The Shrouds

The Shrouds

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Con The Shrouds, suo ventitreesimo lungometraggio, David Cronenberg parte da un dato autobiografico (la morte nel 2017 della moglie Carolyn Zeifman) per elaborare una riflessione sulla centralità ineludibile del corpo, e della carne, anche e soprattutto in un’epoca tecnocratica dominata da avatar e collegamenti a distanza. In concorso al Festival di Cannes 2024.

Finché il corpo non ci separi

Dopo aver perso la moglie uccisa dal cancro, il ricco uomo d’affari Karsh inventa una rivoluzionaria tecnologia per monitorare lo stato delle salme nelle tombe e inizia un business legato alle vouyeuristiche sepolture. Una notte, il cimitero che Karsh gestisce a Toronto viene però misteriosamente vandalizzato…

Impossibile accostarsi al nuovo film di David Cronenberg, The Shrouds, senza partire da un dato biografico: l’autore ha perso sua moglie, Carolyn Zeifman, nel 2017 dopo quasi quarant’anni di matrimonio. E il protagonista Karsh (Vincet Cassel) è persino abbigliato e pettinato come il cineasta canadese, quasi fosse il suo avatar scenico. Regista di video industriali e molto benestante, Karsh fatica infatti a superare la morte per cancro di Rebecca (Diane Kruger), adorata consorte che non riesce a “lasciar andare” tanto da aver inventato una tecnologia innovativa e controversa che ha messo sul mercato e attorno alla quale ha imbastito un interessante giro d’affari internazionale. I defunti vengono posti in sudari futuristici capaci di mostrare tramite chip lo stato della salma: ogni cliente della GraveTech scarica una App e può rimirare con un monitor il caro estinto, le sue ossa, i suoi denti, se ha ancora qualche capello, non staccandosi mai del tutto dal corpo del trapassato con cui quindi continua a essere in relazione. Il cimitero messo in piedi a Toronto da Karsh non aderisce a nessuna confessione religiosa e travalica anche quello che potrebbe essere considerato un confine etico rispetto alla vita. Per questo, quando una notte alcune tombe vengono vandalizzate (una di queste è quella di Rebecca), le piste per individuare il colpevole sono virtualmente molte: eco-terroristi morali della sepoltura, luddisti di nuova generazione, servizi segreti, spionaggio delle corporation. Oltre all’irruzione, Karsh ha anche notato un dettaglio inquietante osservando come sempre Rebecca nell’eterno riposo: nel suo naso, zoomando sullo scheletro con una definizione visiva strabiliante, sono comparse strane conformazioni, qualcosa di organico spuntato in un carapace defunto. Come si spiega?

The Shrouds (che significa “I sudari”) fornisce allo spettatore due filoni di detection. Il primo, legato al vandalismo, porta sul terreno di eXistenZ ossia allo scontro tra sostenitori di tecnologie che dissolvono le demarcazioni tra mondi (realtà oggettiva e percepita, vita e morte) e coloro che credono non sia giusto né umano oltrepassare ogni limite. Il secondo, legato alla possibilità che anche da sepolti l’organico generi mutazioni (magari aiutato dai sudari iper high-tech), rimanda al precedente Crimes of the Future che, a sua volta, era una summa di alcune tra le principali suggestioni della lunghissima e straordinaria filmografia di Cronenberg. Ma in The Shrouds possiamo trovare anche Crash a partire dal nome del protagonista Karsh – quasi un anagramma –, ma soprattutto tramite la figura di Rebecca o per meglio dire di sua sorella Terry, così identica (e sempre interpretata da Kruger) e così differente, ma soprattutto così eccitata dall’idea della morte da “incastrarsi” negli incubi dell’ex cognato fatti di mutilazioni, cicatrici, amputazioni di seni che hanno per protagonista la defunta moglie. Tra Terry e Karsh c’è sempre stata una grande attrazione fondata probabilmente su una comune perversione e sul comune desiderio di thanatos: lo sapeva l’ex marito di lei, Maury (Guy Pearce), un hacker che aiuta Karsh in molte questioni informatiche per GraveTech e lo sapeva bene Rebecca che in fin di vita aveva proprio messo in guardia il marito dalla sorella. Hitchcockianamente parlando, quando si evoca “Rebecca” (anche se in The Shrouds si preferisce il diminutivo “Becca”) come prima moglie è ovvio che le apparenze ingannino e che ci troviamo programmaticamente di fronte a un gigantesco depistaggio. Così Cronenberg mette in campo le proprie tematiche, le proprie ossessioni, i motivi che caratterizzano da cinquant’anni la sua poetica per andare altrove, disattendere le aspettative implicate dal proprio stesso cinema e sagacemente ricreate sotto gli occhi del pubblico in questo nuovo titolo. Con un’ironia quasi inedita il cineasta realizza un piccolo catalogo cronenberghiano, “un’antologica” punteggiata di sapida comicità (si sprecano i dialoghi intervallati da “Wow!”, come se il regista si prendesse in giro da solo in qualche misura), la cui risoluzione prevederebbe uno svolgimento che The Shrouds nega totalmente rivelandosi così anche un film sul pre-giudizio inteso come bias cognitivo, ma anche base del cospirazionismo, del complottismo, delle teorie inverificabili di cui i vari personaggi si fanno portatori.

Se il protagonista è un direttore di video commerciali per grandi industrie con le quali ha (forse) ottimi rapporti, Maury scomoda gli interessi delle superpotenze come causa dell’atto vandalico e Terry, arrapatissima, si intriga pensando alle sperimentazioni mediche sul corpo della sorella, a quel che i dottori le hanno fatto nei momenti terminali. Tutto può essere e tutto viene preso in considerazione nei dialoghi – soltanto, dunque, tramite le tante parole che i personaggi si scambiano – ma questa volta nel racconto per immagini si prende un’altra direzione e Cronenberg, che ha riflettuto tutta la vita sulle trasformazioni che scienza e arte e tecnologia apportano alla psiche e all’organico, qui mostra soprattutto desiderio, gelosia, bisogno d’amore (splendida la prima sequenza con Karsh e un’aspirante fidanzata), attaccamento affettivo e abitudine rivolti al corpo dell’altro o, viceversa, determinazione ad abbandonarlo per sempre. Nel suo corto del 2021 The Death of David Croneneberg il regista guardava se stesso morto nel proprio letto mentre qui “guarda” la propria perdita coniugale, impossibile da superare anche tenendo conto del dolore, del tradimento o del voler proseguire nella propria autonoma esistenza: quel che resterà sarà sempre un’amputazione, la riesumazione incubale di una persona che non c’è più, di un’organicità venuta a mancare e con ciò The Shrouds si configura come un film profondamente intimo. Che manda all’aria, sorprendentemente, tutto quel che intreccia per condurci in una riflessione in cui avanzamento tecnologico, intelligenze artificiali, geopolitica e complotti non scalfiscono le pulsioni ataviche mentre la libido (junghiana) genera queste ultime e non viceversa. Oltre all’organico non c’è niente e niente viene creato se non dal corpo e dalle proprie affezioni, dal biologico naturale, dall’uomo e dalla sua macchina assolutamente mutante ma anche definita. E poco importano gli assistenti virtuali online, le riprese fatte dai cellulari, le auto che si guidano da sole e tutta l’immaterialità attorno cui viviamo: qui ci sono solo rabbia e dolore (il dente che duole con cui si apre il film, segno di una frustrazione nervosa e dell’anima), attrazioni e reazioni. The Shrouds è così un lavoro molto spiazzante fatto di sogni, sudari, cadaveri e amplessi, ma più simile, nel profondo, a un mélo minimalista (assai più di Inseparabili o M. Butterfly) che accatasta materiali per sbarazzarsene, proprio come il suo protagonista che ha cambiato casa dopo la morte dell’amata per abitare in uno spazio progettato da arredatori giapponesi, in cui è rimasto solo l’essenziale. Nella nuova fatica del genio canadese resta l’immateriale psichico in dialogo solamente con la carnalità materiale, e niente più, per produrre shakespeariana brama, possesso, gelosia e godimento.

Info
The Shrouds sul sito di Cannes.

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