberando e costringendo i suoi personaggi con crudele alternanza, sospendendo il tempo in attesa di un acuto o gettandosi lancia in resta nell’agone. Questo movimento in perenne bilico tra frenesia e stasi è uno dei tratti distintivi di maggior forza del film, e controbilancia perfettamente gli stati d’animo dei suoi due protagonisti, accesi dalla furia di poter finalmente perdere la verginità – mito incrollabile del teen-movie da quarant’anni a questa parte, ma già presente nel titolo fondamentale per le sorti del genere, American Graffiti di George Lucas – ma spaventati dall’idea di non poter contare nel futuro prossimo sulla spalla dell’amico. Perché arriverà l’università, e le loro strade dovranno inevitabilmente dividersi per la prima volta da quando i ragazzi frequentavano le elementari.

Parlatissimo e sboccato, come una sorta di Clerks per liceali, Suxbad come i suoi protagonisti cela sotto il frastuono imperante di parole, vomitate, grida, spari, investimenti da parte di automobili, fughe repentine e disperate, un’anima sperduta, gentile, colma di una tenerezza spiazzante. Non è certo casuale che la produzione veda spiccare il nome di Judd Apatow, figura dirimente per le sorti della commedia a Hollywood e dintorni negli ultimi quindici anni: per quanto il personale approccio di Apatow alla materia sia assai meno eversivo e disturbato di quello di Rogen e Goldberg (che a quattro mani hanno scritto, è forse il caso di ricordarlo, Pineapple Express – a proposito di folli traduzioni italiane, qui lo trovate alla voce Strafumati – di David Gordon Green, The Green Hornet di Michel Gondry, e l’animazione Sausage Party, oltre a sceneggiare e dirigere insieme il geniale disaster-movie apocalittico Facciamola finita) la poetica si fa maggiormente affine quando ci si approssima alle tematiche della fine dell’adolescenza e dell’accettazione di una maturità sancita per legge prima ancora che realmente in atto.
Ed è proprio nel rapporto tra Seth ed Evan, i cui nomi neanche provano a mascherare l’autobiografismo degli sceneggiatori, amici fin dalla più tenera età, che il film si smarca dal puro e semplice prodotto di mercato elevandosi a livelli ben superiori. Scombiccherato e delirante viaggio nella notte di due ragazzini che vorrebbero solo trovare il proprio posto al mondo – e il discorso vale anche per il terzo lato del triangolo, quel Foggell/McLovin che incarna l’aspetto più strettamente demenziale della storia, e a cui è dedicato il rito di passaggio più impensabile, dato che passa quasi metà del film sul sedile posteriore di una macchina della polizia –, Suxbad cresce d’intensità via via che si avvicina il momento del commiato, che avverrà dentro un centro commerciale dove i due verranno separati non dall’università, ma dalle due ragazze di cui sono innamorati. Il movimento a salire della macchina da presa, sui gradini di una scala mobile, che progressivamente elimina dalla visuale di Seth il volto di Evan, e viceversa, è degno del crescendo sentimentale di una rom-com in piena regola, e appare quasi sbalorditivo all’interno di un film così sguaiato, perfino laido in alcuni frangenti.

Vero e proprio oggetto di culto, e teen-movie più compiuto, organico e interessante sotto il profilo teorico dall’inizio del nuovo millennio (potrebbe quasi essere considerato il Ferris Bueller’s Day Off del Ventunesimo Secolo, oltre che un aggiornamento del già citato capolavoro di Lucas), Suxbad inanella una serie di sequenze destinate a rimanere ben impresse nella memoria cinefila, in un meccanismo a orologeria che lavora sullo slapstick senza dimenticare la verbalizzazione, in una guerra incessante tra la parola e il corpo che non può trovare un reale vincitore. A questo si aggiunge l’interpretazione sublime di un cast in stato di grazia, capitanato dalla triade composta da Michael Cera – è un peccato che l’età stia giocando un brutto scherzo a un attore tutt’ora imberbe nonostante i trent’anni suonati –, Jonah Hill e Christopher Mintz-Plasse, ma arricchito da Seth Rogen, Bill Hader, Martha MacIsaac, Martin Starr, Dave Franco e una allora esordiente, e già magnetica, Emma Stone. Da riscoprire assolutamente.

Info
Il trailer di Suxbad – Tre menti sopra il pelo.

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