Berlinale 2018
Berlinale 2018, sessantottesima edizione. La solita fiumana di titoli e di sezioni per un programma smisurato, ma mai respingente: la kermesse berlinese resta un fulgido esempio di festival pensato e organizzato per il pubblico, e in seconda battuta per la stampa. Ci prepariamo alla consueta immersione e ricerca tra Concorso, Berlinale Special, Forum, Panorama, Generation…
Il bicchiere di plastica (a 2 euro). La nuova rossa fiammante borsa (con chiusura a strappo). Il programma cartaceo graficamente rinnovato (più agile, meno completo). E la temperatura quasi mite. Sono alcune delle novità della Berlinale 2018, in attesa di futuri scossoni ai vertici e di probabili cambi di rotta, magari di data. Staremo a vedere. Intanto, planati su Potsdamer Platz, siamo turbati da amletici dubbi: app ufficiale o vecchio caro programma cartaceo? Tradizione e innovazione, in fin dei conti, sono il fertile elastico della kermesse tedesca, ancorata alle retrospettive (per fortuna, visto che altri grandi festival ripiegano su sezioni-contenitore, traboccanti splendidi ma randomici restauri) e pronta ad abbracciare le serie per il piccolo schermo. Si guarda al cinema con un filtro un po’ troppo rigidamente socio-politico, ma allo stesso tempo si coccolano e crescono futuri spettatori con la sezione più agile e libera: Generation, affidabile fonte di piccole e grandi sorprese – resta memorabile, ad esempio, l’accoglienza del pubblico per Summer Wars, mirabolante conferma del talento di Mamoru Hosoda. Oppure il misconosciuto Loulou, l’incroyable secret di Éric Omond, tassello non secondario dell’onda anomala dell’animazione transalpina.
Sulla carta, a un primo sguardo, non sembrerebbe promettere mirabilie la Berlinale 2018. Ma anche in questo caso, è il solito elastico della tradizione e dell’innovazione, delle consuetudini e della ricerca. Cavalli vincenti e nomi nuovi, registi e film tutti da verificare. Anche da abbandonare subito. O da amare follemente… [continua a leggere]
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