Arrivano i gatti

Arrivano i gatti

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Terzo film di Carlo ed Enrico Vanzina, celebrazione cinematografica del successo televisivo del gruppo cabarettistico I Gatti di Vicolo Miracoli, Arrivano i gatti è un film costruito su gag e sketch surreal-demenziali, parodie di generi popolari come il poliziottesco e la commedia sexy. I Vanzina usano elementi che costituiranno il loro marchio di fabbrica come il pastiche linguistico-dialettale. E già riescono a fotografare l’Italia dell’epoca, nel delicato passaggio del decennio, tra crisi petrolifera e disco music.

Erano famosi

Verona. Gli amici Jerry, Franco, Umberto e Nini mirano alla fama e alla fortuna come gruppo comico: ognuno di loro conduce una vita monotona in città, se non fosse per i rari spettacoli che fanno come passatempo nei circoli per anziani. Arriva finalmente l’occasione di sfondare: l’invito a Roma per un provino per il casting di una televisione privata, la New Telecineramek. Sarà un fallimento come tanti altri, ma non si daranno per vinti. Riusciranno a farsi notare, e a sfondare, durante il servizio di un telegiornale su una finta rapina a un supermercato. [sinossi]

Potevamo raccontarvi per l’ennesima volta la storia di Romeo e Giulietta. Ma no, sarà per un’altra volta. Così è l’incipit di Arrivano i gatti, terzo film di Carlo ed Enrico Vanzina, costruito per consacrare sul grande schermo il gruppo cabarettistico I Gatti di Vicolo Miracoli, all’epoca di grande successo in televisione, con i celebri tormentoni di Jerry Calà. Il riferimento alla tragedia shakespeariana sfrutta la suggestiva ambientazione iniziale di Verona per uno strampalato sketch, come quelli su cui il film sarà costruito, che pure funziona come indice dell’eclettismo vanziniano. Potevamo raccontarvi quella, delle innumerevoli che può offrire questa città d’arte, ma era un po’ inflazionata, come sottolineato dai due amanti di Verona ormai vecchissimi. Ma è solo un rimando. Nel cinema dei fratelli gli amanti di Verona, le storie d’amore contrastate per impedimenti sociali, gli amori interclassisti torneranno innumerevoli, da I fichissimi, ad Amarsi un po’, a I miei primi 40 anni.

Arrivano i gatti è un “Saranno famosi”, la storia di un successo partendo dalla gavetta, dalla vita di provincia per arrivare alla capitale, dalla vita ordinaria di una, forse aurea, mediocritas, per giungere al mondo dorato dello star system. Riflette più o meno la vera storia dei Gatti, che nascono come un gruppo amatoriale di liceali, con membri diversi che si sono succeduti e alternati, alcuni, come lo stesso Jerry Calà, indecisi tra gli studi universitari e la carriera artistica. Gruppo che porta già nel nome l’origine veronese. L’approdo romano avvenne in effetti per uno spot pubblicitario poi mancato e non mancò la partecipazione a un film, sfruttando uno sciopero delle comparse, in una scena che poi sarebbe stata eliminata con il montaggio. Un po’ le vicissitudini rocambolesche del film. Ma in questa occasione sono i Vanzina ad arrivare, sono loro gli esordienti, confezionando un film a bassissimo budget, addirittura girato in 16mm. Mentre da qui, anche per la frequentazione dei fratelli con il locale milanese Derby, fucina di cabarettisti cui attingeranno a piene mani, si dipanano altre carriere. I Gatti si scioglieranno a breve, rimarranno Jerry Calà, e Diego Abatantuono che qui esordisce su grande schermo, a trionfare nel cinema vanziniano mainstream a seguire.

Dei quattro comici, Ninì è l’intellettuale, quello che rinfaccia la gratuità delle gag al regista della commedia sexy in cui finiranno per partecipare. Ma proprio sulla gratuità, sul susseguirsi di sketch comici, che richiamano spesso lo stile del gruppo nelle loro apparizioni televisive, che si gioca il film. Si utilizza ogni tanto anche il loro effetto tormentone, con le espressioni di Jerry Calà, come “capito!?”, che all’epoca erano popolarissime. In generale il film propone una comicità anarchica e surreale, alla Monty Python – vedi la scena del postino che porta un espresso porgendo un caffè o quella del supermercato contenuto in una tenda canadese – che sfocia nel demenziale e nello scurrile. I quattro riescono a conquistare i partecipanti vip del party cui si imbucano, con il numero delle puzzette, un espediente semplicemente greve in un contesto altolocato. Quando si presentano dichiarano di essere fantasisti esponenti di un umorismo di stampo ebraico newyorkese. Più volte i Vanzina citano la storia del comico per giustificare il loro cinema comico, la commedia dell’arte ne La partita, il teatro di Plauto in S.P.Q.R. – 2000 e ½ anni fa. Ricalcano qui la figura dello Schlemihl guardando sicuramente a Woody Allen. L’apparizione di Romeo e Giulietta di cui sopra ha lo stesso significato di quella di Blanche DuBois di Un tram che si chiama desiderio, nel testo teatrale di Allen Dio; l’aggressione dei teppisti sull’autobus ricorda quella di Sylvester Stallone nella metropolitana de Il dittatore dello stato libero di Bananas; e la litania di titoli di Ingmar Bergman, snocciolati sulla roulotte della famiglia svedese, rievoca quella dei capolavori della letteratura russa spiattellati dai protagonisti di Amore e guerra.

Come sempre nel cinema dei fratelli le citazioni cinematografiche abbondano. Oltre a quelle citate c’è l’amato Blake Edwards. Prima con un titolo inventato, non l’unico nel film, “L’eterna rivincita della Pantera Rosa”, citato da Ninì vedendo i film in programmazione sul giornale. E poi con tutta la parte della festa esclusiva a casa del produttore, in cui i nostri eroi si imbucano, che rievoca ovviamente Hollywood Party, film considerato come il modello assoluto dai Vanzina. Del resto i Gatti poco prima erano anche stati cacciati da un set di Cinecittà. Poi ci sono le parodie. C’è il poliziottesco nella figura dell’esuberante tenente La Pezza che torna più volte nel film. E poi tutta la satira dell’italica commedia scollacciata alla cui lavorazione, su un set di Cinecittà, partecipano i Gatti. Già il titolo fa il verso a quelli del filone: “La dottoressa del distretto ogni sera cià il vizietto di portar gli alpini a letto”. E la parte metacinematografica si gioca sulle stesse gag previste per far ridere dal film nel film: la botola che si apre quando non dovrebbe ma facendo comunque cadere qualcuno. Carlo Vanzina introduce la presenza della botola nel pavimento che si apre con una panoramica verso il basso, e subito dopo il regista del film ordinerà ancora una panoramica. Qui a Cinecittà i Vanzina hanno anche modo di citare i loro maestri, nella comparsa che racconta di aver lavorato con Ettore Scola, Dino Risi e Nanni Loy. Spesso le citazioni sono semplici menzioni o poco più: Quel treno per Yuma, 2001: Odissea nello spazio, Il paradiso può attendere, I guerrieri della notte.

L’anarchia comica di Arrivano i gatti viene controbilanciata, secondo un vecchio stile, da una voce off narrante. Che è quella, tipicamente impostata con senso di austerità, del grande Stefano Sibaldi che, non a caso, prestava la sua voce off anche nei vari Mondo cane. Trionfa nel film l’irriverenza per i corpi sfatti, grassi, senescenti, e trapela un senso di gerontofilia, nelle vecchiette eccitate o spaventate dalle nudità di Franco. In generale il film gioca sulla sessualizzazione anomala di soggetti come il bambino svedese che legge Playboy e si rinchiude in bagno. Molte gag, o situazioni del film si ripetono due volte o più, come la neve artificiale usata nella commedia sexy come nel numero televisivo in Rai, o la barzelletta sul difetto fisico detta come gaffe a chi proprio ne è portatore, il monco e i gobbi. C’è poi l’irruzione improvvisa delle forze dell’ordine che arrestano il proprietario della tv privata e poi il potente produttore, bloccando così la scalata al successo dei nostri. Ma in fondo la corruzione o l’evasione fiscale sono diffuse nel mondo del cinema, tanto che anche Ingmar Bergman è stato male quando ha dovuto pagare le tasse, come nella conclusione dello sketch con la famiglia svedese. Qui è l’irriverenza tipica della comicità dei Gatti. I Vanzina riescono a fare anche il loro tipico instant movie fotografando un’Italia nella transizione di un decennio, sotto shock per il conflitto mediorientale e la crisi petrolifera. I riferimenti in tal senso sono numerosi, dalla battuta sull’ayatollah “Cotechini”, all’arrivo dei nostri in una Roma senza automobili, mentre alla fine il supermercato elargirà benzina gratis. L’Italia dei Vanzina si palesa nell’incontro dei dialetti e degli accenti regionali: il veneto, il romanesco, il bolognese della cameriera, il sardo e vari accenti meridionali tra cui quello del terrunciello milanese Abatantuono. A questo si aggiungono le lingue straniere incomprensibili, con effetto comico, lo svedese e il greco. E i feticci pop dell’epoca, la disco music, il personaggio di Mork, trionfano nel numero televisivo finale, sgangherato come la comicità dei Gatti di Vicolo Miracoli e come tutto il film.

Info
Verona Beat cantata in Arrivano i gatti.

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