La ragazza di Bube

La ragazza di Bube

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Adattamento per il grande schermo del celeberrimo romanzo di Carlo Cassola, vincitore del Premio Strega nel 1960, La ragazza di Bube segna il ritorno (dopo Tutti a casa) di Luigi Comencini ai temi della guerra di Resistenza contro il nazi-fascismo. Qui però Bube, per aver ucciso un carabiniere, è costretto alla fuga. Sguardo disilluso sulla democrazia, La ragazza di Bube è anche il vibrante ritratto della protagonista, interpretata da Claudia Cardinale.

È cattiva la gente che non ha provato dolore

Valdelsa, a Seconda Guerra Mondiale terminata da poco. Mara Castellucci è una ragazza di sedici anni che vive a Monteguidi insieme al padre, comunista militante, alla madre e ad un fratello, Vinicio. Qui conosce Arturo Cappellini, detto Bube. Il giovane, amico e compagno di Sante, il fratellastro di Mara morto durante la Resistenza, si era recato nel paese dell’amico per conoscere la famiglia e qui avviene l’incontro con Mara. Tra i due giovani nasce subito una simpatia. Un giorno Bube comunica a Mara di voler cercare riparo presso la propria famiglia a Volterra perché accusato di un delitto. [sinossi]

Sessant’anni fa, nel 1960, La ragazza di Bube di Carlo Cassola vinceva il Premio Strega, battendo Laura Di Falco con Una donna disponibile, Mario Picchi con Roma di giorno, Laudomia Bonanni con L’impiegata, Giovanni Arpino con La suora giovane e Italo Calvino con Il cavaliere inesistente. Le polemiche infuriarono, e il fatto che oggi quasi nessuno ne serbi più memoria in qualche modo disegna con precisione il progressivo conformarsi della lettura politica “da sinistra” della società in un unico macro-pensiero, un calderone in cui è possibile mescolare ogni tipo di ingrediente senza porsi troppi problemi. È venuta meno la dialettica, in questi decenni, e dunque anche la propensione a discutere non solo di ciò di cui si racconta, ma anche delle prospettive dalle quali si guarda i fatti, e dal panorama che si scruta all’orizzonte e al di là di esso. Pier Paolo Pasolini, che promuoveva allo Strega il romanzo breve di Calvino (anch’esso, come Cassola, edito da Einaudi), accompagnò la serata con l’epigramma In morte del realismo, pubblicato poi il 29 giugno del 1960 da Paese Sera ma letto la sera prima a Villa Giulia dall’intellettuale. L’epigramma inizia così: «Friends, Romans, countrymen, lend me your ears! / Sono qui a seppellire il realismo italiano / non a farne l’elogio. Il male di uno stile / gli sopravvive, spesso, ma il bene resta, / spesso, sepolto insieme al suo ricordo. / E così sarà dello stile realistico. / L’eletto Cassola vivacemente attesta / ch’esso era ambizioso: se così fosse / sarebbe, questo, un gran demerito, ed equa / quindi, la sua fine». Nei mesi precedenti anche Palmiro Togliatti si era espresso contro Cassola, accusandolo di essere un “diffamatore della Resistenza”. La colpa, o supposta tale, risiedeva nella rappresentazione di alcuni esponenti comunisti partigiani all’interno de La ragazza di Bube che, dopo aver esortato il focoso Bube ad agire contro dei carabinieri, lo abbandonano di fatto al suo destino. Vi si lesse, in questa descrizione, un’accusa generica alla mitologia partigiana, una messa in dubbio della moralità assoluta di tutti coloro che imbracciarono i fucili in montagna. Il fatto che partigiano lo fosse stato lo stesso scrittore, nella ventitreesima brigata garibaldina Guido Boscaglia attiva nel volterrano (dove Cassola si era trasferito a vivere dalla natia Roma, per riappropriarsi delle radici materne), aveva poco conto nel 1960. Il centrosinistra aveva seguito il boom economico – o viceversa, a seconda della prospettiva: di nuovo la dialettica… – e Cassola era prossimo al Partito Socialista nenniano, mentre Pasolini e Calvino si muovevano in territori molto vicini al Partito Comunista togliattiano. La lotta comune sui monti era finita da un bel pezzo.

Se si scandaglia con attenzione la vicenda sopracitata, e la si analizza cercando di mantenere un’adeguata distanza, vi si può scorgere all’interno la stessa mestizia che traspare dalle pagine del romanzo, la medesima disillusione sulle reali possibilità dell’Italia di evolversi, di diventare puramente totalmente esclusivamente democratica. Subito dopo il successo allo Strega Franco Cristaldi, forse il più ideologico tra i produttori degli anni Cinquanta e Sessanta, acquista i diritti per il cinema del romanzo, e assolda per la sceneggiatura Marcello Fondato e Luigi Comencini, che hanno già raccontato la lotta partigiana per Dino De Laurentiis in Tutti a casa; con loro in fase di scrittura lì c’erano anche Age e Scarpelli, per orchestrare un film bellico come fosse una commedia all’italiana e modellare la vicenda sul corpo tragico-comico di Alberto Sordi. Questa deriva aggiuntiva è inessenziale ne La ragazza di Bube, triste storia d’amore che si sviluppa al terminar della guerra tra un ragazzo che ha partecipato alla Resistenza e la sorella appena sedicenne di un altro giovane, morto però sui monti e mai più tornato a casa. La scelta di Comencini e Fondato è in una certa misura emblematica della volontà di rispettare la volontà del romanzo di parlare apertamente a tutti. Comencini è considerato un regista del disimpegno, tanto che anche Tutti a casa è stato guardato con un certo sospetto da una parte della critica marxista, e per il resto la sua filmografia parla di un carattere volutamente nazionalpopolare, che si tratti di dramma o di commedia, con un’attenzione agli ultimi che non si muove mai nel campo dell’Ideale, pur mantenendo una veridicità figlia dell’approccio neorealistico. Un cinema realista, nell’accezione negativa che gli affiderebbe Pasolini, ma in realtà profondamente sincero, e così diretto da essere in grado di penetrare con facilità nelle masse.

La ragazza di Bube, che viene girato nel 1963 per uscire in sala all’inizio dell’anno successivo, è il risultato perfetto dell’incontro tra le filosofie di Cassola e Comencini. Il film è così aderente al romanzo da risultare a tratti quasi pedissequo, come se l’inquadratura in sé e per sé fosse inessenziale e bastasse accomodarsi alla lettura del romanzo: una scelta evidente, tesa a rimarcare il valore del racconto in quanto tale, senza alcun bisogno di orpelli eccessivi o di abbellimenti di sorta. Comencini conferma il suo talento espressivo nel mettere in scena la vita contadina, con una forma di rispetto pudico e forte tensione drammatica, e il suo film crede molto nei suoi personaggi, pur tenendosi a distanza (questa scelta trasmette ancora il senso di adattamento di un altro mezzo espressivo, ed è forse l’aspetto meno convincente del film, che avrebbe meritato un trattamento più virulento, sanguigno, pulsante come l’amore un po’ ingenuo un po’ disilluso e molto castrato tra i due giovani). E se appare evidente come Claudia Cardinale e George Chakiris siano ben oltre l’età dei personaggi che incarnano – Chakiris è addirittura trentenne – questo non toglie veridicità a una vicenda che vuole diventare anche racconto dell’Italia, della perdita dell’innocenza ma anche dello smarrimento dei valori che la portarono a liberarsi del gioco nazi-fascista. È proprio in questo che si avverte la capacità di Comencini e Fondato di leggere Cassola: la disillusione verso l’Italia repubblicana è enorme, ma Mara è cresciuta, e non ha ceduto (lei) alle lusinghe del contemporaneo, non si è lasciata blandire dalla vacua comodità borghese, non ha accettato di dimenticare Bube e con lui la Resistenza e ciò che ha significato veramente. La lotta di Liberazione ha avuto successo, ma a essere imprigionati sono stati i liberatori, e non gli aguzzini. Mara lo sa, e non prova pentimento quando incontra dopo anni Stefano, l’uomo che avrebbe potuto sposare abbandonando Bube al suo destino, su un treno. Nello sguardo fiero di Claudia Cardinale, in una delle sue migliori interpretazioni, c’è il senso di un romanzo, di una poetica, di una filosofia espressiva. Si scambiò tutto questo per “disfattismo”, per negazione dell’epica nazionale. Il tempo per rimediare c’è, sempre che si riscopra davvero il carattere dominante della dialettica.

Alla prima curva, si scoprì la Valdelsa.
C’era un mare di nebbia, laggiù:
da cui emergevano come isole le sommità delle collinette.
Ma il sole, attraversando coi suoi raggi obliqui la nebbia,
accendeva di luccichii il fondovalle.
Mara non distoglieva un momento gli occhi
dallo spettacolo della vallata che si andava svegliando
nel fulgore nebbioso della mattina.
Carlo Cassola, La ragazza di Bube
Info
Una clip de La ragazza di Bube.

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