Twin Peaks – Ep. 14

Twin Peaks – Ep. 14

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Siamo come il sognatore, che sogna e poi vive dentro al suo sogno. Ma chi è il sognatore? Twin Peaks prosegue verso la sua inevitabile fine, sempre che questo termine abbia un reale senso, e lo fa attraversando un episodio che è visione del nucleo, focalizzazione ulteriore del centro del discorso; solo attraverso l’onirico il reale acquista la propria essenza. Solo nella divaricazione l’unico ritrova la propria funzione. Un segmento teorico, ma dalla forte impronta narrativa.

De rerum natura

Gordon chiama l’ufficio dello sceriffo di Twin Peaks; Frank gli parla delle pagine del diario di Laura Palmer trovate da Hawk che suggeriscono l’esistenza di due Cooper. Albert racconta a Tammy l’origine del termine Rosa Blu. Albert e Gordon parlano con Diane dell’anello trovato nello stomaco di Garland Briggs, e Diane rivela che Janey-E è la sua sorellastra. Gordon incarica l’ufficio dell’FBI di Las Vegas di arrestare i Jones come sospetti per un duplice omicidio. Chad viene arrestato per le sue attività criminali. Bobby, Andy, Frank e Hawk seguono le istruzioni lasciate dal maggiore Briggs e trovano Naido svenuta nel bosco; Andy viene trasportato alla presenza del Fuochista, che gli mostra la verità su Cooper… [sinossi]

Ci sono due passaggi, nel Libro I del De rerum natura di Tito Lucrezio Caro, che incredibile anche solo a pensarsi, sembrano sposarsi alla perfezione con l’intero intrico filosofico e visivo di Twin Peaks, e in particolar modo con la quattordicesima parte: il primo recita «Hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest non radii solis neque lucida tela diei discutiant, sed naturae species ratioque» (“Occorre dunque che l’errore dell’animo e queste tenebre non siano dissolte dai raggi del sole, né dai lucidi dardi del giorno, ma dall’aspetto e dall’intima legge della natura”), mentre il secondo insegna che «Haud igitur penitus pereunt quaecumque videntur, quando alit ex alio reficit natura nec ullam rem gigni patitur nisi morte adiuta aliena» (“Dunque ogni cosa visibile non perisce del tutto, poiché una cosa dall’altra la natura ricrea, e non lascia che alcuna ne nasca se non dalla morte di un’altra”). Per quanto possa sembrare azzardato andare a ricercare il senso intimo della nuova avventura firmata da David Lynch e Mark Frost nelle parole di un poeta epicureo romano del I secolo avanti Cristo, non c’è dubbio che siano molte le suggestioni sprigionate dall’episodio numero quattordici, il quintultimo. Nella oramai consueta ricerca del punto di incontro tra apparato onirico e percezione del vero, la storia con protagonisti Cooper, il suo doppelganger, e tutto il microcosmo che ruota loro attorno pone l’accento su un punto cruciale, una domanda di fronte alla quale non è possibile ritrarsi all’infinito: cosa può essere davvero considerato naturale? Non è certo tale la Loggia Nera, dove il male prolifera e si rigenera di volta in volta, sotto le forme più mostruose ma anche nelle vesti dell’anonimo umano; ma è forse più naturale il mondo di Mr. Jackpot, o ancora quella piccola Twin Peaks dove ogni singolo personaggio ha dovuto combattere una battaglia infinita in sé e al di fuori di sé contro il male?
Mentre i nodi vengono al pettine, e le sottotrame o si sbrindellano oppure in modo progressivo confluiscono in un unico magma, alveo di un fiume che scorre con sorprendente potenza e vigore anche ora che si sono sfiorate le quattordici ore di racconto, Lynch pone i suoi “eroi” e i suoi antagonisti di fronte al più naturale dei congegni: la mente umana nello stato di sonno.

Prende l’abbrivio da un sogno, in qualche modo, il quattordicesimo segmento: Gordon Cole racconta ad Albert e Tammy un frammento onirico della notte precedente, nel quale è a bere un caffé a Parigi con Monica Bellucci e due suoi amici, e la modella e attrice gli rammenta una massima destinata a non passare mai di moda. “Siamo come il sognatore, che sogna e poi vive dentro al suo sogno. Ma chi è il sognatore?”, Già, altra domanda ineludibile. Chi è il sognatore? E perché sta sognando quel che sta sognando? Come già anticipato in alcune letture delle precedenti puntate, Twin Peaks risveglia nel 2017 il mostro dormiente nell’incoscio di Lynch/Frost, e di milioni di appassionati seguaci in giro per il mondo. Risveglia un sogno. Lo rende di nuovo reale, e dunque naturale. Rende una particella della fase REM oggetto. Lo trasforma in materia, che non è quella di cui sono fatti i sogni, evidentemente… Siamo come il sognatore, scava nella mente questo passaggio. Siamo-come-il-sognatore. Stiamo eternamente sognando dentro il nostro stesso sogno, e il sogno è quello di sognare. Siamo in un loop, come il woodsman che ripete ossessivamente “Got a Light”, e che torna ad apparire agli occhi di un incredulo Andy, a sua volta costretto al sogno, a scardinarsi dalla propria struttura e a sprofondare in nuove concezioni del reale, del concreto, del credibile.
Si sviluppa attraverso alcuni passaggi onirici, la parte numero quattordici: il sogno tornato alla mente di Cole; l’assunzione nella Loggia Bianca di Andy, che si ritrova a cospetto del “fireman”, il gigante interpretato da Carel Struycken, e “salva” Naido, la donna cieca già apparsa a Cooper nell’incipit del terzo episodio; anche l’inglese Freddie Sykes incontra in sogno il “fireman”, e segue poi una volta svegliatosi le direttive ricevute, come confida a James Hurley. Tre oltrepassamenti della soglia del tangibile, là dove solo l’immagine può trovare una propria consistenza. Perché non è detto che ciò che si può toccare sia vero, né il contrario: ci si può imbattere in “tulpa”, come li definisce Tammy.

C’è un momento in cui le cose smettono di diventare tangibili, ma non perdono la propria verità. Lo testimonia anche la presenza più assente (o il contrario, se si preferisce) di Twin Peaks, quella di Phillip Jeffries che in Fuoco cammina con me venne interpretato da David Bowie. Non c’è stato modo di girare neanche un’inquadratura con il morente Bowie, privilegio invece ottenuto per altri “cadaveri eccellenti” della serie – ovviamente su tutti Miguel Ferrer e Catherine Coulson, ma non solo – eppure Jeffries è lì, fantasma duplice perché già ectoplasma in scena venticinque anni fa e di nuovo spettro ora, spettro reale, non più in vita se non in quell’immagine che permette a Cole e a Cooper di essere ancora giovani. In bianco e nero come sempre il passato, che a sua volta è sempre evanescente e in dissolvenza incrociata. Finisce in sé per rigenerarsi all’infinito, quell’immagine, dolorosa e bellissima di Bowie in scena. Finisce in sé e si rigenera all’infinito anche il corpo dell’immagine di Twin Peaks, in cui eroi solo all’apparenza sprovveduti – Andy e tutti gli uomini al servizio dello sceriffo Truman, eccezion fatta per il manigoldo Chad che si ritrova finalmente dietro le sbarre – possono ancora riuscire a cambiare lo stato delle cose. Per sempre? Improbabile. Ma ha davvero importanza?
Intanto, solitaria come sempre, la tragica figura di Sarah Palmer si aggira nella notte alla ricerca di un bicchiere da buttar giù al bancone di un fetido locale, dove un fetido avventore la aggredisce verbalmente. Nella risposta della madre di Laura, in quel volto/buco nero dal quale spunta l’ombra di una mano e di una bocca dentata prima di vibrare un colpo mortale alla giugulare – con la tecnica dei felini che Sarah guardava di notte in televisione, intenti ad aggredire e scarnificare un bufalo – si pone di nuovo l’interrogativo di fondo: cos’è reale? Cosa è davvero tangibile? Ma soprattutto: cos’è naturale? Può esserlo anche il male più mostruoso e misterico, quello che non ha nome se non nei miti ancestrali? Una risposta, in attesa che la forniscano Lynch e Frost, la si può trovare una volta di più in Tito Lucrezio Caro: «Omnis cum in tenebris […] vita laboret». Poiché tutta nelle tenebre la vita si travaglia…

Info
La sigla della nuova serie di Twin Peaks.
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