La guerra del Tiburtino III

La guerra del Tiburtino III

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Con La guerra del Tiburtino III la quarantaduenne Luna Gualano, accompagnata dal fido Emiliano Rubbi in fase di scrittura, torna sui temi portanti del suo approccio alla regia, vale a dire la messa in scena del genere – nel caso specifico il tema dell’invasione aliena – per affrontare una critica pungente ma mai troppo cattiva verso la società contemporanea. Produce la Mompracem dei Manetti bros., Carlo Macchitella, e Pier Giorgio Bellocchio (anche tra gli interpreti). In Alice nella Città alla Festa di Roma e poi in sala.

Santa Maria del Soccorso alieno

Al Tiburtino III, nell’estrema periferia romana, un piccolo meteorite cade dal cielo e viene raccolto da Leonardo De Sanctis, il padre di Pinna, uno spacciatore del posto. Nei giorni successivi, quasi tutti gli abitanti del quartiere iniziano a comportarsi in modo strano, alzando delle vere e proprie barricate attorno al loro territorio. Pinna decide di indagare sul fenomeno insieme ai suoi amici e a Lavina Conte, famosa fashion blogger rimasta intrappolata suo malgrado nel quartiere. Gli alieni, partendo dal Tiburtino III, sono intenzionati a conquistare il mondo. A Pinna e al suo improbabile gruppo, il compito di salvarlo. [sinossi]

“If you were going to take over the world, would you blow up the White House, Independence Day style, or sneak in through the back door?”; questo l’interrogativo che si ponevano i protagonisti di The Faculty, geniale compendio di sessant’anni di science-fiction statunitense, dalla letteratura al cinema, che nel 1998 Robert Rodriguez portò sugli schermi partendo da una sceneggiatura di Kevin Williamson, all’epoca sugli scudi grazie al successo planetario di Scream. Lì la vicenda si svolgeva nel liceo di Herrington, cittadina di fantasia nel bel mezzo e nel bel nulla dell’Ohio: i “baccelloni” sotto forma di velocissime entità verminose entravano negli orifizi per trasformare gli esseri umani in corpi senza più alcuna volontà reale, seguendo dunque il solco della tradizione. Venticinque anni più tardi, in un autunno romano caldissimo, arriva dapprima sugli schermi di Alice nella Città – realtà autonoma e parallela alla Festa del Cinema che continua a gettare uno sguardo per niente banale sulla produzione nazionale – e quindi in sala subito dopo Halloween La guerra del Tiburtino III, che sembra in una certa qual misura guardare proprio dalle parti di The Faculty, e del suo senso. A dirigere questa produzione Mompracem (la realtà creata da Antonio e Marco Manetti insieme a Carlo Macchitella e a Pier Giorgio Bellocchio, e a cui si devono – eludendo i film firmati direttamente dai fratelli – tra gli altri passaggi attorno al genere quali The End? L’inferno fuori e Il mostro della cripta di Daniele Misischia, e Tutte le mie notti di Manfredi Lucibello) è Luna Gualano, quarantaduenne foggiana già assurta agli onori e agli oneri della critica con Psychomentary, e quindi con Go Home – A casa loro e Credimi!; in un pugno di film si fa trasparente la ricerca di uno sguardo coerente sulla società contemporanea che sia in grado di utilizzare il “genere” come puntello, grimaldello narrativo atto a scoperchiare il proverbiale nido di vipere.

Scritto, come già Go Home, insieme a Emiliano Rubbi, La guerra del Tiburtino III parte dalla medesima intuizione di Williamson/Rodriguez, vale a dire l’invasione aliena non dalla porta principale, ma da una situazione socialmente e geograficamente periferica: per chi non fosse avvezzo della topografia romana, il Tiburtino III fu creato come borgata dal Fascismo sul finire degli anni Trenta con il nome Pietralata II, per poi essere quasi completamente ridefinito sotto il profilo urbanistico a cavallo tra gli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta. A nessuno, va detto, verrebbe in mente di iniziare un’invasione partendo da lì… L’intelligente intuizione di Gualano e Rubbi si mescola ad altre potenziali riletture dei classici dello sci-fi, con la suggestione della tanto declamata – da destra – sostituzione etnica che si fa ovviamente spazio e che allarga il campo delle letture, così come l’ingresso in scena di una fashion blogger che serve a suggerire una dialettica socio-urbanistica tra le zone del proletariato e le aree facoltose della Città Eterna. A svolgere la propria funzione sono in particolar modo l’incipit e la prima metà del film, che colgono in più occasione il centro del bersaglio grazie a una divertita caratterizzazione dei personaggi e alla facilità di accumulo di situazioni e ancor più di schizzi impressionistici.

Pur proseguendo poi su timbriche ironiche e sarcastiche, non così lontane da quelle portate in scena ventitré anni fa dai Manetti bros. all’epoca di Zora la vampira, La guerra del Tiburtino III inizia però a mostrare la corda, perché la sostanza di cui si compone la narrazione si mostra più friabile di quanto potesse apparire all’inizio e le intuizioni si fanno via via sempre meno dotate di mordente, quasi che il film subisse lo stesso destino di chi viene “posseduto” dagli alieni. Dopo gli zombie di Go Home, i supereroi di Credimi!, ecco dunque l’invasione degli ultracorpi a Santa Maria del Soccorso o giù di lì, nell’ennesima mappatura di una città di cui spesso si ripercorrono i luoghi più consueti, e che trova nello sguardo ancora in parte immaturo ma sicuramente non privo di idee di Gualano una sorta di riscatto, tanto politico quanto cinematografico. Quel che ne viene fuori è un’opera sanamente sgangherata, che non ha forse mai il coraggio del vero affondo (si pensi a cosa osavano Joe Cornish con Attack the Block e più di recente Sébastien Vaniček con il bel Vermines visto alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia), ma riesce a divertire, grazie anche a un cast in bello spolvero. Cinema leggero, forse leggerissimo – ed è questa la debolezza più manifesta –, ma che ha almeno la voglia di muoversi in territori disabitati dalla produzione canonica.

Info
La guerra del Tiburtino III, il trailer.

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