Fuga per la vittoria

Fuga per la vittoria

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Difficile pensare a Fuga per la vittoria senza John Huston. Prima di Pelè, Osvaldo Ardiles, Bobby Moore, Max von Sydow, Michael Caine e Sylvester Stallone, è Huston il fuoriclasse che riesce a tenere a bada retorica e cliché, orchestrando uno spettacolo hollywoodiano che nel momento culminante plasma il calcio (e la guerra) come un elegante e acrobatico musical. Negli occhi di Max von Sydow/Karl Von Steiner e nei nostri restano scolpiti i ralenti delle performance tecnico-atletiche (e quindi estetiche) di Ardiles e Pelè, istanti sorprendentemente veri di una partita straordinariamente finta.

Krasny sport ne umriot!

1942, Seconda guerra mondiale. Durante una visita a un campo di concentramento, l’ufficiale Karl Von Steiner, ex-calciatore della nazionale tedesca, riconosce tra i prigionieri britannici un suo ex collega, il capitano John Colby, ex-giocatore del West Ham. La passione sportiva prevale sulle logiche della guerra e Von Steiner si mette in mente di organizzare un incontro di calcio tra una selezione di calciatori Alleati e la squadra sportiva di una vicina base tedesca… [sinossi]

Mancano i replay nella partita di Fuga per la vittoria. Manca il VAR. Ci resta quindi il dubbio su quei due rigori, assegnati senza esitazioni da un arbitro gradito agli alti ufficiali nazisti. Non mancano però i ralenti, in questo caso ripetuti, dei due gesti più importanti, narrativamente decisivi, poetici. No, non la parata di Hatch/Stallone, che il montaggio cerca di camuffare: tiro bislacco, lento, ovviamente telefonato. È bravo Stallone, il fisico lo aiuta, ma non è un portiere. Come non è un giocatore Michael Caine – si vede, anche se Houston spariglia con estremo mestiere le carte e alla fine ci crediamo, ci vogliamo credere. I due gesti li conosciamo tutti: il tacco di Ardiles, la rovesciata di Pelè. In questi due casi il cinema può (poteva…) fare ben poco, può giusto assecondare, mettersi al sevizio: l’inquadratura si allarga, il ralenti si dilata, i giocatori danzano come in una coreografia ripetuta mille volte e il miracolo del gesto tecnico-atletico si compie, accompagnato dalle note di trascinanti di Bill Conti. Non sono gli unici due momenti di vero calcio nel film, sono quelli più celebrativi e soprattutto irreplicabili – quantomeno lo erano nel 1981, prima della computer grafica, decenni prima dei tripli axel di Tonya.

Più della fantasiosa rilettura di una storia già ampiamente romanzata (la partita della morte, giocata tra tedeschi e ucraini nel 1942, anno in cui è ambientato il film di Huston), ci interessa di Fuga per la vittoria la messa in scena del calcio. Insomma, la resa delle varie discipline nel genere sportivo – genere che si sposa perfettamente con il war movie, condividendone di fondo la retorica militaresca, tra forza fisica e sacrificio più o meno estremo. Tra i tanti sport, il calcio lega poco col cinema: disciplina troppo tecnica, sostanzialmente impossibile da replicare per un gruppo di attori. Vale, ad esempio, anche per la pallavolo e il beach volley – la mente corre alle sequenze di gioco del biopic Best di Mary McGuckian e alla pallavolo da spiaggia vilipesa da Thomas Howell ne I re della spiaggia di Peter Israelson.
Discorso quasi opposto per il coevo Momenti di gloria, che poteva contare su bravi attori in ottima forma fisica, non così distanti dagli atleti di Parigi 1924, o per il pugilato di Rocky (ma anche la lotta libera di Taverna Paradiso) che può godere di una maggiore sospensione dell’incredulità e dell’angolazione favorevole della macchina da presa. Per una lunga serie di fattori, dal numero di giocatori/attori alle difficoltà tecniche, il calcio ha forse solo due strade per potersi esprimere pienamente: l’irripetibile assemble di campioni di Fuga per la vittoria o la trasposizione animata degli anime (Arrivano i Superboys, Holly e Benji) che attraverso il dichiarato tradimento del realismo estremizzano i gesti tecnico-atletici – in fin dei conti, la cavalcata di Pelè che scarta tutti con la mano sul petto non è poi così distante dalle discese irresistibili di cuore matto Julian Ross.

Difficile pensare a Fuga per la vittoria senza John Huston. Prima di Pelè, Osvaldo Ardiles, Bobby Moore, Max von Sydow, Michael Caine e Sylvester Stallone, è Huston il fuoriclasse che riesce a tenere a bada retorica e cliché, orchestrando uno spettacolo hollywoodiano che nel momento culminante plasma il calcio (e la guerra) come un elegante e acrobatico musical. Le note trionfanti di Conti, le giocate sul campo e il contesto drammatico trovano il giusto contraltare in più di un momento brillante – ritroviamo lo spirito di Stalag 17 e anche un po’ de Gli eroi di Logan. Funziona un po’ meno la parentesi parigina, più a uso e consumo di Stallone, ma sono dettagli.
Tutto ci porta verso lo stadio, all’ultima mezz’ora, a una partita che solo Hollywood poteva (far) giocare – altri tempi, il calcio negli Stati Uniti cercava di decollare, i New York Cosmos collezionavano campioni. La parte finale è memorabile, adrenalinica, trionfante: Hatch/Stallone esce come Zenga a Italia ’90, i crucchi menano come fabbri, Ardiles e Pelè ci mostrano pennellate di immortalità. E Max von Sydow ci manca moltissimo.

Info
Il trailer originale di Fuga per la vittoria.

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