La donna della domenica

La donna della domenica

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Tratto da un celebre romanzo di Fruttero&Lucentini, La donna della domenica di Luigi Comencini è un mix di giallo e commedia italiana di costume e caratteri, che riflette intorno all’esplosione dell’erotismo e della pornografia nella vita quotidiana dell’Italia del suo tempo. Elegante, ben fatto, interpretato da un sontuoso cast di attori italiani e internazionali. Le belle coproduzioni italiane di una volta. Disponibile su Film&Clips.

Baaaaaston!

Torino. L’architetto Garrone, patetico uomo attempato scosso da inusitate voglie erotiche, viene trovato assassinato nel suo studio. Il commissario Santamaria, coadiuvato da alcuni suoi collaboratori, si mette a indagare nell’alta società torinese frequentata dalla vittima. Tra i maggiori indiziati vi sono la signora Anna Carla Dosio, splendida moglie di un noioso industriale, e il suo amico Massimo Campi, gay non dichiarato che vive la propria vita privata nell’ombra. Disgustata dalla volgarità di Garrone, la donna ha infatti scritto un bigliettino ironico all’amico (senza inviarlo) in cui dice di dover eliminare l’architetto per l’indecenza inopportuna dei suoi comportamenti. Il bigliettino finisce ugualmente in mano alla polizia, ma i due non sono gli unici a ritrovarsi sotto i riflettori dell’indagine; anche un gallerista e un esperto d’arte sembrano aver avuto i propri interessi a eliminare Garrone. A poco a poco Anna Carla, da sospettata, si tramuta in aiutante del commissario, ed entrambi sembrano molto attratti uno dall’altra… [sinossi]
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Noto romanzo giallo della premiata ditta Fruttero&Lucentini, La donna della domenica si tramutò nel 1975 in un film piuttosto celebre di Luigi Comencini, che si inserisce in una fase creativa dell’autore segnata da una certa misantropia, più o meno sottilmente feroce. Se n’era ravvisata qualche traccia nell’acredine, segnata da humour nero, di Lo scopone scientifico (1972), e assumerà tratti più consistenti in Il gatto (1977), L’ingorgo (1979), Voltati Eugenio (1980) e Cercasi Gesù (1982). In La donna della domenica tale tratto pessimistico nei confronti del genere umano si concentra ancora in un disegno di commedia di costume e di caratteri, collocata nella medio-alta borghesia torinese. È un’idea di commedia che tiene ancora presente alcune convenzioni della nostra tradizione, a partire dalla macchietta dialettale, sia nei ruoli principali (accento torinese) sia in quelli secondari, specie per le figure di certi poliziotti di accento siciliano. L’indagine gialla, però, prende luogo soprattutto tra eleganti e un po’ ipocriti ambienti di borghesi e industriali, di cui è un alto esempio la signora Anna Carla Dosio, una dei principali sospettati per l’omicidio dell’architetto Garrone, dato che la signora si è lanciata con un suo amico, Massimo Campi, in un vacuo gioco linguistico sulla pronuncia di Boston lasciando traccia scritta di voler eliminare Garrone per la sua inopportuna volgarità.

Il breve ritratto di Garrone, che in quanto vittima esce ovviamente presto di scena, introduce a un altro elemento decisivo; la misantropia comenciniana prende infatti qui forma anche in un diffuso senso di repulsione per la fisicità e per le sue funzioni più votate al piacere, al centro di una costante enfasi specie tramite la figura ridicola, sozza e lasciva dell’architetto. La sua propensione al piacere in età più che matura, la sua tendenza al voyeurismo, sono narrate con insistito senso dell’orrido (la linguina fatta ad Anna Carla in uno dei flashback), benché non si tralasci anche uno sguardo di comprensione e pietas umana nei suoi confronti, soprattutto se rapportato al contesto sociale in cui si muove. Disprezzato e ostracizzato un po’ da tutti, Garrone è mostro in mezzo a mostri che magari non espongono le proprie voglie in modo altrettanto inopportuno, ma che comunque vivono in mezzo a una montagna di meschinità e ipocrisie da alta società.

Più in generale, questo diffuso senso di repulsione per il piacere, specie se identificato in un corpo anziano, è collocato e giustificato in un più ampio contesto sociale dell’Italia del tempo che ruota intorno al sopravvenuto ampio consumo della pornografia. Tema, peraltro, che ritorna spesso, anche con maggiore enfasi e trasformato in primario focus narrativo, in altre opere italiane del tempo; basti pensare a Il comune senso del pudore (Alberto Sordi, 1976) e alle relative ricadute in ambito di commedia sexy, dove talvolta le vicende comprendono secondariamente puntatine di marito e moglie, o amante, in qualche cinema a luci rosse. In La donna della domenica ciò si tramuta in un filo rosso che tiene insieme un po’ tutta la vicenda, sostanzialmente incardinata intorno a un diffuso sentimento di «mondo che cambia», con sommo sbigottimento per figure attempate o anziane, abbastanza disgustate non solo dal conclamato erotismo tardivo di figure come Garrone, ma anche da un generale allentamento dei costumi, che portano le prostitute a svolgere il proprio lavoro fin sotto casa.

Sostanzialmente La donna della domenica racconta l’immortale mentalità provinciale italiana, fatta di facili condanne segnate da un’inveterata cultura cattolica, e dal guardare le pagliuzze dei giardini altrui senza vedere mai la trave nel proprio, anche in una metropoli come Torino, popolata nel film di Comencini da pettegolezzi e figure perlopiù attempate, sdegnate nel loro facile moralismo. Per alcuni personaggi Comencini tenta anche il ritratto in profondità, ma si avverte una costante tensione tra il desiderio di costruire un adeguato background psicologico intorno alle proprie figure e le necessità di un racconto più agile e stringato che deve tenere conto del meccanismo giallo. Ne sono prova i due personaggi, pur fondamentali, di Anna Carla Dosio e di Massimo Campi. Anna Carla è raccontata con un certo sentimento ambiguo, figura altezzosa, snob e sgradevole che tuttavia si rivela pure gustosa nel corso dell’indagine. La sua presenza nel racconto resta comunque più o meno solo una bella presenza, necessaria per le logiche commerciali e coproduttive del film (non a caso è chiamata a incarnarla la splendida Jacqueline Bisset). Il caso di Massimo Campi è ancora più significativo. Interpretato da una star francese (Jean-Louis Trintignant), si trova al centro di un evidente tentativo di approfondimento, che tuttavia non trova mai una vera compiutezza. Omosessuale incapace di viversi la propria vita alla luce del sole, la figura di Massimo tradisce ogni tanto un certo intimo travaglio, che non va mai al di là di un limitato e rapido abbozzo.

Calato nei suoi eleganti salotti e nelle sue fastose ville fuori città, La donna della domenica resta dunque sostanzialmente gradevole intrattenimento superficiale che racconta, a suo modo coerentemente, un mondo proiettato a vivere solo la superficie delle cose. Sguardo perplesso e vagamente risentito è quello del commissario Santamaria, impersonato da Marcello Mastroianni, estraneo a questo bel mondo torinese, scapolo e solitario, decisamente a disagio con figli di industriali e insulsi giochetti linguistici. Sull’esplosione di una nuova, grande volgarità, pare appuntarsi anche lo sguardo perplesso di Comencini, ben riassunto nella scelta iper-simbolica dell’oggetto contundente che funge da arma del delitto: un vistoso fallo di pietra, prodotto in serie da artigiani della provincia come oggetto elegantemente provocatorio, da piazzare in ricchi salotti desiderosi di esibire una superficiale adesione a nuove forme d’arte che testimonino una falsa modernità di vedute.

Per quanto riguarda il meccanismo giallo, La donna della domenica non riesce più di tanto a conciliare i due lati della sua doppia natura di giallo e commedia di costume. L’intrigo si svolge con modalità talvolta macchinose, mentre alcune soluzioni narrative appaiono un po’ scolastiche e ingenue: nel primo quarto d’ora si mette in bocca a tutti i personaggi almeno una battuta che minacci di morte il povero Garrone, mentre nella sequenza dell’omicidio nel cimitero dei mobili d’arredamento Comencini riunisce un po’ forzatamente tutti i suoi maggiori indiziati nello stesso luogo (il mercato del Balon) per distribuire a pioggia il sospetto su tutti quanti. Di per sé la sequenza è ben ideata e realizzata, una delle più avvincenti dell’intero film, ma a patto che si accetti la richiesta di credulità (decisamente alta) del casuale ritrovarsi di tutti in un solo luogo.

Alcune piccole soluzioni, d’altronde, sembrano tenere a mente il coevo giallo italiano, fatto di inquietudini e tinte forti. In una generale assenza di efferatezza dei delitti, Comencini dà però bel risalto a inquietanti sineddochi visive e narrative, come nel caso della minacciosa automobile con faro e parafango ammaccati, segnale dell’assassino in avvicinamento. Vi è anche un altro leit-motiv del giallo nostrano, il testimone fondamentale con disabilità mentale che ha difficoltà a comunicare o ricordare ciò che ha visto, e che almeno in questo caso non va incontro a una brutta fine. In qualche modo La donna della domenica allude anche a piccoli grandi malcostumi italiani, poiché il movente dell’omicidio ruota intorno a traffici di corruzione e lottizzazione di terreni. Ma l’approccio resta di nuovo generico e depotenziato, quasi al livello di interscambiabilità del movente con qualsiasi altro. Tuttavia, l’identificazione finale dell’assassino trova forse il momento più compiuto del rapporto tra giallo e commedia di costume all’italiana. Perché l’assassino, almeno fino allo svelamento finale, è sostanzialmente narrato come una macchietta comica, che rivela il suo volto tetro solo nel rovesciamento del finale. Rovesciamento, d’altra parte, che conferma soltanto le premesse insite nel ritratto da commedia. Una macchietta è comunque un mostro nell’ingigantimento dei suoi tratti caratteriali, e lo svelamento di una reale mostruosità omicida, narrata senza alcuno smussamento da humour nero ma con vero senso d’orrore, appare la naturale conseguenza delle premesse comiche del personaggio.

Giunto all’esatta metà del decennio in cui la commedia italiana va incontro a un vero processo di sporcamento e irrancidimento, La donna della domenica sembra dunque rivelarne implicitamente le più estreme conseguenze, il volto oscuro e psicotico che si è tenuto sottotraccia fino a quel momento. D’altra parte, il breve frammento in flashback che in prefinale racconta l’azione omicida si delinea come il culmine perfetto in cui vengono a incrociarsi le diverse istanze evocate da Comencini lungo il racconto. La repulsione per una nuova fisicità e per una dilagante cultura dell’erotismo finisce per investire anche una imprevedibile figura anziana, trasformata in mostro da una serie di stridenti accessori di sollecitazione erotica – la parrucca bionda, l’impermeabile trasparente che, come sottolinea un testimone nel film, sembra un preservativo, il fallo di pietra scagliato con violenza su Garrone, il digrigno del volto dell’assassino in mezzo alle lacrime. È un frammento potente, orrido forse oltre le sue intenzioni, che si inserisce in un globale progetto di intrattenimento elegante e intelligente.

La donna della domenica è in tal senso anche tripudio dello stardom e di una sapiente industria italiana. Con le sue debolezze, i suoi momenti di allentamento e stanca; il flirt tra Santamaria e Anna Carla lascia il tempo che trova, ma risponde anche a precise convenzioni letterarie e commerciali che dimostrano lo stato di salute di un’industria – un flirt tra i due principali protagonisti, per giunta belli e affascinanti come Mastroianni e la Bisset, rispondeva a precise aspettative del pubblico. Insomma, niente di trascendentale, ma ben fatto. Un film medio, fatto come si deve.

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