L’isola del peccato

L’isola del peccato

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L’isola del peccato, vale a dire The Manxman, è stato a lungo considerato un episodio minore non solo dell’intera carriera di Alfred Hitchcock, ma perfino restando nel recinto temporale della sua produzione britannica. Al contrario si tratta di un’opera estremamente moderna, che mette a fuoco uno dei personaggi femminili più complessi e stratificati tratteggiati dal maestro del brivido. L’occasione per una riscoperta è data da Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone, dove viene presentato come evento di chiusura nella sua versione restaurata in digitale.

Tra Pete e Phil

L’isola del peccato è l’isola di Man, situata a metà tra Inghilterra e Irlanda: è lì che vivono gli amici d’infanzia Peter e Philip, il primo pescatore e il secondo giudice. A dividerli non è solo la classe sociale ma anche l’amore per la stessa donna, la giovane e bella Kate, figlia del proprietario del pub locale… [sinossi]

L’isola del peccato è quella di Man, nel bel mezzo del mar d’Irlanda, a dividere due isole che da secoli sono legate, in modo burrascoso e anche sanguinoso. Non è meno travagliato il rapporto che unisce e divide Philip Christian e Pete Quilliam, visto che sono entrambi follemente innamorati della stessa donna, la giovane e bella Kate Cregeen, la figlia di Caesar, proprietario e gestore del pub dell’isolotto. Philip, seguendo le orme degli avi, si muove nel campo della magistratura, mentre Pete è un pescatore: nel mezzo, anche in senso strettamente sociale, si pone dunque Kate, figlia di un piccolo imprenditore. Nella costruzione di un triangolo amoroso Alfred Hitchcock, affidandosi alla scrittura del fedele Eliot Stannard (che qui termina la sua collaborazione con l’allora trentenne cineasta: otto film in quattro anni, per l’esattezza The Pleasure Garden, il perduto L’aquila della montagna, Il pensionante, Il declino, La moglie del fattore, Virtù facile, Tabarin di lusso, e questo L’isola del peccato), mette in scena anche il conflitto di classe. Tre classi sociali differenti, tre approcci alla vita divergenti, ma lo stesso risultato finale, vale a dire la totale e inemendabile disillusione nei confronti dell’esistenza, e delle ambizioni con le quali la si era affrontata. In qualche modo si ritrova in The Manxman – questo il titolo originale –, che è il film con cui Hitchcock abbandona definitivamente il cinema muto (e questo fa assumere un valore peculiare alla scelta di porlo come proiezione di chiusura della quarantunesima edizione delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone), un primo elemento ricorrente nella poetica del grande regista inglese. Non è infatti la prima volta che il futuro autore di Vertigo, Rear Window, e Psycho, edifica il suo costrutto narrativo attorno a una figura femminile non priva di tempra ma sballottata tra due maschi: se questo è il destino di Kate, lo stesso si può dire per Daisy ne Il pensionante, a metà tra il fidanzato poliziotto e il misterioso Jonathan, forse addirittura un assassino seriale, ma anche per Nelly, che in Vinci per me! deve scegliere tra Jack e Bob, entrambi valenti pugili. Perfino nell’esordio The Pleasure Garden, che in Italia viene tradotto sia come Il labirinto delle passioni che come Il giardino del piacere, la gentile e graziosa ballerina Patsy ama sia Hugh che il fedifrago Levet – qui i triangoli sono moltiplicati all’infinito, perché Levet ha anche una moglie in Africa e Hugh è il fidanzato di Jill, collega di Patsy che però vuole sposare un nobile russo. Restando nel campo delle ossessioni hitchcockiane, ne L’isola del peccato è possibile osservare in modo già compiuto il “ruolo” ideale che viene svolto dall’eroina bionda: già ne Il pensionante erano i “riccioli d’oro” a rischiare di finire tra le grinfie del Vendicatore, il folle omicida che getta donne nel Tamigi, e un riferimento in tal senso si trovava anche in The Pleasure Garden, con Patsy che per lavorare come ballerina deve fingersi bionda e portare una parrucca. Ma è con Kate che la donna bionda assume all’interno della filmografia di Hitchcock un valore così preciso, che film dopo film si stratificherà fino a diventare uno degli elementi più immediatamente riconoscibili.

A stratificarsi è, insieme a Kate, anche la lettura del personaggio femminile da parte di Hitchcock, uno che quando esordì non aveva neanche ben chiaro l’universo muliebre – per chi avesse avuto in sorte di leggere il fondamentale Le cinéma selon Hitchcock di François Truffaut impossibile non andare con la mente allo spassoso racconto che Hitchcock fa di un giorno di riprese di The Pleasure Garden, quando in un tragicomico pomeriggio l’assistente alla regia e altri membri della troupe cercarono di spiegargli cosa fossero le mestruazioni, e perché rendessero impossibile alla diva Virginia Valli di immergersi nelle acque del lago di Como. Qui invece per quanto l’occhio della cinepresa si concentri soprattutto su Pete e Phil, è proprio Kate il personaggio più complesso, l’unico a ben vedere a non essere bidimensionale: se i due maschi sono strutturalmente speculari, destinati dunque a distruggere l’amicizia che li legava un tempo per rivendicare il proprio ruolo α, la giovane figlia di Caesar – uno che, a giudicare dal nome, il concetto di dominio ce l’ha fin dalla nascita – sembra incarnare la classica seduttrice, colei che diverrà pochi anni dopo una femme fatale, ma in realtà nasconde un’anima assai più fragile, e tragica. Anny Ondra in tal senso diventa la prima eroina davvero centrale nel cinema di Hitchcock, e lo sarà ancora di più qualche mese dopo la lavorazione de L’isola del peccato, quando interpreterà Alice White in Blackmail (Ricatto), primo film sonoro per il regista inglese. Per quanto sia un fatto di per sé casuale, visto che Blackmail nacque in fase produttiva ancora come un film muto per poi divenire sonoro per strenua e pervicace volontà del regista, L’isola del peccato appare davvero come un punto di svolta, anche per la totale disillusione con cui viene messa in scena l’umanità, elemento discordante con l’ironia che di solito rivesti a mo’ di patina protettiva i film di Hitchcock. Sarà per il fatto di essere stato girato in Cornovaglia (l’isola di Man era troppo scomoda per gestire una troupe, e a Hitchcock non piaceva l’idea di allontanarsi troppo da Londra), e quindi di condividerne gli scenari naturali, ma non è peregrino accostare alla visione di The Manxman quella di Rebecca, la prima moglie. Entrambi, anche se per motivi molto diversi, sono degli “ultimi”/”primi” film: con L’isola del peccato a terminare è l’epoca del muto, verso cui pure Hitchcock conserverà un rispetto assoluto – si veda sempre l’intervista che gli fece Truffaut –, mentre da Rebecca non ci sarà proprio più spazio per l’Inghilterra, ma per la collina di Hollywood. In entrambi i casi poi Hitchcock sembra muoversi in un territorio a metà tra il sonno e la veglia, come se la vita di Kate non fosse altro che un’allucinazione, qualcosa che travalica il puro melodramma.

Data la negazione del dramma a fosche tinte a favore di un lavoro assai più personale, e meno di prammatica, The Manxman non ottenne la benedizione dell’autore del libro omonimo da cui era tratto, vale a dire Hall Caine. Oramai prossimo alla morte, che sarebbe giunta nel 1931, Caine era già un autore in declino sotto il profilo della fama, e oggi è completamente dimenticato, nonostante a lui sia dedicato – tanto per portare un esempio – Dracula di Bram Stoker: eppure aveva segnato con la sua scrittura l’epoca Vittoriana, e i suoi libri erano tra quelli considerati indispensabili sugli scaffali di una biblioteca “moderna”. Il secolo breve però concede poco tempo alla modernità, prima che essi risulti già “antica”, e lo testimonia sia la scomparsa dei volumi di Caine dagli scaffali sia la rapidità con cui il cinema dimenticherà di essere stato muto. Un discorso che però non vale per autori quali Hitchcock, in grado di cogliere la sublime essenza del muto, l’insegnamento più fecondo: parlare attraverso il linguaggio, e non ricorrendo necessariamente alla parola. In tal senso L’isola del peccato è una vera e propria lectio magistralis: il prolisso volume di Caine, così propenso alla ridondanza, e all’esercizio retorico, viene riscritto in immagini brutali, passionali e dolorosissime, che accompagnano la via crucis di tre personaggi che neanche si rendono conto di muoversi verso la distruzione: distruzione della loro classe sociale (l’abiura finale di Phil), distruzione della quiete preesistente (il ruolo svolto da Kate), distruzione infine dell’illusione, del sogno, dell’ideale: è così per Phil/Kate, ovviamente, ma anche per Pete che abbandona la terraferma per tornare al mare, e alla corrosività del sale che forse brucia meno sulle ferite dello sguardo di un’amata che non potrà mai essere sua. A lungo considerato un episodio minore nella filmografia britannica di Hitchcock, L’isola del peccato è al contrario un affascinante viaggio nel desiderio visto e raccontato, e prelude a molte altre avventure che il grande cineasta saprà affrontare nel corso della sua carriera.

Info
L’isola del peccato sul sito delle Giornate del Cinema Muto.

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