Una relazione

Una relazione

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Presentato alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia 2021, Una relazione di Stefano Sardo è un buon esordio, fragile ma promettente. Percorso da dichiarati accenti autobiografici, non aggiunge molto al cinema medio italiano dedicato ai sentimenti, ma è onesto, sincero, dominato da semitoni. Apprezzabile. Protagonisti Guido Caprino ed Elena Radonicich. Ultima partecipazione per il compianto Libero De Rienzo. In sala.

L’amore che finisce

Superato il quarto decennio di vita, il musicista Tommaso e l’attrice Alice, conviventi mai sposati e senza figli, devono prendere atto che la loro relazione, protrattasi per quindici anni, è giunta al termine. Comunicano la decisione di lasciarsi al loro gruppo di amici, ma dichiarando anche l’intento di restare veramente amici. La notizia sconvolge un po’ le consolidate abitudini del gruppo, ma soprattutto lasciarsi senza recriminazioni si rivela un’impresa assai più complessa del previsto… [sinossi]

Piccole ambizioni, risultati promettenti. Presentato alle Giornate degli Autori della recente Mostra di Venezia 2021, l’opera prima Una relazione di Stefano Sardo non si propone di essere un capolavoro, non si prefigge di dire una parola definitiva sullo status esistenziale dell’essere umano né sui destini del mondo. Nelle cornici dei suoi timidi intenti il film ripropone anzi uno dei luoghi più ripercorsi dal cinema italiano post-mucciniano, la crisi di coppia e il ritratto generazionale. Pochi slanci, poche sorprese, abbondanti luoghi comuni. Oltretutto, la sociosfera in cui Sardo colloca la sua storia è forse quella che conosce meglio (cinema, musica, teatro e attori) ma di certo non si tratta di un contesto in cui il grande pubblico si può facilmente identificare. Eppure, Una relazione trova un equilibrio, una precaria e traballante stabilità sulle proprie gambe, piuttosto simile al mondo frammentato e nebuloso in cui i suoi protagonisti si muovono.

Come detto, Stefano Sardo gioca un po’ in casa, raccontando di un gruppo di amici in cui alcuni suonano insieme, mentre altri si dedicano al cinema o al teatro – dagli anni Novanta Sardo è il frontman del gruppo torinese Mambassa, e da anni si è dedicato all’attività di sceneggiatore giungendo poi all’esordio in lungometraggio proprio con Una relazione. Il film si delinea anche per una sorta di volenteroso psicodramma a due, dal momento che in sede di sceneggiatura troviamo lo stesso Sardo e la sua ex-compagna Valentina Gaia; i due hanno diviso 17 anni della loro vita e si pongono a narrare l’esperienza della loro separazione – lo stesso materiale narrativo è rielaborato dai due pure in forma di romanzo con il medesimo titolo. Focalizzandosi intorno a una cornice decisamente familiare, Sardo allarga il quadro ricomprendendo in essa altro materiale narrativo che a sua volta proviene dal suo vissuto: una diffusa idolatria per gli anni Novanta e la sua musica (divertente la polemica con la trap dei nostri giorni) e la crisi di maturità spostata dai convenzionali trent’anni ai quarantacinque inoltrati. A rigor di lettera, Una relazione non narra nemmeno una vera e propria crisi generazionale. Si concentra, semmai, sul rimpianto e l’amarezza di chi ormai non vede più occasioni per riscattarsi, per ripensare scelte, riformularle e metterle in atto. A trent’anni si può ancora scegliere tra disimpegno e responsabilità, e il travaglio ha ragion d’essere. I personaggi di Una relazione, invece, stanno a raccogliere i frantumi di scelte non compiute e ormai non più percorribili. A trent’anni si può scegliere. A quaranta suonati si può solo rimpiangere. Così, anche le decisioni etiche più complesse (lasciarsi dopo quindici anni rimanendo amici) rivelano tutta la loro incapacità di tradursi in realtà. Non si è più forti abbastanza per scelte radicali, il corpo inizia ad abbandonarci. Un sospetto d’infarto, una défaillance sessuale, infezioni con rischio di infertilità, e chi più ne ha più ne metta: elemento inedito, nel quadro dell’odierna commedia sentimentale italiana, è l’enfasi insistente scelta da Sardo intorno alla fisicità precaria dei suoi due protagonisti, Tommaso e Alice, pronti a lasciarsi serenamente e altrettanto pronti a sbranarsi a vicenda qualche decina di giorni dopo. Non si sono mai sposati, si sono domandati più volte se fare figli o meno e non hanno mai trovato lo scatto giusto per procedere, hanno intrapreso carriere creative che stentano a dare loro una stabilità economica, si son presi casa ma solo grazie al mutuo di mammà… Paradigmatici, verissimo. Soprattutto paradigmatici di un certo modo (diffusissimo) di intendere il cinema medio in Italia da almeno due decenni. Ma anche – e questo, a nostro avviso, è il miglior pregio del film di Sardo – capaci di animare un film fortemente destrutturato, divagante, affidato a sequenze lunghe e allentate nel ritmo. Solo alla fine esplodono vere discussioni; fino a quel momento prevale un’idea di racconto come tenue fluire, privo di scoperti e ricercati accenti drammatici.

Ricopre in tal senso un ruolo primario la funzione attribuita alla musica. In un film diretto da un regista/musicista si tratta di un esito pressoché inevitabile. Sardo utilizza musiche proprie, piazza un paio di sue canzoni nel tessuto del racconto, e soprattutto mette al centro un protagonista che fa il suo stesso mestiere, occupandosi anche di musica per film. Il Tommaso impersonato da un buon Guido Caprino non è una star. È un quieto professionista della musica, lontano dalle ribalte, al quale magari piace fare un po’ il figaccione ma senza esagerare. Senza esagerare, pare il motto di tutto Una relazione. Mai vero dramma, mai commedia strapparisate, Sardo si permette giusto qualche sparsa e gustosa notazione sugli snobismi di fumosi radical chic che mangiano solo bio, fremono di palpiti per l’acido ialuronico, credono di trovare sollievo soltanto nelle tisane calde e si riempiono i frigo di verdure rigorosamente comprate tramite gruppi d’acquisto. Si registrano buoni brani di dialogo, e soprattutto una spiccata capacità di simulare la naturalezza (non con gli stessi esiti di un Roan Johnson, ma forse seguendone parzialmente il modello), stratagemma che più volte sembra abbattere il muro dell’artificio.

Sia chiaro, siamo sempre e comunque nell’alveo di un timido cinema italiano che spesso sembra del tutto prigioniero dei soliti appartamenti, dei soliti profili sociali e antropologici, delle solite flebili aspettative. Nel medio cinema italiano non c’è più modo di occuparsi di qualcosa che superi lo spazio dalla cucina al corridoio di casa. Anche Una relazione non è capace di svoltare rispetto a un conosciutissimo orizzonte piccolo e limitato, è fitto di cadute di ritmo e pure di stile – quelle tendine in nero con la scansione dei giorni… Il gruppo di amici che si raccoglie intorno a Tommaso e Alice è protagonista di simpatici brani ma spesso non aggiunge molto all’insieme. Eppure, senza gridare né strepitare, senza lasciare i propri attori allo sbando di compiaciuti sovratoni, Sardo riesce a cogliere gli accenti amari di un amore che finisce, dando luogo a sprazzi di credibile sincerità. A cifra di tutta l’operazione è sufficiente ricordare quel finale sottovoce, un ultimo saluto dal balcone alla strada, suggellato da un braccio che si allarga. È andata così, siamo fragili, siamo deboli, non sappiamo scegliere. E, anche, i nostri nonni sapevano scegliere. Noi siamo bamboccioni. Aspettiamo per una vita intera che inizi la vera vita, ma siamo noi a non esser capaci di avviarla. Poi, in un attimo, gli anni migliori se ne sono andati, e non siamo più nelle condizioni di poter fare libere scelte. Non è colpa tua, non è colpa mia.

Una relazione è anche l’ultimo film in cui compare Libero De Rienzo. Rivederlo fa male al cuore, molto semplicemente. L’amico Luca, un po’ cinico un po’ scanzonato, ricorda molto il Bart di Santa Maradona (Marco Ponti, 2001). Un Bart con vent’anni di più, fiaccato nel corpo, ammaccato dalla vita, sardonico come sempre. Un caro saluto.

Info
Una relazione, il trailer.

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