Delta

Il delta del Po è l’affascinante sfondo su cui si stagliano le vicende dei protagonisti del nuovo film di Michele Vannucci, a sei anni di distanza dall’esordio Il più grande sogno; peccato che il regista non sembri amalgamare in modo opportuno un interessante sguardo antropologico con i ritmi e le motivazioni del thriller.

In mezzo scorre il fiume

Il Delta del Po è il teatro dello scontro tra bracconieri e pescatori. Osso vuole difendere il fiume dalla pesca indiscriminata della famiglia Florian, in fuga dal Danubio. Insieme ai Florian c’è Elia, che in quelle terre ci è nato. Travolti dalla violenza cieca e dalla sete di vendetta, i due si affronteranno tra le nebbie del Delta scoprendo la propria vera natura in un duello che non prevede eroi. [sinossi]

Da quando Matteo Rovere e Sydney Sibilia hanno dato vita a Grøenlandia è apparso evidente come l’intenzione fosse quella di aprire un varco a un modo di “fare cinema” che non si attenesse alle regole (non) scritte della produzione mainstream italiana contemporanea: agganciandosi al treno già vincente di Smetto quando voglio di Sydney Sibilia – il capostipite della saga nel 2014 vide la luce solo grazie all’intervento di Domenico Procacci con Fandango – Paris e Rovere hanno proposto al pubblico di muoversi in territori se non selvaggi perlomeno poco battuti nell’immaginario nazionale, come testimoniano titoli quali Il primo re dello stesso Rovere, con il suo peplum parlato in proto-latino, Il campione con cui Leonardo D’Agostini tentava la sortita nel film sportivo e calcistico perl l’esattezza, i thriller La belva di Ludovico Di Martino e The Hanging Sun di Francesco Carrozzini, la ricostruzione storica L’incredibile storia dell’Isola delle Rose e Mixed by Erry (entrambi di Sibilia), e la Taranto post-apocalittica raccontata da Alessandro Celli in Mondocane. Una dimensione produttiva che proseguirà nell’immediato futuro, a giudicare dalle premesse contenute in Come pecore in mezzo ai lupi di Lyda Patitucci, La coda del diavolo di Domenico Emanuele de Feudis, e ovviamente l’atteso Il sergente nella neve che Rovere ha tratto dalle pagine di Mario Rigoni Stern. È in questo contesto che si è sviluppato Delta, secondo lungometraggio affidato alle cure registiche di Michele Vannucci, che l’ha anche sceneggiato insieme a Massimo Gaudioso, Fabio Natale, e Anita Otto. Questa losca e turpe vicenda ambientata nel delta del Po arriva in sala a un anno esatto di distanza dall’annuncio dell’acquisizione di Grøenlandia da parte di Banijay Italia Holding, e a poco meno di dodici mesi dalla notizia che Delta sarebbe stato presentato in anteprima mondiale al Festival di Locarno, proiettato in Piazza Grande. Lo scarso riscontro che il film sta ottenendo al botteghino, dove in una decina di giorni di programmazione non ha raggiunto neanche 200.000 euro di incasso complessivo, sembra ribadire la scarsa attenzione che il pubblico italiano sta riservando alle produzioni di Grøenlandia, come certifica anche Mixed by Erry, che in un mese ha raggranellato meno di un milione di euro.

Eppure l’opera seconda di Vannucci dopo l’interessante Il più grande sogno – prodotto da Giovanni Pompili con Kino Produzioni, che anche qui partecipa in co-produzione – parrebbe possedere a prima vista tutti gli elementi per attrarre il pubblico: un’ambientazione suggestiva, le fosche timbriche del thriller che fanno capolino, due attori affermati quali Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio entrambi reduci da successi recenti tanto al cinema – Borghi con Le otto montagne – quanto sulle piattaforme – Lo Cascio con The Bad Guy. Vannucci dimostra fin da subito di aver ben chiaro cosa vuole dal suo film, e di fatto lo scinde in due parti separate in modo netto: c’è una prima parte in cui a dominare è la scenografia naturale, con la sua inquietante presenza (non si è dopotutto così lontani dalle ambientazioni che fecero la fortuna del gotico padano di cui fu ed è maestro indiscusso Pupi Avati), cui fa da contraltare una seconda metà concentrata con maggior forza sulla dialettica tra i due personaggi in scena, l’ambientalista Osso (Lo Cascio), che lotta contro i maltrattamenti subiti dalla fauna e dalla flora locale a causa dell’invadenza industriale ma anche della pesca selvaggia, ed Elia, italiano praticamente adottato dai Florian, famiglia clanica rumena dedita al bracconaggio. Se l’incipit segue in modo quasi documentaristico il ritmo del luogo, e le sue esigenze, il genere irrompe a seguito del punto di svolta narrativo, che spinge Delta verso le timbriche del thriller, e del film di vendetta. L’uomo disperso nella wilderness non può che essere visto nella sua intimità dalla wilderness stessa – in un ideale quale nietzschiano –, e così il probo Osso ribollirà di sentimenti tutt’altro che giusti; se alcune dinamiche del “duello” rimandano in modo evidente alla struttura del western, anche per via della presenza dei corpi umani in una ambiente ostile, è evidente come Vannucci occhieggi anche in direzione di Sam Peckinpah e del suo Cane di paglia.

Per riuscire però in un parallelismo così ambizioso Delta dovrebbe poter contare su una scrittura meno superficiale di tutte le figure di contorno, che sembrano invece occupare la scena solo per garantire lo sviluppo della dinamica contrappositiva tra Elia e Osso, con l’elemento collettivo che è l’epicentro iniziale del discorso che viene progressivamente meno, sostituito con troppa nettezza dalla lotta sempre più barbarica tra i due protagonisti. Così facendo paradossalmente si depotenzia anche la statuaria presenza naturale del delta del Po, e le atmosfere plumbee ben disegnate dalla fotografia di Matteo Vieille (che sa mescolare lo sguardo documentario alle esigenze speculative del genere) rischiano di divenire esornative, e poco penetranti. Michele Vannucci conferma il proprio talento, ma ancora deve trovare una reale forma espressiva che gli permetta di ostentarlo in modo continuo e organico al racconto. In qualche modo lo stesso limite che sotto il profilo strettamente produttivo continua a evidenziarsi nelle produzioni Grøenlandia, alla ricerca di una internazionalizzazione dell’oggetto cinematografico che deve però necessariamente passare dall’unicità – o almeno dall’evidente originalità – della proposta, che per ora ancora sembra mancare.

Info
Il trailer di Delta.

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