Tre piani

Tre piani

di

Dopo quasi cinquant’anni di carriera, e al tredicesimo lungometraggio, Nanni Moretti con Tre piani per la prima volta si affida alla narrazione di qualcun altro, nello specifico il romanziere israeliano Eshkol Nevo. Nello spostamento da Tel Aviv a Roma questo racconto tripartito di borghesie in disfacimento perde la forte componente freudiana e lascia esclusivamente i fatti nudi e crudi. Ne deriva un’opera anodina, anonima, priva di spessore e (fattore ancor più grave) di umanità. Moretti, che appare anche in un ruolo minore, sembra guardare da fuori una storia che non gli appartiene, e che non sa neanche come tratteggiare. In concorso al Festival di Cannes.

Condominium

Al primo piano di una palazzina vivono Lucio, Sara e la loro bambina di sette anni, Francesca. Nell’appartamento accanto ci sono Giovanna e Renato, che spesso fanno da babysitter alla bambina. Una sera, Renato, a cui è stata affidata Francesca, scompare con la bambina per molte ore. Quando finalmente i due vengono ritrovati, Lucio teme che a sua figlia sia accaduto qualcosa di terribile. La sua paura si trasforma in una vera e propria ossessione. Al secondo piano vive Monica, alle prese con la prima esperienza di maternità. Suo marito Giorgio è un ingegnere e trascorre lunghi periodi all’estero per lavoro. Monica combatte una silenziosa battaglia contro la solitudine e la paura di diventare un giorno come sua madre, ricoverata in clinica per disturbi mentali. Giorgio capisce che non potrà più allontanarsi da sua moglie e sua figlia. Forse però è troppo tardi. Dora è una giudice, come suo marito Vittorio. Abitano all’ultimo piano insieme al figlio di vent’anni, Andrea. Una notte il ragazzo, ubriaco, investe e uccide una donna. Sconvolto, chiede ai genitori di fargli evitare il carcere. Vittorio pensa che suo figlio debba essere giudicato e condannato per quello che ha fatto. La tensione tra padre e figlio esplode, fino a creare una frattura definitiva tra i due. Vittorio costringe Dora a una scelta dolorosa: o lui o il figlio. [sinossi]

“Era trascorso qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatisi in quell’immenso condominio nei tre mesi precedenti. Ora che tutto era tornato alla normalità, si rendeva conto con sorpresa che non c’era stato un inizio evidente, un momento al di là del quale le loro vite erano entrate in una dimensione chiaramente più sinistra”. Così inizia Il condominio, noto anche come Condominium (High Rise è il titolo originale), uno dei più celebrati romanzi di J.G. Ballard, pubblicato nel 1975. Un libro che vede nel concetto stesso di condominio la base portante dell’ideologia borghese, e dunque del disfacimento orrorifico della società. C’è un condominio alla base anche di Tre piani, tredicesimo lungometraggio diretto da Nanni Moretti in quarantacinque anni di carriera. Sulla carta a sua volta avrebbe tutto per muoversi in direzione dell’orrore: un anziano su cui grava il dubbio che possa aver abusato di una bambina di sette anni, sua vicina di casa; il figlio dissoluto di due stimati giudici, che uccide ubriaco una donna per strada e non sembra pentirsi di nulla; una giovane madre che, con il marito lontano per lavoro, inizia a vivere allucinazioni sempre più vivide, in una follia forse ereditaria, visto che la sua di madre è in una casa di cura. Ma non esiste virata verso le timbriche più oscure in Tre piani, semmai una persistente sensazione di inadeguatezza al vivere, di disperazione latente anche quando le cose sembrano volgere al meglio. L’unica inquadratura che sembra poter suggerire una riflessione sul concetto di luogo condiviso della vita borghese è proprio quella che apre il film, un totale sulla palazzina della Roma bene immersa nel buio, immagine su cui scorrono i titoli di testa e che solo alla fine, un attimo prima dello stacco di montaggio, vede illuminarsi una stanza. C’è vita, suggerisce Moretti, anche nell’angosciante immobilità notturna di un palazzo, l’astratto che diventa suggestione del vivo, o meglio che contiene la vita e in qualche modo la segrega. Idee che sgorgano dalle pagine del romanzo di Eshkol Nevo, lo scrittore israeliano alla cui opera Moretti ha attinto, scrivendo poi la sceneggiatura a sei mani con Valia Santella e Federica Pontremoli, entrambe già al lavoro con il regista in passato (Santella per Mia madre, e Pontremoli per Il caimano e Habemus papam).

Il Michele Apicella di Bianca, trentasette anni fa, uccideva i suoi migliori amici perché lo avevano “tradito”, avevano dirazzato rispetto all’ideale di vita che sembravano all’apparenza aver “scelto”. L’anziana genitrice in Mia madre salutava il pubblico, e la vita, risponde alla domanda della figlia “A cosa stai pensando?” con un netto e incontrovertibile “A domani”. Non c’è dubbio che ragioni sul domani, e sul suo senso, anche Moretti, che per la prima volta decide di non scegliere di sviluppare una propria idea, ma di rielaborare il testo di qualcun altro. Il primo dubbio che emerge dalla visione del film riguarda proprio il concetto di adattamento. Moretti compie due atti di per sé deflagranti rispetto alla pagina scritta, perché dapprima compie un’operazione di spaesamento, spostando l’azione da Tel Aviv al centro di Roma, e quindi mette mano direttamente alla struttura del testo: Nevo elabora infatti il romanzo tripartendolo con nettezza, mentre in fase di sceneggiatura il film preferisce mescolare le vicende narrate, seguendole alternativamente ma senza stacchi bruschi. Questa scelta è pur comprensibile dovendo ragionare sull’immagine, e dunque su una cesura dei tempi e degli spazi completamente diversa da un romanzo, ma Moretti così agendo abbandona il principio portante del romanzo di Nevo, la riflessione sulla dinamica freudiana delle tre istanze della psiche, vale a dire Es, Io e Super-Io, e il conflitto che si ingenera tra esse. Da appassionato di psicanalisi Moretti tralascia quasi completamente il punto, preferendo concentrare l’attenzione sui fatti nudi e crudi del racconto. Ecco dunque la coppia con figlioletta di sette anni nella quale il padre inizia a sospettare che l’anziano vicino di casa abbia approfittato sessualmente della bimba; ecco la coppia di giudici che deve fronteggiare la dissoluzione di un figlio ventenne che rischia il carcere per aver investito e ucciso una donna mentre guidava ubriaco; ecco infine la neo-mamma con il marito lontano per lavoro che teme di star impazzendo, proprio come accaduto al momento del parto a sua madre. Tre storie che, come i tre piani della palazzina, restano inerti, immobili, granitiche. Sono lì, monoliti lanciati addosso al pubblico senza che i personaggi vengano realmente analizzati, e con loro le relazioni conflittuali che si sono venute a creare.

Se c’è vita, in Tre piani, lo si deve solo allo spettro del romanzo, in filigrana ancora leggibile. Se si può accettare anche con notevole interesse la decisione di Moretti di “demorettizzare” il film, asciugando ogni aspetto della sua poetica espressiva, è difficile non rendersi conto di come quest’atto di indubbio coraggio coincida con una vaghezza estetica e narrativa che finisce con inficiare del tutto le velleità del racconto. L’architettura della trama di per sé non contiene la speculazione sull’umano di Nevo: come le case vendute e senza più mobili anche il film di Moretti sembra vuoto, spento come le luci dell’incipit. Quell’umanità che ha sempre contraddistinto il suo cinema, così spietatamente analitico perché auto-analitico, diventa qui una scatola vuota, che non sa neanche trovare il conforto dell’estetica fine a se stessa – la messa in scena dichiara a gran voce tutta la difficoltà del far sua una materia altrui da parte del cineasta romano. Durante le due ore del film la macchina da presa di Moretti sembra sempre a disagio, quasi non volesse trovarsi a far parte della palazzina e delle sue turpi vicende: e quando deve muoversi al di fuori di quel contesto la situazione finisce per degenerare, come testimonia al di là di ogni ragionevole dubbio la sequenza in cui la sede dell’associazione di volontariato gestita da Tommaso Ragno (anche il ricco cast fatica a emergere) viene attaccata da un gruppo di fascisti razzisti che costringono alla fuga i presenti. Moretti, che ha sempre affrontato la borghesia in una prospettiva caustica ma interiorizzata e dunque virulenta nell’espressione – e vitale nella morte o nella follia, temi ricorrenti nel suo cinema – qui si accontenta del tipico racconto corale borghese che il cinema italiano filma con continuità da un ventennio a questa parte. La mancanza di personalità e l’incapacità di staccarsi da temi usurati e stantii (la crisi coniugale e il rapporto intergenerazionale sono tratteggiati senza particolare spessore) è tale che più che un film di Moretti Tre piani sembra una produzione di Domenico Procacci, così dominante da aver soffocato l’istinto alla ribellione – in primis a se stesso e al suo status – che è un tratto peculiare del regista. Balbettante compendio di riflessioni predigerite sulla famiglia e le sue distonie, Tre piani cerca solo saltuariamente sprazzi di verità nel falso, così dissonanti da apparire a loro volta goffi. Nel prefinale un gruppo di danzatori amatoriali balla per le strade del quartiere, attraversandolo. “Fa molto Fellini, vero? Che bello”, avrebbe detto sardonicamente qualcuno in Ecce Bombo.

Info
Tre piani, il teaser.

  • tre-piani-2021-nanni-moretti-03.jpg
  • tre-piani-2021-nanni-moretti-02.jpg
  • tre-piani-2021-nanni-moretti-01.jpg

Articoli correlati

Array
  • Cannes 2021

    Festival di Cannes 2021 – Presentazione

    Si è aperta la 74a edizione, un nuovo inizio dopo la non-edizione del 2020. La serata di inaugurazione ci ha regalato la presenza di Bong Joon-ho, Almodóvar, Spike Lee e Jodie Foster. Quattro nomi fondamentali, quattro lingue, quattro angoli del mondo per sottolineare la portata internazionale di Cannes 2021, la riapertura, la ripartenza.
  • Festival

    Cannes 2021: la selezione ufficiale

    Cannes 2021 svela le carte. Thierry Frémaux ha annunciato alla stampa i film che comporranno la selezione ufficiale dell'edizione di luglio, ed è una lista di titoli ampiamente previsti nel chiacchiericcio degli addetti ai lavori negli ultimi mesi. Grande invasione di titoli francesi, ben 19.
  • Classici

    bianca recensioneBianca

    di Bianca è l'ossessione amorosa di Michele Apicella, e come lui insegna al liceo Marilyn Monroe, una struttura dove la matematica ha lo stesso peso del juke box. Ma Michele, che sa leggere nei numeri, non è in grado di trovare un proprio posto al mondo.
  • TFF 2018

    santiago, italia recensioneSantiago, Italia

    di Santiago, Italia è il terzo documentario diretto da Nanni Moretti. Partendo dalla deposizione cruenta del governo Allende da parte dei militari capitanati da Pinochet il regista arriva a descrivere un'Italia perduta, popolare e solidale, che affondava ancora le sue radici nella memoria della lotta partigiana.
  • Torino 2016

    Palombella rossa RecensionePalombella rossa

    di Il rettangolo d'acqua di una piscina come non-luogo nel quale scandagliare senza pietà quarant'anni di politica comunista, e della vita di un uomo. Palombella rossa segna il punto di non ritorno della prima fase del cinema di Nanni Moretti, ed è uno dei capolavori del cinema italiano degli ultimi trenta anni.
  • Archivio

    Mia madre

    di Nanni Moretti torna a raccontare, una volta di più, la dispersione del senso, l'incapacità di leggere il mondo in cui si vive, l'ossessione di un controllo privo di struttura. Mia madre è un film sul linguaggio, e sull'impossibilità di condividerlo con gli altri.
  • Archivio

    Habemus Papam

    di Habemus Papam è il ritorno alla regia in grande stile di Nanni Moretti, un viaggio nell'impossibilità dell'uomo di affrontare la responsabilità, ricognizione soffertissima nella paura e nell'angoscia. Con un monumentale Michel Piccoli nella parte del Santo Padre refrattario all'incarico.